Raffaele La Capria, Corriere della Sera 23/07/2012, 23 luglio 2012
RITI, FUNZIONI E FINZIONI DELLE KERMESSE ESTIVE - È
iniziata la stagione in cui tutta l’Italia sembra percorsa da una smania di vita culturale, e ogni regione, ogni paese vuole partecipare a questa kermesse. Dopotutto è un modo semplice, piacevole e anche conveniente di promuoversi e farsi pubblicità, di far notare la propria peculiarità al mondo che sembra ignorarla. I sindaci e gli assessori, i circoli e le associazioni si danno da fare per invitare, convocare, lusingare scrittori e opinionisti di grido, celebrità televisive o del mondo dello spettacolo, senza andare troppo per il sottile, basta la notorietà. Così ogni «operatore culturale» sogna a modo suo l’evento da promuovere, cerca un sostegno finanziario, ognuno ha un suo progetto, un suo intrattenitore, una sua star.
Che animazione, che fermento! Beh tutto questo ormai provoca in me una certa insofferenza, un’insofferenza imparziale, che non fa distinzione tra eventi «buoni» ed eventi «cattivi», e questa insofferenza viene accentuata dal fatto che anch’io molte volte sono stato invitato e ho partecipato a queste manifestazioni, e a volte ne sono stato anche gratificato, quando ho incontrato tra i presenti uno che «aveva letto tutti i miei libri», o un altro che citava a memoria una mia frase che lo aveva colpito, o uno che diceva addirittura che la lettura di un mio libro «gli aveva cambiato la vita»! C’era da vergognarsi, e invece una certa soddisfazione affiorava, mio malgrado.
Poi ad evento finito, dopo la serata, la presentazione del libro, l’inevitabile encomio e l’applauso, la cena finale, rientrando in albergo ti rendevi conto della vanità di tutto questo, del vuoto dietro tutto questo, e pensavi: uffa, che fuffa, che muffa, che truffa, che cosa buffa questa finzione di vita letteraria nel Paese delle «classifiche domenicali dei libri più venduti», dove «non è bello quel che è bello, ma è brutto quel che piace». Che fuffa l’incenso culturale diffuso dalle Fondazioni, dagli Enti, dalle Associazioni, dai Circoli, di questo o quel paesello banditore del suo bravo premio estivo! Che muffa la messa cantata alla cultura da gente che poco sa di cultura, ma sa come servirsene, dal coro dei vari comitati, che con insistenza invitano lo scrittore a presentarsi con tutti gli onori sul palcoscenico locale per far bella mostra di sé partecipando al dibattito, alla conversazione alla promozione di quella cosa che non si sa bene cos’è, ma è la Letteratura, ed è fatta di parole (belle parole) e di concetti (elevati concetti) e tanta tanta aria fritta. Scrittori, filosofi, artisti partecipano consapevoli o no alla generale finzione, e lo fanno gratis, non si sa bene perché, senza nulla pretendere. Spinti forse solo dalla propria vanità o dal bisogno di riempire un vuoto che bisogna pur occupare in qualche modo.
Bastano questi incontri a farti capire che da qualche parte il lettore che vorresti c’è, e che valeva la pena di fare il viaggio? C’è chi pensa di sì, io ho qualche dubbio. E comunque chi ha l’eloquio facile e sa ben usare le parole, prova una certa soddisfazione: finalmente un pubblico a cui rivolgersi, finalmente un applauso, anche se di convenienza. Si parla di filosofia — la filosofia è molto in auge al momento — si parla dell’essere e del divenire, oppure dell’ultimo romanzo in arrivo, a certe signore d’età che occupano il 70 per cento dei posti. Sono loro il pubblico, le frequentatrici più assidue.
Dietro queste manifestazioni c’è tutta l’organizzazione burocratica che molti mesi prima dell’evento, con un anticipo che sembra fatto apposta per cogliere lo scrittore in un momento di distrazione, con premurose, ossequiose telefonate ha presentato l’invito, fissato la data, il mese, il giorno, l’ora. Quando arriva il giorno fatidico ti mandano la macchina, il biglietto del treno o dell’aereo, il nome dell’albergo che ti ospiterà, tutto, tutto è messo a tua disposizione, tutto inappuntabilmente... Ma non si parla mai di soldi. Se si chiede una prestazione di qualsiasi tipo, anche a una prostituta, si pattuisce un compenso. Quando viene invitato uno scrittore si sorvola, i più precisi alludono a un gettone, così di passaggio, come fosse una stravaganza: ci sarà anche un gettone. Ah sì? Ma guarda! E quanto? Quanto non si dice, non è elegante, o è talmente bassa la cifra che appunto si sorvola. Quando e come il gettone arriverà, da chi sarà pagato, non si dice, non si sa.
Eppure per soddisfare la brama culturale dell’amministrazione comunale uno scrittore dovrà prendere un treno o un aereo, viaggiare per ore all’andata e al ritorno, spendere almeno due giorni del suo tempo (tempo che altrove è money, ma non in Italia), spendere anche altro tempo per preparare l’intervento (che dura non meno di un’oretta), partecipare dopo a una cena con noiosi convitati e vacua conversazione eccetera. Ebbene, tutto questo quasi sempre per niente.
Poeti, artisti, scrittori, ribellatevi, fatevi pagare, per favore. Dicono che tutto si fa per promuovervi, per farvi conoscere dalla gente, per diffondere i vostri libri: ma anche loro hanno bisogno di promuovere se stessi attraverso i vostri libri. Perciò, lo ripeto, fatevi pagare. E non quella miseria che essi stabiliscono, ma quella somma che stabilisce un vostro agente secondo l’importanza del caso. Se dobbiamo prestarci a questo spettacolo, in cui la cultura viene considerata un’appendice della politica o somministrata come una medicina amara ma che fa tanto bene, diciamo che anche l’aria fritta, che spesso in queste occasioni noi offriamo al pubblico per intrattenerlo, si paga e ha un prezzo. «Povera e nuda vai filosofia», si diceva. Beh, non vorremmo più ripeterlo.
Raffaele La Capria