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 2016  agosto 03 Mercoledì calendario

APPUNTI PER GAZZETTA - CHE GUERRA CI ATTENDE IN LIBIA


REPUBBLICA.IT
ROMA - Il Governo italiano è pronto a mettere a disposizione le basi militari agli Usa impegnati nei raid anti Is in Libia. Ma dall’opposizione protesta Sinistra italiana che chiede la legittimazione del voto del Parlamento per un eventuale ruolo italiano nelle missioni militari. L’intervento americano acuisce intanto le tensioni interne in Libia: il Parlamento di Tobruk (che non ha ancora votato la fiducia al governo appoggiato dall’Onu del premier al Sarraj) ha convocato l’ambasciatore americano.
Pinotti: "Sì a basi per rapida conclusione". "Il Governo è pronto a considerare positivamente un eventuale utilizzo delle basi e degli spazi aerei nazionali a supporto dell’operazione militare Usa in Libia, dovesse tale evenienza essere ritenuta funzionale ad una più efficace e rapida conclusione dell’azione in corso". Il ministro della Difesa, Roberta Pinotti, rispondendo al question time alla Camera sui bombardamenti americani contro l’Is nell’area di Sirte in Libia - che hanno suscitato la protesta di Tobruk - , ha ribadito che "l’Italia finora non è stata interessata" all’intervento americano che si svolge "in piena coerenza con la risoluzione Onu" e non prevede "l’uso di forze a terra, ma è volta a consentire alle forze libiche di sconfiggere l’Is a Sirte".
"Il governo - ha precisato il ministro - mantiene aperta una linea di dialogo diretta e assidua sia con la controparte libica, sia con gli alleati americani per verificare lo sviluppo dell’operazione e la necessità di un supporto indiretto. "Il Governo ritiene che il successo della lotta tesa alla eliminazione delle centrali terroristiche dell’Is in Libia sia di fondamentale importanza per la sicurezza non solo di quel Paese, ma anche dell’Europa e dell’Italia".
"Aggiungo che l’Italia è fin dall’inizio convintamente parte della lotta anti Is e con altrettanta determinazione - ha proseguito Pinotti - sostiene come fondamentale il coinvolgimento diretto e attivo delle popolazioni e dei Governi locali nella lotta al terrorismo cui dare, su specifica richiesta, il necessario supporto. Tale richiesta di supporto emerge chiaramente dalle parole del presidente al Sarraj che, nell’ affermare l’adesione della Libia alla Coalizione anti Is, dichiara che ’tutte le Nazioni non devono lasciare i giovani libici combattere da soli questo nemico e al posto loro’, reiterando inoltre il suo ’apprezzamento e considerazione per tutte le Nazioni che daranno supporto alla Libia in questa impresa’. "L’attività condotta dalle forze statunitensi - ha concluso il ministro - si sviluppa in piena coerenza con la Risoluzione delle Nazioni Unite (numero 2259 del 2015) e in esito a una specifica richiesta di supporto formulata dal legittimo Governo Libico per il contrasto all’Is nell’area di Sirte. Come è noto, le forze locali libiche - in particolare quelle che hanno riconosciuto il Governo di al Sarraj - stanno combattendo una dura battaglia per contrastare l’Is proprio nella regione di Sirte. È, tuttavia, un contrasto portato avanti fra grandi difficoltà e a caro prezzo, per i militari governativi e la popolazione civile, in particolare per la mancanza di capacità per l’identificazione dei bersagli militari e per il loro ingaggio di precisione".
Scotto, Si: "Voto del Parlamento". "Le parole della ministra Pinotti sono state chiare: l’Italia è pronta a concedere le basi e lo spazio aereo per i bombardamenti americani in Libia. Sinistra Italiana chiede al governo un passaggio parlamentare e un voto formale del Parlamento". Lo ha chiesto il capogruppo di Sinistra Italiana alla Camera, Arturo Scotto.
Tobruk convoca ambasciatore Usa. Il Parlamento di Tobruk - che non ha ancora votato la fiducia al governo
di al Sarraj - ha convocato l’ambasciatore Usa in Libia per essere ascoltato dalla Commissione della Difesa e della Sicurezza nazionale "per chiarire - riferisce una nota - i raid Usa e le violazioni aeree senza permesso", sulla città di Sirte contro l’Is.

PAKISTANO ESPULSO
Farouq Aftab, il 26enne pakistano residente a Vaprio d’Adda, in provincia di Milano, espulso dall’Italia con decreto firmato dal ministro dell’Interno Angelino Alfano, aveva un passato da giocatore di cricket e aveva vestito la maglia della nazionale italiana under 19 diventandone il capitano nel 2009. Lo confermano alcuni siti specializzati che registrano tutte le presenze dei singoli giocatori del cricket, uno sport molto popolare in Pakistan.

