Laura Laurenzi, Oggi 3/8/2016, 3 agosto 2016
Biografia di Yves Montand
Lui aveva le ossa rotte per un amore finito male. La storia con Edith Piaf era durata tre anni, sodalizio artistico-sentimentale che aveva del portentoso. Quando si incontrano lei è già al vertice; lo guida, lo consiglia, lo plasma, lo avvicina alle sirene dell’esistenzialismo, lo sprovincializza, lo fa vestire di nero, gli presenta Prévert, lo introduce nell’olimpo della rive gauche, lo copre di doni vistosi, da ex poveri: catene, anelli, bracciali d’oro massiccio. Soprattutto gli regala canzoni che hanno fatto la storia, basta citarne una: La vie en rose.
Dire che lui veniva da zero è un eufemismo. Il migrante Ivo Livi è arrivato a Marsiglia da Monsummano, Pistoia, a tre anni, su un carretto di stracci. Il padre era un esule antifascista che sognava l’America ma si accontentò di vivere nella banlieu più miserabile del porto francese. «Ivo, monta!», gridava al bambino dalla finestra la mamma quando era pronta la cena. Da quel richiamo nascerà il suo nome d’arte. Ma prima di diventare lo showman più famoso di Francia e anche un paladino dei diritti civili, prima di cenare al Cremlino con Kruscev e alla Casa Bianca con Kennedy, prima di prender il tè con il maresciallo Tito, giocare a poker con Henry Fonda, fare impazzire Marilyn Monroe, mandare in delirio l’Olympia di Parigi e il Metropolitan di New York, sfiorare la candidatura all’Eliseo, Yves Montand dovrà percorrere una lunga strada in salita.
Comincia a lavorare dopo la quinta elementare: fa il barista, il fattorino, lo scaricatore di porto, l’operaio, il manovale, a 14 anni persino lo shampista. Di sera canta nelle balere e nei bar e sogna la gloria. Marsiglia gli va stretta e nel 1944 plana sulla Parigi della Liberazione, determinato a farcela. Il suo colpo di fortuna è sostituire all’ultimissimo momento un cantante che fa da spalla nientemeno che alla Piaf, al Moulin Rouge. Lei ha 29 anni, lui 23: si scrutano, si piacciono e dopo una settimana vivono già insieme. La loro è una bohème esaltante. È lui fra i due ad amare di più, «vittima», scriverà nella sua autobiografia, «dell’incantesimo, dell’ammirazione e della solitudine di Edith». La Piaf non è ancora “l’angelo nero” che Cocteau avrebbe visto in lei, non ha nulla di quell’immagine maledetta e autodistruttiva - droghe, malattia, psicofarmaci - che l’accompagnerà negli anni a venire. «Era fresca, carina, buffa e crudele, presa da folle passione per il suo mestiere, ambiziosa, minuta, fedele finché era innamorata, desiderosa di credere alla sua storia d’amore, ma capace di rompere con una forza inaudita», sempre secondo le parole di Montand. Ed è lei a stancarsi per prima, proprio quando lui sta bruciando le tappe, quando espugna il Teatro dell’Etoile e nel giro di una notte diventa una star, vive un’autentica apoteosi, canta Les feuilles mortes, è lo chansonnier più osannato di Francia.
SCARICATO DA EDITH PIAF
Dall’oggi al domani Edith Piaf lo lascia, decide che basta, smette di amarlo, spegne l’interruttore. Je ne regrette rien. Forse il successo del giovane compagno è troppo ingombrante perché non rischi di mettere in ombra il suo. Montand precipita in «un baratro, un buco nero» e decide a caldo di non innamorarsi più. Mai più. Non che scelga la castità: al contrario, le donne che gli si gettano fra le braccia sono decine e decine, ma è soltanto sesso. Sesso senza amore.
La data da cerchiare sul calendario è il 19 agosto del 1949, il giorno in cui incontra Simone Signoret, e nulla sarà più come prima. Lei è già un’attrice famosa, bionda e lucente, gli occhi verdi-azzurri di una pantera. Entra nel ristorante in cui Yves sta pranzando con due amici, la Colomba d’oro a Saint Paul de Vence in Provenza, accompagnata da Jacques Prévert. È una visione: gonna da gitana, piedi nudi, camicia bianca annodata sotto il seno. Le presentazioni non sono ancora finite che è già scoccato il reciproco colpo di fulmine: i due tavoli si uniscono, come si uniscono per sempre i destini.
UNA CERIMONIA IN STILE PROVENZALE
Dopo nemmeno due ore sono già a letto insieme: «Ho una casetta in paese», sussurra Simone. «Se vuole può venire a riposarsi da me». Donna integerrima, nemica dei sotterfugi, di lì a qualche giorno la Signoret corre dal marito, il regista Yves Allégret, a raccontargli tutto. Rimedia due schiaffoni ma ben presto ottiene il divorzio e l’affidamento della loro bambina di tre anni.
Non si sono più lasciati: 36 anni insieme. Ci saranno fughe, brevi abbandoni, lunghe avventure ma Casco d’oro resterà saldamente e per sempre la donna della sua vita, l’unica con cui ha un rapporto alla pari, sua coetanea, compagna di successi e battaglie politiche, di militanza e d’impegno, il suo punto di riferimento cui essere fedele anche nell’infedeltà.
