Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  agosto 13 Sabato calendario

L’ORO NERO RESTA GRIGIO | I PROGETTI CHE NON SI FERMANO ALLO STOP

Stop a Bonga North West (Shell) ed Etan (Eni), entrambi in Nigeria, così come a Cameia (Cobalt International) eChissonga (Maersk Oil) in Angola. In Australia, Woodside Petroleum ha congelato il progetto Browse, mentre nel Golfo del Messico è finito in stand-by lo sviluppo dei campi Buckskin e Moccasin (Chevron), e Thunder Bird (Murphy Oil). Quello dei progetti che le oil company hanno cancellato, ridotto o rinviato è un elenco che si allunga cercando di adattarsi alla debolezza dei prezzi del petrolio, e che costringe non solo le oil company, ma anche le società di ingegneria petrolifera, a continui aggiornamenti di piani strategici e guidance.
Non bastano dichiarazioni come quelle rimbalzate venerdì dall’Arabia Saudita su un possibile accordo tra produttori Opec, per dichiarare finita l’emergenza mini-barile. Muove poco anche il rapporto dell’Agenzia internazionale dell’Energia, che pure apre spiragli d’ottimismo. stimando che in questo terzo trimestre dell’anno l’offerta giornaliera di petrolio sarà inferiore alla domanda per circa un milione di barili, contribuendo a riequilibrare il mercato. Le previsioni dell’Aie aiutano nell’immediato (le quotazioni del Brent in chiusura di settimana si sono risollevate a 46 dollari al barile) ma non possono fare miracoli. Soprattutto se poi nello stesso report, poche righe più in là, si invita a restare cauti nel 2017, perché persistono debolezze e incognite. Insomma, la situazione resta a dir poco fluida e i gruppi del settore si stanno adattando a muoversi a vista. Non possono essere le stime altalenanti e spesso contraddittorie per il futuro a orientare i passi e le contromisure dell’industria, ma i numeri reali.
E la realtà dice che negli ultimi due anni sono stati tagliati quasi 300 miliardi di dollari di investimenti, per una cifra vicina ai 300 miliardi di dollari. In molti casi le società di servizi petroliferi pur di tenersi i clienti hanno accettato revisioni contrattuali con ribassi del 40%. Nel primo semestre dell’anno il valore complessivo degli investimenti ha fatto registrare un altro calo del 18%. «Siamo consapevoli che la produzione offshore non tornerà a essere del tutto sviluppata nemmeno quando i prezzi del greggio risaliranno», ha detto ai suoi azionisti John Gremp, ceo di Fmc Technologies, prossima alla fusione con Technip, «a meno che l’industria non riesca a rendere sempre migliori gli aspetti economici dei progetti». Il segmento upstream sta per fronteggiare un periodo di riduzione più netta degli investimenti dovuto al prolungarsi della grande offerta di petrolio. Negli Stati Uniti in particolare, il calo è stimato nel 40%, in America Latina del 35%.
Resistono progetti annunciati con buone probabilità di realizzazione perché, osservano da Saipem, «ancora economicamente, o politicamente, convenienti» (per il gas si veda tabella allegata). Il caso di Saipem, tornata a ritoccare al ribasso le stime 2016 (confermando però l’ebit di 600 milioni di euro) è uno fra tanti. Anche Technip ha dovuto mettere nuovamente mano alle forbici, accelerando sul taglio dei costi dopo aver subito a metà anno un calo di quasi il 10% dei ricavi riclassificati. Quest’anno, invece dei previsti 700 milioni di euro, prevede di risparmiare 900 milioni di euro. Spiegano ancora da Saipem che il calo degli sviluppi sottomarini è generalizzato, e per fortuna che ci sono Eni con Goliat in Norvegia e Shell con Parque de Conchas in Brasile. Anche la domanda di pipeline è prevista in calo ancora per quest’anno, con le eccezioni di Russia, mar Caspio e Sud America «in leggera controtendenza», mentre pesa la cancellazione dei piani di espansione del campo Umm Shaif negli Emirati Arabi. Non va meglio per le piattaforme petrolifere.
La volatilità del prezzo del petrolio «ha costretto gli operatori a posporre numerose decisioni di investimento» anche nel 2016, nonostante molte banche d’affari insistano nell’indicare una ripresa del Brent a 70 dollari al barile. L’analisi di Saipem è condivisa dai competitor perchè è una fotografia del contesto di mercato. Per verificarlo basta leggersi quello che il ceo di Technip, Thierry Pilenko, ha raccontato agli analisti nei giorni scorsi, commentando i risultati semestrali e guardando avanti. «Ho passato gran parte di giugno e luglio in giro a incontrare clienti in tutto il mondo, oil company nazionali e internazionali, e numerosi player indipendenti e credo di essermi fatto un’idea di cosa intendono fare. Ho interpretato i loro messaggi», ha premesso. La scelta, secondo Pilenko, non sarà più su cosa tagliare, ma su cosa far partire. «C’è una forte convergenza sul fatto che l’attuale livello di investimenti è insufficiente a sostenere la produzione rimpiazzando il declino dei giacimenti maturi». Nel breve periodo, però, la previsione è che ad andare avanti saranno i progetti che estendono quelli già avviati, come nel caso di molti giacimenti a gas. Tra le eccezioni, il Mozambico, uno dei punti di forza di Eni e, a cascata, delle oil services in attesa di contratti.
di Angela Zoppo, MilanoFinanza 13/8/2016