"Lo conoscevo molto bene, ha giocato da noi fin da quando è arrivato in Italia 13 anni fa e ha fatto tutto l’iter di un normale giocatore", ha spiegato Fabio Marabini, presidente del Kingsgrove Club di Milano, la società sportiva del giovane pakistano. "Era un bravissimo ragazzo, sempre pronto ad aiutare gli altri. Andava anche a fare volontariato con i disabili ed era ben inserito con i suoi compagni e in Italia - prosegue Marabini - se solo la metà delle cose che ho letto è vera, allora vuol dire che è una persona del tutto diversa da quella che conoscevo".

La svolta nella vita di Aftab è arrivata a maggio quando il 26enne ha comunicato alla moglie 22enne che da qualche mese aveva seppellito a forza sotto un burqa la decisione di partire per la jihad. Addio a Vaprio d’Adda, addio al posto da magazziniere al Decathlon di Basiano: il giuramento che aveva fatto a gennaio ad Al Baghdadi, da solo, in casa, come consentono i precetti di Dabiq (la rivista dell’Is e principale strumento di propaganda del Daesh) non doveva più restare lettera morta.

Solo che il 26enne pakistano e aspirante terrorista non aveva trovato su internet i legami giusti. E, su impulso del procuratore aggiunto Riccardo Romanelli e del pm Piero Basilone (che avevano raccolto un anno di indagini del Ros milanese guidato dal colonnello Paolo Storoni), è arrivato ieri pomeriggio il decreto di espulsione firmato dal ministro dell’Interno Angelino Alfano: "Aveva manifestato l’intenzione di compiere attentati", ha spiegato il titolare del Viminale mentre Farouq era già in volo per Islamabad". Un percorso di radicalizzazione sulle orme dell’albanese Bledar Ibrahimi, espulso lo scorso marzo, un’impennata costante dalle prime allarmanti frasi captate dagli investigatori lo scorso ottobre mentre il pakistano, passando in auto davanti all’aeroporto di Orio al Serio, commentava: "Qua è facile se uno vuole attaccare un aereo, c’è solo un filo di recinzione. Bisogna fare danni, stanno ammazzando i musulmani".

Così era passato al tentativo di indottrinare la moglie: "Ti devo insegnare a guidare, così vai ad aiutare qualche mujaheddin ad ammazzare gli sciiti, oppure ammazzi qualche militare".
Si era informato sugli esplosivi e sui metal detector: "Per costruire una bomba - dice un giorno davanti a un centro commerciale - puoi comprare qui cose semplici. E con la gomma la bomba esplode". A San Silvestro, davanti a un’enoteca di Vaprio, spiega alla moglie: "Qua possiamo mettere la bomba o sparare col kalashnikov. Devono aver paura". E due giorni prima di Pasqua, ai fedeli che uscivano dalla chiesa del paese, urla: "Miscredenti! Infedeli!".


GENOVA - Ci sono anche tre imam tra gli indagati nell’inchiesta che ha portato all’arresto di Mahmoud Jrad, il siriano di 23 anni che stava per arruolarsi in Siria tra le fila del gruppo salafita Al-Nusra. Oltre all’arrestato, sono sei gli indagati. Tra questi, oltre ai tre imam genovesi, il fratello del giovane e altre due persone che frequentano le moschee. Sarebbero coinvolti anche i tre libici fermati nei primi giornid ell’anno in porto con tre auto sospette.

