
Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Dall’anno scorso Unioncamere e Ministero del Lavoro conducono un’indagine trimestrale, detta Excelsior, per sapere che intenzioni hanno le imprese, rispetto alle assunzioni, nel trimestre successivo. Ieri è stata diffusa l’indagine di quest’anno, relativa al III trimestre 2012 (luglio-settembre) e i lanci di agenzia hanno drammatizzato il dato relativo ai contratti a tempo indeterminato, appena il 19,8% su un totale di 159 mila assunti. Se ne è erroneamente dedotto che questa percentuale – ristretta a un periodo di alta stagionalità come quello estivo – dimostri come ormai i contratti a tempo indeterminato siano in via di estinzione, eccetera eccetera. Conclusioni troppo frettolose: l’anno scorso il dato non era troppo diverso (data la stagione delle rilevazione) e la stessa Unioncamere, nel suo comunicato, mette in evidenza, piuttosto, che il numero di lavoratori che le imprese intervistate (circa 250 mila) hanno intenzione di assumere è calato di 3.800 unità rispetto al 2011 e di 69 mila rispetto al secondo trimestre di quest’anno.
• Perché i media fanno sempre casino con i numeri?
I numeri sono una cosa difficile e, nonostante le apparenze, poco giornalistica. Vedrà cos’hanno combinato con i dati della Banca d’Italia sugli stipendi… Ma parliamo prima di questa indagine Unioncamere sugli occupati. Quello che è maggiormente deprimente è che l’anno scorso gli occupati previsti nel III trimestre 2011 erano in numero maggiore degli occupati previsti nel III trimestre 2010. Si parlava di ripresa, di domanda che proveniva dall’estero, si esaltava una quota incoraggiante di assunzioni (quasi tutte a tempo determinato) di personale con meno di 30 anni. I dati di quest’anno ci confermano invece l’affanno con cui procede la nostra economia. In una proiezione sul 2012, Excelsior prevede che l’occupazione dipendente perderà ancora 130 mila posti di lavoro, cioè un 1,1% in meno. Sono previste oltre 200 mila assunzioni in meno di quelle preventivate nel 2011. Le imprese più colpite sono quelle con meno di 10 dipendenti, quelle cioè che fanno poco export e vivono sulla domanda interna. All’origine di tutto ci sono da un lato i guasti provocati dalle banche e dall’altro la resistenza generalizzata degli italiani a consumare…
• Perché gli italiani non consumano?
Perché hanno paura. E perché sono vecchi.
• Qual è il settore che perde più occupati?
L’edilizia. Del resto un mese fa, conversando con Massimo Mucchetti, Caltagirone aveva dato di questo settore una rappresentazione ben più drammatica: «A maggio abbiamo venduto un quarto degli appartamenti costruiti rispetto al maggio 2011. Abbiamo dovuto fermare i programmi di nuove costruzioni, perché, di questo passo, impiegheremmo 4 anni a collocare il costruito. Su scala nazionale, se consideriamo il peso della casa nell’economia, l’Italia sta per bruciare da mezzo milione a un milione di posti di lavoro». Ci tengo, prima che cambiamo argomento, a dirle che secondo la ricerca di Unioncamere la domanda più consistente di manodopera riguarda cuochi, camerieri e altre professioni dei servizi turistici. Tutti impieghi da cui di solito rifuggono gli italiani, specie se giovani. C’è anche una forte richiesta, dovuta alla stagionalità, di gente che sappia insegnare, di formatori.
• Veniamo adesso a quello cui ha accennato prima, e cioè l’indagine della Banca d’Italia sugli stipendi…
È in realtà una rielaborazione fatta dall’agenzia di stampa AdnKronos su dati della Banca d’Italia. La notizia sarebbe questa: «Dal 2000 al 2010 le retribuzioni medie reali nette sono aumentate solo di 29 euro, passando 1410 a 1439 euro (+2%)… Risultati su cui pesa la crisi economica e gli interventi che hanno toccato gli statali». Non sta in piedi.
• Perché?
Intanto è impossibile costruire tabelle sui netti. Se io e lei prendiamo lo stesso lordo, ne risulteranno due netti diversi, dato che non abbiamo le stesse entrate e quindi il fisco ci colpisce diversamente, poi non abbiamo le stesse situazioni familiari (magari lei ha più figli di me), infine i netti di due lavoratori che hanno lo stesso contratto, la stessa anzianità, lo stesso fisco e due famiglie identiche possono cambiare se i due abitano in regioni diverse dato che nella Regione A può esserci un’addizionale Irpef diversa da quella della Regione B. La storia degli statali poi non è vera: è vero che dal 2010 i contratti sono bloccati, ma i dipendenti pubblici hanno avuto nel decennio precedente aumenti assai consistenti e proprio questo ha indotto Tremonti a decidere una politica di sacrifici della Pubblica Amministrazione. Infine il numero 1.439 (gli euro guadagnati al mese) è in contraddizione con quello che dicono altre richerche. Mi limito a quella dell’Istat diffusa pochi giorni fa da cui risulta che le famiglie italiane hanno speso in media per i loro consumi 2.488 euro al mese, +1,4% rispetto all’anno precedente. Come si spendono 2.488 euro al mese, guadagnandone 1.439? O in tutte le case degli italiani, nessuna esclusa, entrano due buste paga?
[Giorgio Dell’Arti, La Gazzetta dello Sport 23 luglio 2012]