Molto più di Edith Piaf, lei lo introduce nei cenacoli della gauche, nei caffè letterari, lo porta a cena con Jean Paul Sartre e con Louis Aragon, con Gérard Philipe e con René Clair. Prévert sarà il loro testimone di nozze, celebrate il 21 dicembre del ’51 nel municipio di Saint Paul de Vence. Ad accogliere gli sposi una pioggia di petali di rose e musica di tamburelli, secondo la tradizione provenzale. Lei annota: «Ero felice come una bambina la mattina di Natale». Fra i regali c’è anche quello di Picasso: un suo disegno con dedica. Il pranzo di nozze naturalmente viene imbandito alla Colomba d’oro.
Intanto il successo internazionale di Montand si muta in trionfo. All’Etoile tiene cartellone per sei mesi. Simone non si metterà mai in competizione con lui, lo segue, lo accompagna. Lei che lo sopravanza intellettualmente, culturalmente, socialmente, si fa adorante e sottomessa, si annulla. Abbandona il cinema per un anno e mezzo, ma poi riprende: è lui a chiederglielo. E ne vale la pena: sul suo cammino si profila un Oscar 1960.
CON MARILYN GALEOTTO FU IL COPIONE
Il capitolo Marilyn si apre quando Yves Montand e la sua celebre moglie sono all’apice della fama. Dopo la presa di distanze dai grandi partiti di sinistra, lo chansonnier arriva a New York con l’aureola del perseguitato politico. Il suo debutto a Broadway è un altro trionfo, salutato da una lunghissima standing ovation. Fra i molti personaggi accorsi ad applaudirlo la sera della prima in piedi a chiedere il bis c’è anche Marilyn Monroe: «È fantastico! Canta con tutto il corpo», dirà. E la sera dopo torna a vedere lo spettacolo estasiata. In tempi non sospetti, prima di innamorarsi, scriverà: «Dopo mio marito Arthur Miller e assieme a Marlon Brando, credo che Yves Montand sia l’uomo più attraente che io abbia mai incontrato».
Lo impone alla produzione dell’ultimo film di Cukor come protagonista maschile da scritturare al suo fianco. Spetta a lei decidere, non è forse l’attrice più pagata del mondo? Ha già scartato Yul Brinner, Cary Grant, Charlton Heston. Il film, mai titolo sarà più profetico, si chiama Facciamo l’amore. Durante le riprese i Montand e i Miller alloggiano in bungalow gemelli e confinanti nel lussuoso Hotel Beverly Hills. Familiarizzano, si frequentano, spesso cenano insieme, Marilyn prende lezioni di canto, Yves si forza di imparare la parte in una lingua che non conosce, Miller scrive sulla sua portatile, Simone si gode la vacanza nell’attesa di vincere l’Oscar con La strada dei quartieri alti sbaragliando Liz Taylor, Katharine Hepburn, Doris Day, Audrey Hepburn. L’inevitabile accade quando i rispettivi coniugi sono in Europa. Come ogni pomeriggio Yves bussa alla porta di Marilyn per provare insieme la parte: «Io la guardo e penso che è tremendamente bella, sana, desiderabile - ma non la desidero, ho la testa altrove... semplicemente ne subisco la fortissima radiazione, subisco l’impatto del suo radioso carisma», racconterà Montand. Ma una sera il consueto bacio della buonanotte si trasforma in qualcos’altro. Mandare tutto a monte per Marilyn? È una prospettiva che Yves Montand, a 39 anni, non prende in considerazione: «Neppure per un attimo ho pensato di lasciare mia moglie, ma se fosse stata lei ad andarsene, sbattendo la porta, probabilmente mi sarei rifatto una vita con Marilyn». E invece no. Simone capisce che vincerà la partita solo giocando il ruolo più difficile della sua carriera: quello della moglie che perdona.
Pur tra molti tormenti Montand decide di dare un taglio netto alla nuova favola. Non è un compito facile dare il benservito a Marilyn, che invece ha preso questa love story sul serio. È gelosissima di Simone: «Ha l’Oscar - si sfoga - ha Yves, è intelligente, tutti la trattano con riguardo. E io che cos’ho?». Si dicono addio sul sedile di una Cadillac, tre ore abbracciati, parlando a voce bassa di un progetto di vita che non ha mai preso forma. Sei mesi più tardi Marilyn annuncerà di aver chiesto il divorzio. Intanto tempesta Yves di lettere, lacrime, telegrammi, telefonate. Lo invita a New York, annuncia che sta marciando su Parigi. Sarà la stessa Simone a supplicarla di smettere, di lasciarlo in pace. Ma dopo la sbandata, qualcosa si incrina. Il sodalizio fra coniugi, fra sodali, fra complici perdura, ma l’idillio è appannato. È come se, di fronte a quel tradimento, Simone Signoret si lanciasse in una fuga in avanti verso la vecchiaia precoce, verso il decadimento fisico. Si lascia malinconicamente, rabbiosamente ingrassare: i suoi silenziosi alleati nella corsa verso l’annientamento sono il cibo e l’alcol. Montand, invece, conosce una seconda giovinezza, avrà molte altre donne famose e no, si legherà a una ragazza che ha 40 anni meno di lui e diventerà padre in età avanzata: la sua vitalità è spasmodica, un’esuberanza affannata.
Simone si ammala di cancro e muore, assistita dalla figlia, un limpido 30 settembre del 1985, all’età di 64 anni. Ai funerali nel cimitero di Père Lachaise, Montand getterà una rosa rossa sulla bara. Le sopravviverà per sei anni. Verrà sepolto accanto a lei in una sorta di tomba matrimoniale come quella, poco distante, di Sartre e di Simone De Beauvoir.
Laura Laurenzi, Oggi 3/8/2016