Secondo quanto ricostruito dagli investigatori, coordinati dal pm Federico Manotti, il giovane siriano arrestato a Varese sarebbe arrivato in Italia nel 2012 e sarebbe venuto a Genova alla fine del 2015 dove avrebbe iniziato a frequentare alcuni luoghi di culto islamico del centro storico, in piazza Durazzo e vico Amandorla in particolare. Il giovane era stato segnalato dall’intelligence perché nel 2015 era andato in Siria per unirsi ai combattenti contro il regime di Assad. I genitori del giovane avrebbero cercato di contrastare la partenza senza riuscirci.
Genova, un siriano arrestato per terrorismo, parla il procuratore Cozzi
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Era già stato nei teatri di guerra in Siria un anno fa il siriano arrestato questa mattina a Genova dalla polizia in un’operazione antiterrorismo. Secondo quanto si apprende da fonti qualificate, il suo nome non era inserito nell’elenco dei circa 110 foreign fighters che hanno avuto a che fare in qualche modo con l’Italia, ma la sua volontà di tornare a combattere sui fronti di guerra é emersa chiaramente nei giorni scorsi, tanto da far scattare il provvedimento di fermo per evitare che riuscisse a fuggire. Le indagini dell’Antiterrorismo, con il contributo fornito dall’intelligence, hanno infatti accertato che il siriano era intenzionato a raggiungere le fila di Jabat al Nusra, la formazione di origine qaedista che, sottolineano le fonti, attualmente sta vivendo un momento non semplice. E proprio la ferma volontà del siriano di andare comunque in Siria nonostante le difficoltà di Al Nusra, confermerebbe la sua pericolosità. Il ragazzo sarebbe entrato in contrasto con la comunità musulmana di Varese, dove viveva con la famiglia, per le sue idee troppo ortodosse. Si sarebbe così avvicinato a esponenti salafiti che lo avrebbero indirizzato a Genova, dove è stato diverse volte dal febbraio scorso. I luoghi di culto frequentati dal giovane sono due moschee del centro storico, piazzetta Durazzo e vico Amandorla, una di Sampierdarena, in via Castelli e una a Rapallo. Quella di vico Amandorla era stata anche frequentata da Giuliano Delnevo, il genovese convertito morto in Siria nel 2013, nel periodo tra il 2009 e il 2011.
Questi luoghi di culto sono stati perquisiti questa mattina. I controlli hanno portato a indagare tre imam, uno albanese e due marocchini, e altre due persone nordafricane che frequentano le moschee.
L’imam albanese, inoltre, sarebbe stato contattato a gennaio anche da uno dei tre libici arrestati in porto mentre sbarcavano da un traghetto proveniente dalla Tunisia. I tre erano stati fermati perché trovati in possesso di documenti delle auto su cui viaggiavano di dubbia provenienza e foto legate all’Isis sul cellulare. I tre, dopo oltre un mese passato in carcere, erano stati scarcerati ma di loro si sono perse le tracce


"Questa operazione ha voluto dimostrare l’attenzione e il monitoraggio continuo da parte delle forze dell’ordine sul fenomeno della radicalizzazione di tipo religioso". E’ quanto ha detto il procuratore capo di Genova Francesco Cozzi in merito all’inchiesta della procura distrettuale antiterrorismo del capoluogo ligure che ha portato all’arresto di un ragazzo siriano di 23 anni che stava per partire per la Siria per combattere tra le fila del gruppo Al-Nusra.
"Anche se non c’erano segnali di possibili azioni criminali
in Italia - ha proseguito Cozzi - abbiamo voluto evitare che potesse accadere quanto successo in altri Paesi, anche vicini al nostro, e prevenire possibili eventi tragici". Gli investigatori hanno sottolineato anche l’importanza della collaborazione e scambio di informazione tra gli inquirenti liguri e quelli lombardi, in particolare la Digos di Genova e di Varese e gli agenti della polizia postale del capoluogo ligure e di Milano.

LIMES
“Quello delle «tribù» è uno dei grandi miti del dibattito politico italiano sulla Libia.

A volte ricondotto alle tre province ottomane (Tripolitania, Cirenaica e Fezzan), questo paese viene spesso descritto come un coacervo di lotte ancestrali tra tribù quasi primordiali.

Essendo sostenuta dagli egiziani, alla luce dei rapporti tra il loro pupillo Haftar e alcune tribù della Cirenaica, la teoria della preminenza delle tribù viene quindi acquisita dalla nostra classe politica per via della relazione speciale tra Renzi e al-Sisi.

A livello intellettuale, il grande teorico del tutto-è-riconducibile-alle-tribù è l’ambasciatore libico negli Emirati ‘Arif al-Nayif. Così vicino alle posizioni anti-Fratellanza dei suoi ospiti da essere spesso definito come «l’ambasciatore degli Emirati in Libia», al-Nayif ebbe un ruolo importante nella (disastrosa) transizione del dopo-Gheddafi e alcuni paesi europei, in primis la Gran Bretagna, hanno imparato a diffidare di lui. Tuttavia, la sua aura di intellettuale e teorico sufi gli garantisce ancora notevole spazio, grazie anche al suo think tank Libya Institute for Advanced Studies.

La dimensione tribale è senz’altro importante per capire la Libia rurale e desertica, ma i grandi gruppi in lotta per il potere hanno tutti origine negli anni di Gheddafi o, in maggioranza, nella lotta per rovesciarlo.

Si può descrivere la grande faglia politica nella Libia di oggi ricorrendo a una metafora: lo scontro è tra «badogliani» (membri del vecchio regime che hanno contribuito al suo rovesciamento nel 2011) e rivoluzionari duri e puri, in gran parte ma non esclusivamente islamisti.”

Citazione da “Il paziente libico è morto (per l’Occidente)“, presente come la carta in Bruxelles, il fantasma dell’Europa