TuttoScienze - La Stampa, 3 agosto 2016
Le quattro figlie della pecora Dolly stanno bene
Sono quattro e i nomi condividono la medesima iniziale: Debbie, Denise, Dianna e Daisy. Hanno tra i 7 e i 9 anni e – questa è la notizia – stanno tutte bene. Sono le pecore nate dalla linea cellulare di Dolly, il primo animale clonato nella storia nel 1996 e morto nel 2003: già sofferente di artrite, fu soppresso a causa di una malattia polmonare.
Un evento che diede fiato alla voce di chi, da subito, si era opposto alla clonazione. Messe da parte le questioni etiche, la prematura scomparsa di Dolly fece sorgere il dubbio che la tecnica usata favorisse l’insorgenza precoce di disturbi legati all’invecchiamento. Ipotesi che invece pare ora naufragare, al cospetto delle ultime prove, riportate su «Nature Communications».
Non sarebbe dunque la clonazione – intesa come il trasferimento del Dna da una cellula somatica all’ovocita di un animale della stessa specie, svuotato del materiale genetico – ad accorciare la vita. La scoperta, che rappresenta la prima verifica degli effetti a lungo termine sulla salute della tecnica, porta la firma di un gruppo di ricercatori dell’università di Nottingham e ha visto la collaborazione di Keith Campbell, scomparso nel 2012 ma ritenuto uno dei «padri» della pecora Dolly. Gli studiosi hanno sottoposto i quattro ovini a un check-up completo per verificare la tolleranza al glucosio, lo sviluppo del cuore, il battito cardiaco e la pressione sanguigna. I riscontri sono stati positivi. Nonostante l’età delle pecore sia paragonabile a quella di un uomo a 60 anni, gli animali sono risultati in ottima forma.
È tutto sufficiente per sostenere la sicurezza di una procedura così complessa? «Assolutamente no, anzi: nonostante i progressi, ci sono poche ancora prove a sostegno – ha dichiarato Kevin Sinclair, docente di biologia dello sviluppo dell’ateneo britannico -. I risultati confermano che un animale clonato può vivere a lungo, ma forniscono anche una nuova prospettiva realistica: ricorrere alla clonazione per generare cellule staminali da usare nell’uomo a scopo terapeutico».