
Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Ieri Montepaschi ha perso il 16%, un’azione della banca vale adesso appena 26 centesimi, tutte le azioni della banca messe insieme superano a stento i 900 milioni di euro, questo valore di 900 milioni significa che gli otto miliardi di capitali freschi buttati nelle casse di Mps a partire dal 2014 sono praticamentre bruciati. Infine, dall’inizio dell’anno le quotazioni hanno perso il 78,89%. La giornata è stata storta per tutti, in Italia e in Europa. Quello che ha provocato Mps sul listino italiano (Milano è in regresso del 2,76%), ha provocato Commerzbank sul listino tedesco, dove ha perso il 9,19%. Le banche italiane sono tutte sott’acqua, le popolari vendute a man bassa, Unicredit -7%, Intesa -3,8.
• Tutte le volte che parliamo di banche è perché precipitano in Borsa. Ma perché precipitano? Perché precipitano nonostante l’Unione europea? L’Unione europea, centralizzando a Francoforte la politica bancaria, non doveva garantire, oltre ai tassi di interesse bassi, anche un minimo di sicurezza in più?
Le banche precipitano prima di tutto perché l’origine della crisi che chiamiamo dei “subprime”, o almeno che è cominciata con la faccenda dei “subprime” (anno 2007), è di origine bancaria: in America le banche prestavano soldi a chi non era in grado di offrire garanzie e che quindi ha cominciato a non pagare i mutui, in Europa le banche hanno avuto un occhio di riguardo per la politica e gli amici degli amici, e gli amici degli amici sono in genere pessimi pagatori. In America è saltata per aria (tra le altre) Lehman Brothers, in Europa (tra le altre) l’inglese Northern Rock. Pasticciavano con la politica e con i derivati tipo-subprime le banche regionali tedesche (Landesbanken) salvate dalla Merkel in tempi in cui l’aiuto pubblico non era così proibito. Da noi il calvario è recente: Etruria, Chieti, Ferrara, Marche, poi Carige, Popolare di Vicenza, Veneto Banca (a proposito, ieri è stato arrestato Vincenzo Consoli, ex amministratore delegato della Veneto Banca, aggiotaggio e ostacolo alla vigilanza bancaria) e sappiamo che ci sono in giro altri casi di banche e banchette sull’orlo del precipizio. Poi c’è Monte dei Paschi, rovinata dalle scommesse sui derivati, dall’acquisto a prezzo incredibile di Antonveneta e dalla politica di «acquisto del consenso sul territorio e anche fuori dal territorio», condotta dal Partito democratico e dai suoi antenati e che ha incistato nel corpo dell’istituto una quantità di debiti in sofferenza, cioè molto difficili se non impossibili da riscuotere, pari a 27,7 miliardi, una percentuale rispetto al patrimonio nettamente superiore a quella delle banche italiane che hanno a loro volta crediti deteriorati tripli rispetto alla media europea.
• Ma perché il disastro di ieri?
Si è pensato di risolvere il problema di Montepaschi con una procedura molto complicata che tento di spiegarle in due parole: consorzi di banche e un secondo Fondo Atlante capitalizzato con soldi forniti (a forza) dalle casse previdenziali o dalle banche sane metteranno a disposizione a fondo perduto denaro sufficiente per comprare dal Monte dei Paschi questi crediti deteriorati. Saranno valutati a una cifra superiore a quella che offre il mercato, che viaggia intorno al 17% del valore nominale. Più o meno per comprare i 27,7 miliardi di crediti marci si metteranno sul tavolo una decina di miliardi. È un’operazione quasi sicuramente in perdita per chi la fa, ma pazienza: serve a salvare il sistema.
• A quel punto Mps sarà salva?
No, perché aveva in bilancio quei crediti a una somma di 12-13 miliardi. Quindi dovrà registrare una perdita di 2-3 miliardi. Quindi ci vorrà un aumento di capitale, probabilmente di 5 miliardi. Ci sono otto banche, capitanate da JP Morgan, pronte a farsi garanti per questo aumento di capitale. Ma se nessuno poi si presentasse a metter soldi? Le banche scapperebbero e Monte dei Paschi sarebbe forse non sull’orlo, ma addirittura dentro il precipizio.
• Quindi?
Quand’è che gli investitori preferiscono non mettere mano al portafoglio? In presenza di una crisi politica. Siamo, noi qui in Italia, a rischio di crisi politica? Sì, perché gli ultimi sondaggi danno il No vincente sul Sì nel referendum che si svolgerà, presumibilmente, alla fine di novembre. Se vince il No, Renzi si dimette e non si può neanche andare subito alle elezioni perché ci manca una legge elettorale per il Senato. È alle viste un possibile grande caos. Quanto di peggio per finanzieri e speculatori, che in questi casi vendono e si tengono alla larga da qualsiasi potenziale trappola.
(leggi)