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 2016  agosto 13 Sabato calendario

UN LUSTRO, TANTI ERRORI

La crescita del pil italiano continua a deludere. Le previsioni sono riviste continuamente al ribasso: per il 2016 siamo passati dal +1,6% dell’Aggiornamento del Def 2015 approvato dal governo Renzi a settembre scorso, al +1,2% del Def 2016 varato appena a marzo passato. Dagli ultimi dati dell’Istat emerge un ulteriore rallentamento, con una crescita zero nel secondo trimestre dell’anno, con una variazione acquisita pari al +0,6%. Il quadro europeo è contraddittorio: mentre crescono la Germania e la Spagna, rispettivamente con un +0,4% ed un +0,7%, a frenare ci fa compagnia la Francia, anch’essa ferma nel secondo trimestre.
Il governo, intanto, è alle prese con la preparazione del bilancio per il 2017 e della consueta manovra di fine d’anno: c’è chi chiede ancora nuove riforme strutturali, dopo decenni di timidezza.
Piuttosto che guardare avanti e fare sempre nuove previsioni, è il caso di fare un passo indietro di cinque anni, tornando all’aprile del 2011: per l’Italia era ancora un periodo di relativa calma, prima delle turbolenze scatenatesi da metà anno, culminate con il Vertice del G20 a Nizza ed il cambio del governo, con Mario Monti al posto di Silvio Berlusconi. Ad agosto, il quadro si era fatto convulso: la comunità internazionale era preoccupata per la tenuta del debito pubblico italiano, ed il 5 di quel mese i Governatori della Bce Jean Claude Trichet e della Banca d’Italia Mario Draghi dettarono con una lettera a firma congiunta una serie di severe prescrizioni di politica economica e di bilancio: anticipo del pareggio strutturale e riforme. Tutto doveva cambiare: così è stato, ma in peggio.
Nell’aprile del 2011, infatti, il futuro dell’Italia era ancora tinto di rosa: si prevedeva una crescita robusta, trainata dagli investimenti fissi lordi ed un debito pubblico in calo. Secondo il Fmi, nel quinquennio 2011-2016 il pil dell’Italia sarebbe dovuto crescere del 7,9% rispetto al livello raggiunto nel 2010. A fine periodo, il tasso di disoccupazione sarebbe sceso al 7,4%. Il rapporto debito pubblico/pil sarebbe passato dal 119% del 2010 al 117,9% del 2016. Gli investimenti nell’economia reale sarebbero risaliti al 21% del pil, cumulando nel periodo un consistente 123,3%.
Ad aprile scorso, a consuntivo del quinquennio, il quadro è stato nettamente peggiore: la crescita è stata negativa del 2,6%; la disoccupazione è salita all’11,4% rispetto all’8,3% del 2010; il rapporto investimenti/pil è stato del 16,7% rispetto al 20,5% del 2010. Il rapporto debito pubblico/pil non è salito di 3 punti rispetto al 115% del 2010, come si prevedeva nel 2011, ma di ben 18 punti, arrivando al 133%.
Occorre chiedersi se l’accumularsi in questi anni di una così enorme distanza tra previsioni e risultati sia dipeso dalla scarsa reattività del sistema delle imprese, che non ha saputo approfittare delle condizioni di eccezionale favore messe a disposizione dalla politica monetaria, ovvero dai gravi errori della politica di bilancio.
Ad aprile 2011, per l’Italia del governo Berlusconi il Fmi prevedeva una crescita dell’1% per l’anno in corso, mentre per il 2012 stimava un più consistente +1,3%. La crescita andava aumentando lentamente, ma con regolarità, toccando il +1,43% nel 2016. La chiusura del 2010, a preconsuntivo, stimava un +1,3%.
Un anno dopo, nell’aprile del 2012, il quadro si era fatto assai più fosco: mentre il 2011 si chiudeva con un +0,4% del pil, per il 2012 si prevedeva un -1,9%. Il costo degli aggiustamenti fiscale era alto. Curiosamente, però, il consuntivo del 2010 era stato migliore delle stime fatte un anno prima: il pil era cresciuto dell’1,8% anziché dell’1,3%. L’economia italiana, prima delle manovre economiche correttive, era andata meglio del previsto: se nell’aprile del 2011 era stata sottostimata la crescita del 2010, probabilmente il quadro previsionale non era affatto eccessivamente ottimistico. Nell’aprile 2012, la proiezione della crescita italiana con orizzonte al 2016 divenne drammaticamente più bassa rispetto a quella di un anno prima: appena il +2,14% anziché il +7,9% di un anno prima. Il rapporto debito pubblico/pil, il tema cruciale del risanamento richiesto all’Italia dalla comunità internazionale e nella citata lettera dei Governatori, risentì della recessione economica indotta dalle manovre di bilancio restrittive, con il risultato di peggiorare.
