Roberto Bianchin, la Repubblica 4/9/2012, 4 settembre 2012
Si mise a piangere come una fontana nonna Maria, quando alla fine della guerra nell’ex Jugoslavia il nuovo confine le tagliò in due l’orto di casa, le patate finirono in Croazia e le zucchine in Slovenia
Si mise a piangere come una fontana nonna Maria, quando alla fine della guerra nell’ex Jugoslavia il nuovo confine le tagliò in due l’orto di casa, le patate finirono in Croazia e le zucchine in Slovenia. Come prima di lei avevano pianto tanti italiani dell’Istria e della Dalmazia diventate slave, e tanti tirolesi che si erano visti il Tirolo tagliato in due, Innsbruck in Austria, Bolzano in Italia. Frutti avvelenati di guerre antiche e recenti, carichi di rancori e incomprensioni. Ferite mai sanate del tutto. Che neanche l’Europa unita, neanche la morte dei confini, hanno saputo rimarginare. Non sarà facilissimo, ammettono nelle stanze dei bottoni della Comunità europea, far uscire l’Europa dalla crisi di fiducia in cui si dibatte, che è anzitutto la crisi degli Stati nazionali. Per questo, tra le possibili vie d’uscita, ce n’è una su cui gli europeisti più avveduti stanno puntando molte carte: l’Europa dei popoli e dei territori. L’Europa delle Regioni contrapposta all’Europa degli Stati. Un’Europa più fedele alla storia, perciò più coesa. È già da qualche anno che il Parlamento europeo ha individuato questa strada nelle Euroregioni, che ha ribattezzato Gect, vale a dire Gruppi europei di cooperazione territoriale. Sono state rese operative dal 2007, proprio in virtù delle difficoltà incontrate dagli Stati membri nel campo della cooperazione transfrontaliera. Di qui la necessità di introdurre “un nuovo strumento di cooperazione a livello comunitario”, dotato di personalità giuridica, che si ponga l’obiettivo di agevolare e promuovere la collaborazione sui confini a livello transfrontaliero, transnazionale e interregionale. Ciascun gruppo può essere composto da due o più territori collocati in diversi paesi dell’Unione: Stati membri, collettività regionali e locali, organismi di diritto pubblico. Questo non significa spostare i confini o ridisegnare l’Europa. Ma partire, con sano realismo, da quello che popoli vicini hanno in comune, scavalcando confini regionali e nazionali, per costruire regioni europee plurinazionali, multiculturali, multi linguistiche. Intervenendo assieme per affrontare una serie di problemi comuni in modo molto pragmatico, dalla sanità ai trasporti, dalla cultura alla comunicazione, dalla formazione alle problematiche giovanili, dalla scienza alla ricerca, dall’ambiente alla natura, dall’energia all’economia, dal turismo all’occupazione. La questione, in fondo, è molto semplice, come ha spiegato, con il suo ben noto pragmatismo, un governatore di lungo corso come il sudtirolese Luis Durnwalder: «Assieme possiamo fare molto di più che non da soli». Non a caso l’ultima nata fra Italia e Austria, l’Euroregione Tirolo-Alto Adige-Trentino, ha già individuato una serie di argomenti strategici lungo l’asse del Brennero, di interesse comune, sui quali concentrare da subito le attenzioni, come il tema del “corridoio verde” che attraversa il territorio, l’uniformità dei pedaggi autostradali, il potenziamento delle infrastrutture, lo sviluppo della ricerca, lo sfruttamento energetico, l’apprendimento linguistico. Quello trentino-tirolese- altoatesino è il primo Gect registrato in Italia ad essere già realmente operativo. Il nostro paese è coinvolto in altre tre delle 23 euroregioni esistenti che sono riconosciute come Gect: la Archimed, formata nel 2011 tra la Sicilia, Cipro e le Baleari, la Amphictyony (2008) costituita da Puglia, Grecia e Cipro, e quella formata tra Italia e Slovenia (2011) fra Gorizia e Nova Gorica. Le altre euro regioni riguardano collaborazioni tra Francia e Spagna, Francia e Belgio, Francia e Germania, Belgio e Olanda, Spagna e Portogallo, Ungheria e Slovacchia, Ungheria, Romania e Serbia. Tra queste terre esistono storicamente forti legami culturali, sociali ed economici. Le euro regioni da un lato esaltano le ragioni autonomiste di determinate aree, regalando loro una sorta di identità sovranazionale, dall’altro recuperano identità antiche non sempre condivise, basta pensare ai legami dell’Alto Adige-Sudtirol con l’impero austroungarico, invisi al centralismo romano. Ma soprattutto, queste nuove regioni hanno un asso nella manica: il loro nascere nel rispetto della storia di ciascuno, cancella gli strappi del passato. Si può cominciare a seppellire, almeno sui confini, le vecchie asce di guerra. © RIPRODUZIONE RISERVATA