di Marco Travaglio, il Fatto Quotidiano 3/8/2016, 3 agosto 2016
QUEI FURBETTI DEL CACTUS CHE BALLANO SOLO DUE ESTATI
Che estati, quelle del 2004 e del 2005. Le due sole estati in cui ballano i “furbetti del quartierino”, per dirla col più pittoresco del gruppo, Stefano Ricucci da Zagarolo. Tutto comincia in quella di 12 anni fa a Palazzo Koch, sede di Bankitalia. Il governatore Antonio Fazio ha un problema: il ministro berlusconiano Giulio Tremonti, che lo chiama “lo stregone di Alvito” (dov’è nato, in Ciociaria), spalleggiato dalla Lega Nord reclama la sua testa per la mancata vigilanza sui crac Cirio e Parmalat. Fazio cerca sponde a destra. E finisce per trovarle proprio tra i “barbari” padani. Il trait d’union è l’amico Gianpiero Fiorani, disinvolto banchiere di curia, patron della Popolare di Lodi (Bpl), molto legato al Carroccio, a Silvio e Paolo Berlusconi. Con la scusa di difendere l’“italianità delle banche”, il governatore ha in mente di appoggiare Fiorani nel folle piano di fusione fra la piccola Bpl e la grande Antonveneta di Padova, che fa gola al colosso olandese Abn Amro. Così mette i bastoni tra le ruote agli odiati stranieri, mentre Fiorani si dà da fare in Parlamento per formare un “partito fazista” che smorzi le ire tremontiane. I leghisti ci stanno, in cambio del salvataggio della loro Credieuronord dalla bancarotta.
Fiorani sonda il berlusconiano Luigi Grillo, che a luglio gli procura un appuntamento col premier Berlusconi a Villa Certosa, in Costa Smeralda, per la benedizione apostolica. La scena, poi raccontata dal banchiere ai pm di Milano, è da film di Fantozzi. “Facemmo un pranzo con Gigi Grillo, Berlusconi e Previti più le mogli, per parlare del mio progetto di mettere insieme Lodi e Antonveneta. Faceva un caldo enorme, afoso… Quando Gigi Grillo mi ha detto: ‘Ma cosa gli portiamo a Berlusconi?’, io ho detto: ‘Mah, non lo so, non ho idea’”.
Alla fine i due optano per un gigantesco cactus. “E quando siamo andati alla mattina col tenderino fino al molo, siamo entrati… col cactus nel cartone. Grillo ha detto alle guardie al molo: ‘Questo sarebbe il presente per il presidente del Consiglio’. E loro ci han detto: ‘Prego, portatelo pure su’. Ma questo pesava… 40 chili di cactus, per cui ci siamo messi lì… abbiamo fatto un dislivello di 400-500 metri sotto il peggior sole, era San Lorenzo… Sono arrivato… Grillo aveva questa energia enorme, era ancora in forma, io sono arrivato letteralmente bagnato fradicio… Il protocollo era di stare tutti in bianco, camicia bianca e pantaloni bianchi… Sono arrivato lì… lui aveva appena fatto il trapianto. La bandana no, aveva il cappello tipo safari…”.
B. si disinteressa sia del prezioso presente, sia del piano Bpl-Antonveneta. E dire che Fiorani, sul calvario di Villa Certosa, si era pure ferito il costato con le spine del cactus: “C’era anche il cartone, ma le spine pungono… Pungeva parecchio e la camicia era bucata dalle punte del cactus. L’abbiamo ancora lì questa camicia bianca. Non l’ho più indossata, ma l’ha conservata. Tutto è partito da lì”.
Alla fine il premier bofonchia un mezzo via libera alla scalata. Il resto lo fa Fazio, bypassando la Vigilanza di Bankitalia che sconsigliava vivamente un’operazione tanto demenziale. Fiorani però da solo non ce la può fare. Così entrano presto in scena gli altri furbetti: gli “immobiliaristi” Danilo Coppola e Giuseppe Statuto, raider rampanti dalle fortune misteriose. Ai quali si aggiungono il finanziere bresciano Emilio Gnutti e i due amministratori di Unipol (la compagnia assicurativa delle coop rosse), Ivano Sacchetti e Giovanni Consorte. Dal novembre 2004, tramite prestanomi e società offshore finanziati di nascosto con soldi Bpl, Fiorani rastrella pacchetti di azioni padovane. Una scalata occulta, vietata dalla legge Draghi che impone di dichiarare gli acquisti consistenti di azioni e di lanciare l’Opa una volta raggiunto il 30% di una società.
Ora però bisogna soddisfare l’altra sponda politica, quella di centrosinistra, per garantirsene almeno la neutralità. E infatti l’Unipol e i retrostanti Ds vengono compensati col via libera di Fazio e l’appoggio dei furbetti alla scalata della Bnl, su cui hanno lanciato un’Ops i baschi del Banco di Bilbao. Anche lì, le azioni vengono rastrellate sottobanco, senza lanciare l’Opa al 30%. I vertici Ds spalleggiano il blitz in pubblico e soprattutto in privato, come risulterà dalle intercettazioni (Piero Fassino a Consorte: “Allora, siamo padroni di una banca?”; Max D’Alema a Consorte: “Evvai Gianni!”).
Ma c’è pure una terza scalata, intrecciata con le altre due. Quella per espugnare un bel pezzo di editoria italiana: il 30 giugno 2005 Ricucci, azionista di Bnl e alleato di Fiorani, annuncia di aver superato il 20% di Rcs Mediagroup che controlla il Corriere della Sera, diretto da Paolo Mieli e inviso a Fi e ai Ds.
A far saltare il triplo gioco sporco provvede la Procura di Milano, che si muove su un esposto anti-Fiorani di Guido Rossi, legale di Abn Amro. Per due mesi, per ordine di un gip coraggioso come Clementina Forleo, vengono intercettati gli scalatori e il governatore, tutti indagati per aggiotaggio e altri reati finanziari. Poi, a fine luglio, la Forleo esce allo scoperto sequestrando le azioni rastrellate nelle scalate occulte e incrociate. Forza Italia, Ds e anche la Lega (tutti i partiti tranne la Margherita di Rutelli, Prodi e i suoi) difendono a spada tratta l’indagato Fazio. Almeno fino all’autunno, quando il governatore – col dilagare dello scandalo in tutto il mondo – è costretto a mollare. Anche perché da mesi i giornali sono pieni di intercettazioni.
Da quelle pecorecce di Ricucci sui “furbetti del quartierino” che sbaraglia il “salotto buono” di chi “fa il frocio col culo de l’altri”. A quelle, infinitamente più gravi, dell’arbitro-giocatore Fazio che avvisa segretamente Fiorani di aver “messo la firma” sulla sua scalata illegale, ricevendone in cambio un “Tonino, sono commosso, ti darei un bacio sulla fronte”. Poi gli dà appuntamento a Bankitalia, ma lo avverte di non dare nell’occhio: “Passa come al solito dal dietro”, cioè dall’uscio secondario di viale dei Serpenti. Potenza della toponomastica.
di Marco Travaglio, il Fatto Quotidiano 3/8/2016