Invece di ridursi costantemente rispetto al 2010, cresceva fino al 123,4% nel 2013, per poi calare al 118,9% nel 2016. Già nell’aprile del 2012, quindi, il Fmi prevedeva che l’effetto recessivo sull’economia reale delle manovre di finanza pubblica, avrebbe portato nel lungo termine ad un peggioramento del rapporto debito/pil: nel 2016, sarebbe stato del 118,9% anziché del 117,9% come stimato un anno prima.
Due anni dopo, nell’aprile del 2013, le previsioni del Fmi si fanno ancora peggiori: il calo del pil nel 2012 era stato del 2,4% e non solo del -1,9%. L’effetto recessivo si trascina: nel 2013, la contrazione sarà dell’1,4% e non dello 0,3%. Nel quinquennio 2011-2016 si passa dal +7,9% stimato nel 2011, al 2,14% previsto nel 2012, al +1% del 2013. Gli effetti della recessione hanno un effetto devastante sul rapporto debito/pil: continua a crescere, con un picco che arriva al 130,8% nel 2014, e non già solo al 123,4% nel 2013. Scenderà poi, per arrivare solo al 125,6% nel 2016. Nel frattempo, la disoccupazione cresce al 12% e gli investimenti toccano il livello minimo sul pil con il 17,6%, rispetto al 20% del 2010.
Sempre nell’aprile del 2013, il governo Monti approvò il suo ultimo atto di politica di bilancio: il Def prevedeva che nel 2014 il rapporto debito/pil sarebbe arrivato al 129%, con un incremento di 10,2 punti rispetto alla previsione contenuta nel Def approvato dal medesimo governo Monti un anno prima. Gli errori della politica economica e di bilancio, in termini di eccezionale differenza tra le stime circa le conseguenze indotte nell’economia ed i risultati per la finanza pubblica, risalgono dunque al biennio che va dalla seconda metà del 2011 alla prima metà del 2013, coinvolgendo l’ultima concitata fase del governo Berlusconi e l’intera durata del governo Monti. A settembre 2013, varando l’aggiornamento del Def, il governo Letta si limitò a confermare le stime fatte dal governo Monti. Spettò al governo Renzi, appena entrato in carica, prendere atto nell’aprile del 2014 che il rapporto debito/pil di quell’anno sarebbe stato pari al 134,9%: una enormità in più rispetto al 118,2% stimato da Monti due anni prima.
Per capire chi ha sbagliato, e perché, basta mettere a raffronto le previsioni del Fmi dell’aprile del 2011 con quelle dell’aprile scorso relative ad una serie di Paesi: Cina, Francia, Grecia, Germania, Italia e Stati Uniti. Ci sono Paesi che hanno dovuto effettuale violente correzioni fiscali, ed altri che ne sono andati esenti.
Per la Cina, nel 2011 si prevedeva una crescita nel quinquennio pari al 57,1%, mentre ad aprile scorso il risultato è del +45,5% e il debito pubblico cinese è passato dal 35% al 47% del pil. La Francia, a fronte di una previsione iniziale di crescita dell’11,6%, ha conseguito un +5,3%, mentre il debito pubblico francese è passato dall’85% al 98% del pil. La Germania, che era accreditata di un +11% di crescita, ha conseguito un +9,2%, con una correzione negativa del 16%, mentre il debito pubblico tedesco è sceso dal 78% del 2011 al 68% del 2016: la crescita economica ha ridotto il peso del debito. La Grecia, invece, è passata da una previsione iniziale di crescita del +7,9% ad un risultato di -19,8% nel quinquennio e il debito pubblico ellenico nel 2015 è stato pari al 178% del pil: crollo del prodotto e debito insostenibile sono il risultato della cura imposta dalla Troika.
L’Italia, poi, che era accreditata nel 2011 di un +7,9% di crescita, la stessa percentuale prevista per la Grecia che era stata sottoposta al primo salvataggio, ha conseguito un decremento del 2,6% mentre il rapporto debito pubblico/pil è passato dal 116% del 2011 al 133% di quest’anno. La severità fiscale ha avuto effetti recessivi tali da destabilizzare, anziché consolidare, le finanze pubbliche. Gli Usa, infine, che dovevano crescere del 16,5%, hanno registrato un incremento del pil pari al +12,6% e il rapporto debito federale americano/pil è cresciuto di soli sette punti, passando dal 99% del 2011 al 107% del pil.
Dovunque è stata adottata, la severità fiscale ha fatto collassare le prospettive di crescita, mentre gli effetti recessivi delle manovre sono stati sempre ampiamente sottostimati. È stato conseguito un risultato opposto a quello che ci si era prefisso: i debiti pubblici non sono aumentati per i deficit sconsiderati, ma per il crollo dell’economia. Visto il rallentamento del 2016, ci saranno richieste delle correzioni per mantenere la rotta del deficit e del debito: è il solito mantra che peggiorerà le aspettative delle famiglie e delle imprese. Prima di adottarle, o solo annunciarle, quali che siano, è meglio pensarci ben più che due volte. Anche nel 2011, per fare ancora meglio si fece molto peggio.
di Guido Salerno Aletta, MilanoFinanza 13/8/2016