Carlo Galli, www.repubblica.it 23/7/2012, 23 luglio 2012
(Dal latino titulus, iscrizione, registrazione) Certificati che esprimono il "debito sovrano", ovvero che comprovano che lo Stato ha ricevuto in prestito denaro, che restituirà entro una certa data, pagando un certo tasso d’interesse
(Dal latino titulus, iscrizione, registrazione) Certificati che esprimono il "debito sovrano", ovvero che comprovano che lo Stato ha ricevuto in prestito denaro, che restituirà entro una certa data, pagando un certo tasso d’interesse. Lo scopo di questo indebitamento è di finanziare il debito pubblico e il deficit annuale. Secondo le modalità di pagamento degli interessi e della loro diversa durata, i titoli di Stato hanno diverse tipologie: Bot, Btp, Cct, ecc. Storicamente i titoli di Stato erano a basso rischio, come la moneta stampata dallo Stato. Tuttavia si registrano casi di insolvenza: la Spagna ha dichiarato ripetutamente bancarotta fra il XIX e il XX secolo; e recentemente lo hanno fatto l’Argentina e la Grecia; ciò implica che i titoli di Stato non vengono più onorati, né come capitale né come interessi, oppure che vengono consolidati e ristrutturati, con decurtazioni a carico dei creditori e con rinvio delle scadenze di rimborso. Ciò avviene quando il debito da finanziare è troppo elevato o cresce troppo velocemente; allora cala la fiducia dei creditori verso la capacità dello Stato debitore di pagare gli interessi e di restituire il capitale. In questo caso il finanziamento del debito può avvenire solo se si corrispondono interessi più alti. Ma quando il tasso cresce oltre una certa soglia, lo Stato deve indebitarsi ulteriormente per pagare i propri debiti, e quindi rischia l’insolvenza. Il tasso d’interesse dei titoli di Stato è il giudizio dei mercati sui conti pubblici e sulle prospettive di uno Stato. Tanto più importante per i Paesi dell’euro, che con i loro differenti tassi sottopongono l’euro a tensioni interne che potrebbero preannunciare la frattura dell’eurozona. La capacità a parte di uno Stato di tenere sotto controllo i titoli di Stato, e i tassi corrisposti, è quindi oggi più che mai decisiva. I titoli emessi per finanziare crescita e infrastrutture possono essere utili; ma se servono solo a rimborsare vecchi debiti e i loro interessi, allora sono una patologia e una debolezza. I titoli di Stato possono insomma destabilizzare lo Stato. Infatti, il peso dei grandi investitori istituzionali, o addirittura di fondi d’investimento espressione di altri Stati (fondi sovrani), può essere grandissimo, soprattutto se l’acquisto di titoli di Stato è fatto a scopi speculativi, con strategie ribassiste che deprezzano il valore del debito e alzano quindi i tassi d’interesse che lo Stato deve garantire per rifinanziarsi. A fronte dell’instabilità che ne sorge, i privati cittadini sono distolti dall’investire in titoli di Stato, giudicati insicuri; in tal caso, devono subentrare negli acquisti le banche nazionali, che però così facendo sottraggono denaro a investimenti produttivi. In tal modo i titoli di Stato, un tempo emblema di solidità, di avversione per l’avventura, di conservatorismo (almeno economico), o addirittura di patriottismo (i prestiti di guerra, o per la ricostruzione) sono diventati un terreno scivoloso. In essi si esprime non fiducia ma ansia e incertezza. Anche per questa via, insomma, si misura quanto la società del rischio ha modificato credenze e abitudini consolidate, e quanto le vicende degli ultimi anni hanno intaccato i pilastri della politica e dell’economia. (22 luglio 2012)