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 2012  settembre 04 Martedì calendario

MONTI CI MANDA TUTTI IN MINIERA

Ci sono delle emergenze che sono riconosciute tali dall’universo mondo. E al­tre, più gravi, che restano invisibi­li. Il mondo del lavoro in Italia gira esattamente così. I 500 minatori del Sulcis sono, anche per la spet­tacolarità della loro protesta, gli «angeli neri» da mantenere a tutti i costi (beninteso della collettivi­tà) esattamente nel loro improdut­tivo posto di lavoro. Artigiani, commercianti, agricoltori che chiudono battenti restano degli invisibili (a cui si dovrebbero ag­giungere anche partite Iva e 50en­ni senza più lavoro). Eppure i loro casi sono numericamen­te e socialmente molto più pesanti.
Nell’ultimo anno sono morte 14mila imprese artigiane. Ovvia­mente esse sono fatte dall’artigia­no, spesso dalla sua famiglia, e dai collaboratori. Converrebbe molti­plic­are il numero delle chiusure al­meno per tre, per dare una dimen­sione occupazionale. Nel primo trimestre sempre del 2012 hanno chiuso più o meno lo stesso nume­ro (13.300) di imprese agricole. L’anno scorso il saldo tra nuove imprese e cessazioni di vecchie nel mondo del commercio (come notava sempre bene Dario Di Vi­co ieri sul Corriere della Sera ) è sta­to negativo: 30.000 esercizi com­merciali hanno tirato giù la saraci­nesca. Si noti bene, i numeri che abbiamo fornito sono quelli uffi­ciali e rappresentano il saldo net­to (chiusure meno aperture di nuove imprese) e per di più soltan­to di comparti ben censiti dalle no­stre Camere di commercio.
Si tratta di un fenomeno impres­sionante. Ma per pochi. In realtà la politica (e non solo da oggi) si impressiona poco per emergenze invisibili come queste.
Perché i minatori del Sulcis (non ce ne vogliano,ma è l’ultimo caso di industria assistita e impro­duttiva che viene salvata pro­tem­pore dai governi) vale più di bar, fa­legnami o contadini che saltano?
1. La piccola impresa in Italia, sa­rebbe meglio dire quella micro, è stata bombardata negli ultimi trent’anni da cattiva fama.Un com­merciante che chiude (si perdoni la rozzezza dell’analisi, ma si capi­rà solo tra poco il senso) è un evaso­re in meno. Un artigiano che falli­sce è un vecchio mestiere che non ha saputo innovarsi. E l’agricoltu­ra poi? Con quella tassazione forfe­t­taria che ha come pretende una sia pur minima compassione? Dun­que il­primo aspetto dell’invisibili­tà nasce dalla scarsa considerazio­ne etica (verrebbe da dire) che la cultura dominante ha avuto nei confronti della piccola impresa.
2 . Un interesse piccolo ma con­centrato (i minatori, gli operai del­la fabbrica tal dei tali) ha più capaci­tà di influenza sulla politica e sul­l’opinione pubblica di quanta ne eserciti un interesse molto più va­sto (migliaia di commercianti che chiudono bottega) ma diffuso sul territorio e parcellizzato.
3 . È di tutta evidenza che per la politica sia molto più interessante soddisfarelarichiestarelativamen­te piccola di un gruppo ben iden­tifi­cato di persone che le micro richie­ste diffuse in una categoria.
Alle ele­zi­oni si va sostenendo di aver salva­to una fabbrica, non di aver messo nelle condizioni gli artigiani di non fallire. Per un politico, di qualsiasi gruppo esso sia, è più spendibile aver salvato 500 posti di lavoro che aver fatto riforme che hanno per­messo la sopravvivenza di 50mila piccole imprese.
4 . La piccola impresa paga il con­to di questo paradosso. Citiamo ap­punto il caso del Sulcis. L’ipotesi di spalmare i 250 milioni di euro di co­sto annui per la sopravvivenza del­la miniera sulla bolletta elettrica è la lampante dimostrazione di quanto detto prima. Ogni artigia­no, diciamo a caso, pagherà un cen­tesimo in più l’elettricità necessa­ria per la sua attività. Grazie a quel centesimo i 500 del Sulcis potran­no continuare a scendere in minie­ra. A forza di operazioni simili a questa l’artigiano paga una bollet­ta elettrica che lo mette fuori merca­to e crepa. Il caso degli incentivi al fotovoltaico e all’eolico (ben supe­riori a quelli del Sulcis) porteranno esattamente a tutto ciò. Soddisfo un’esigenza ben circoscritta ora e distruggo il futuro di molti domani.
5 . La classe dirigente non cono­sce la piccola impresa: si è formata sulla Luna, rispetto alla bottega. Quando una bomba scoppia sen­za fare una strage, la si definisce ar­tigianale. Se davvero lo fosse sareb­be stata perfetta nel suo potenziale omicida. La classe dirigente ha un’idea nel contempo romantica e arcaica della piccola impresa. Pen­sa che le grandi città si possano nu­trire a chilometri zero, e non capi­sce che la fatica di un piccolo pro­prietario terriero non ha nulla a che vedere (sempre con tutto il ri­spetto) con gli orti maneggiati dai pensionati alla periferia delle città.
6 . La microimpresa si ritiene che possa comunque farcela. Insom­ma è vittima della sua presunta for­za. È condannata dalla sua flessibi­lità e dalla sua capacità di attutire i colpi. Un quarto dei dipendenti ita­liani ( parliamo di tre milioni di per­sone) lavorano per imprese con meno di nove addetti. Ebbene, sa­pete quali sono le imprese che nel­l’ultimo anno hanno licenziato di meno? Proprio queste ultime. So­no il vero ammortizzatore sociale dell’Italia: pur di non licenziare in una congiuntura come questa stringono la cinghia.