Il Sole 24 Ore, 3 agosto 2016
Tutte queste authority e nessuno che sappia disinnescare la mina bancaria prima che esploda
C’è molto rischio-Europa nei crolli in Borsa delle banche europee: un rischio che ha pesato nei cali a picco ieri, ma anche in tutto quest’anno, nel tonfo sonoro di febbraio, nello scivolone di aprile, nei ribassi di giugno e poi ancora nei cedimenti a raffica in luglio e ora a inizio agosto. Quel che i mercati scontano con le vendite massicce dei titoli azionari bancari è un’Europa che serve ma non c’è, e un’Europa di cui si farebbe volentieri a meno, ingombrante con i suoi centri decisionali sparsi ovunque, da Bce a Francoforte all’Eba a Londra, dal Meccanismo unico di risoluzione, Commissione europea, Direzione generale della concorrenza a Bruxelles alle sedi di banche centrali e del Tesoro dei 19 stati dell’Eurozona.
I mercati soffrono l’assenza di un’Europa che dovrebbe accompagnare le banche in questa loro delicata fase di trasformazione, dal deleveraging (riduzione della leva quindi dei rischi) alla creazione del mercato dei capitali unico e all’attuazione del piano Juncker. E gli stessi mercati puniscono la presenza strabordante di un’Europa aggrovigliata su se stessa, che affossa il sistema bancario girando intorno ai problemi senza risolverli (l’Unione bancaria ha una tabella di marcia dai tempi lunghissimi e si è arenata a metà strada), scrivendo regole buone senza adottarle (garanzia unica europea sui depositi o intervento pubblico in casi eccezionali) e applicando con miope ostinazione norme senza precedenti dagli impatti imponderabili (burden sharing e bail-in da risolvi sistemici). Dov’è l’Europa che, all’americana, sarebbe capace di risolvere una crisi bancaria nell’arco di un week-end? Dov’è l’Europa che protegge le banche, le fa crescere, prosperare con più fiducia dei cittadini? Nascondendosi dietro l’obiettivo virtuoso di spezzare la catena che lega rischio-banca e rischio-Stato, l’Europa dà l’idea – soprattutto a chi la osserva al di fuori dei confini europei – che le banche siano un problema non una risorsa, un fastidio non un asset quando in un’economia bancocentrica come quella europea, senza il credito bancario la crescita non decolla.
Le banche hanno le loro colpe e il mercato non fa sconti a nessuno, cala il prezzo delle azioni di chi presta troppo e male, infrange le regole e paga multe salatissime, ha un management ladro o incompetente, rimane schiacciata dai non-performing loans, è esposta oltremisura sui derivati, ha dipendenti e sportelli in eccesso, è sottocapitalizzata, troppo locale o troppo globale... Insomma, in un sistema bancario che conta 5.192 istituti nell’eurozona (6.776 nella Ue), c’è un po’ di tutto. I mercati, è inevitabile, reagiscono male, stizziti quasi, quando sono costretti a occuparsi di infinite tabelle di uno stress test reso noto a fine luglio ma costruito su bilanci fermi al 31 dicembre dell’anno prima, disegnato da un’autorità europea, l’Eba, che non può imporre un aumento di capitale ma solo suggerirlo a un altro organo, la Bce, che come Meccanismo unico di vigilanza darà un verdetto sul capitale delle banche dopo altri quattro-cinque mesi.
Perchè lo scenario avverso dello stress test è opera dell’ennesimo board, European Systemic Risk Board, i cui 50 superesperti sono specializzati solo in rischio sistemico? E perché la “DG comp” si occupa di tutto, di lavatrici come di banche? E perché il Fondo di risoluzione unico sarà operativo a pieni giri nel 2024? E ancora: perché i membri del Meccanismo unico di risoluzione partecipano al supervisory board che valuta l’opportunità di un aumento di capitale di una banca che è perfettamente in bonis e solvibile e lontana dal campo di azione del Board della risoluzione? Chi, in Europa, ha l’ultima parola per disinnescare la mina del rischio sistemico prima che esploda?