Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
I minatori della Carbosulcis hanno sopseso l’occupazione dei pozzi di Nuraxi Figus (siamo in provincia di Carbonia-Iglesias). Venerdì c’erano stati degli incontri al ministero, a Roma, e lì Passera aveva assicurato: «La miniera non subirà la paventata interruzione dell’attività al 31 dicembre». Il progetto “carbone pulito” non è stato bocciato. La via per uscire da quella situazione intricata sarà quella di proporre al parlamento la proroga della scadenza prevista dalla legge (il prossimo 31 dicembre, appunto). In questo modo, l’attività potrebbe prolungarsi ancora di sei mesi «e poi magari di altri sei mesi» (così il sottosegretario allo Sviluppo Claudio De Vincenti). Naturalmente i lavoratori sospendono l’occupazione, ma non la mobilitazione. Vogliono a tutti i costi il rilancio della miniera.
• Come stanno le cose? Perché Carbosulcis dovrebbe chiudere?
Da anni l’Europa ha aperto una procedura d’infrazione contro l’Italia, proprio per i denari girati a quella miniera e considerati, inevitabilmente, aiuti d stato.
• In ogni caso, siamo di nuovo alle prese con aziende che perdono e devono essere salvate dal denaro di tutti.
Sì, sarà bene però inquadrare il problema nel contesto della situazione generale sarda. Stanno chiudendo l’Alcoa di Portovesme, non ci sono praticamente speranze di riaprire Euroalluminia (di proprietà dei russi, che fanno lavorare 35 persone su 400), nessuno si ricorda più della Vilnys di Porto Torres, la disoccupazione nell’isola è al 16% e arriva al 24% per gli under 25. Nell’ultimo anno hanno chiuso 1.213 aziende, 1.700 sono in crisi, 21 mila posti di lavoro sono stati cancellati nel 2011, in tre anni le esportazioni sono calate del 40%, 20 mila lavoratori sono in cassa integrazione, altri 110 mila campano comunque con qualche ammortizzatore sociale, fra operai e tecnici gli esodati sono quattromila. Si preparano alla rivolta anche i diecimila pastori dell’isola, a cui le banche stanno chiedendo il rientro dai fidi. In questo quadro, che ci si lambicchi il cervello per vedere se esiste una strada per salvare la miniera di Carbonia è comprensibile.
• Questa strada esiste?
Io non so rispondere. A guardare la storia della Carbosulcis si direbbe di no. Lì tirano fuori il carbone dalle viscere della terra fin da metà Ottocento. Ma è carbone cattivo, con troppo zolfo, vanno in crisi già ai primi del Novecento. Seguono: la ciambella di salvataggio lanciata dall’autarchia fascista a metà degli anni Trenta, crisi dopo la fine della guerra, interviene l’Enel che vuole produrre energia con il carbone, dura fino al 1971 perché l’energia che si ricava in questo modo è troppo cara, dall’Enel l’azienda passa all’Egam, poi all’Eni (siamo al 1978), nel 1985 lo Stato mette 512 miliardi che non portano a niente perché fino al 1993 non si estrae neanche un chilo di carbone. L’Eni abbandona la partita, proteste, un decreto del 1994 impone la riapertura degli impianti, 420 miliardi a fondo perduto e l’obbligo per l’Enel di comprare l’elettricità dal Sulcis, pagandola tre volte il prezzo di mercato. L’Enel si rifà aumentando il prezzo nelle bollette, cioè alla fine sono sempre i consumatori o i cittadini a dover tirare fuori i soldi. Lo spreco è durato fino ad ora. Lo Stato, per convincere la canadese Alcoa a usare l’energia del Sulcis, ha – come si dice – “sussidiato il prezzo”. Adesso la Carbosulcis è della Regione Sardegna, e c’è la crisi. Il prezzo non si può più sussidiare, oltre tutto ce lo vieta l’Europa. I canadesi dell’Alcoa si stanno trasferendo da un’altra parte.
• Non si potrebbero riconvertire, questi lavoratori? Fargli fare qualcos’altro?
A Nuraxi Figus lavorano 520 persone, nel sottosuolo ci sono 30 chilometri di gallerie, quattro pozzi, il più profondo dei quali a quasi 500 metri. I sindacati insistono che tutto questo va trasformato in un deposito di anidride carbonica con cui produrre energia per l’isola. L’Europa, sul progetto, è negativa. Ci vogliono duecento milioni l’anno per otto anni, li dovrebbe comunque mettere lo Stato e sarebbe turbativa della concorrenza. Da Bruxelles aggiungono che di impianti simili ne esiste uno solo, e dal conto economico dubbio. Da Carbonia rispondono che i soldi ci sono, basta prenderli dal fondo Cip6. Sono denari erogati addirittura nel 1994, e mai toccati.
• La vera domanda è: dopo la riconversione, l’azienda starebbe in piedi?
È doloroso dirlo, ma sembrerebbe di no. Da sinistra si insinua che il caso Sulcis somiglia a quello dei minatori inglesi a cui la Thatcher fece la guerra soprattutto per distruggere il sindacato. È una tesi suggestiva, ma non mi pare stia in piedi. Qui ci sono i conti che non tornano, e un costo che bisognerebbe continuare a imputare alla comunità. Problema quasi insolubile.
[Giorgio Dell’Arti, La Gazzetta dello Sport 4 settembre 2012]