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 2012  luglio 23 Lunedì calendario

LA NASCITA DI “WALMAZON” AL SUPERMARKET GLOBALE SI COMPRA TUTTO SU INTERNET


Jeff Bezos aveva appena 35 anni ed era pressoché sconosciuto quando, nel 1999, la rivista Time lo incoronò “Uomo dell’anno”. “L’e-commerce sta cambiando il modo in cui facciamo gli acquisti”, spiegò il settimanale americano, riferendosi alla Amazon.com, la società fondata da Bezos cinque anni prima a Seattle e che era già diventata leader nelle vendite online di libri.

Da allora Amazon non ha cessato di espandersi negli Stati Uniti e nel mondo; né di tracimare in altri settori merceologici, come l’abbigliamento o i giocattoli; né di lanciarsi nei prodotti dell’elettronica; né di mettersi in concorrenza con colossi come WalMart e Apple; né di far aumentare le sue quotazioni al Nasdaq, arricchendo Bezos, il cui patrimonio è ora di 21,4 miliardi di dollari.

E di fronte a una crescita così impetuosa, Time è tornata sull’argomento chiedendosi: “Amazon conquisterà forse il mondo?”. La domanda ha un aspetto provocatorio, ma è più che legittima. La multinazionale di Seattle ha 48 miliardi di fatturato (2011) che la pone al quindicesimo posto nella graduatoria dei gruppi commerciali d’oltreoceano e, con una capitalizzazione di borsa che sfiora i 100 miliardi di dollari, è al 56mo posto nella hit parade di Wall Street.

Ma più che nei numeri, la “conquista” di cui parla Time è nel modo in cui Amazon

si sta integrando nella vita quotidiana degli americani. Il giro d’affari degli acquisti sul web ha già raggiunto negli Stati Uniti i 200 miliardi di dollari, secondo le stime di Forrestal Research, cioè il 7 per cento del totale del commercio al dettaglio.

E la forza di Bezos non cessa di lievitare, diventando “walmart-esca”, cioè simile a quella della più grande catena mondiale di ipermercati fondata da Sam Walton, quella dove si trova “dall’ago all’elefante” come diceva una vecchia pubblicità. Amazon è nata sull’onda della new economy e resta una società hi-tech. I suoi “cugini” si chiamano Apple, Facebook, Google.

E come gli altri tre, ha cercato di approfittare della ultima recessione per rafforzarsi e reinventarsi: con l’unica differenza che, pur cavalcando le nuove tecnologie, opera nel settore più vecchio e tradizionale, cioè il commercio, collegando chi produce le cose con chi le vuole avere. Il legame con la “fisicità” rappresenta un punto di forza di Bezos.

E potrebbe diventarlo ancor più se il gruppo di Seattle, come ha anticipato il Financial Times la settimana scorsa, dovesse inaugurare un servizio di consegna immediata a domicilio degli acquisti online: bruciando i tempi grazie alla struttura capillare dei suoi magazzini super-computerizzati e in concorrenza con le strutture normali di vendita al dettaglio.

Il chief executive e maggior azionista di Amazon è irrefrenabile. Da quando lasciò Wall Street, dove aveva cominciato a lavorare dopo gli studi a Princeton, per fondare Amazon (con un senso di rimpianto per non essere stato il primo a credere nella rivoluzione del web), Bezos ha stupito tutti per la raffica di progetti innovativi. Alcuni sono finiti in un flop: come il tentativo nel 1999 di avviare una casa d’aste online in concorrenza con eBay.

Ma la maggioranza delle iniziative è stata accolta con entusiasmo dai consumatori, oltre che dagli investitori, contribuendo al boom del gruppo. Finora i passaggi-chiave nella storia aziendale sono stati cinque: 1) l’allargamento dei settori merceologici al di là dei libri; 2) la rapida internazionalizzazione delle attività, con l’apertura di un quartiere generale europeo a Lussemburgo e di attività nei maggiori paesi industrializzati; 3) l’introduzione del Kindle per la lettura (e la vendita) di libri sotto forma digitale; 4) l’aggiunta della “nuvola”, cioè il suo posizionamento nel “cloud computing”; 5) l’ingresso in grande stile nel settore dell’hardware elettronico.

Il primo di questi snodi era la logica conseguenza del successo ottenuto nei libri. In pochi anni Bezos era riuscito a creare la “più grande libreria del mondo” e non era difficile utilizzare lo stesso modello gestionale per altri prodotti. Di qui gli accordi con fornitori esterni, che ora superano il milione e contribuiscono al 40 per cento del fatturato del gruppo.

Amazon mette loro a disposizione il suo sito (visitato mensilmente da 65milioni di americani), fa da tramite alle vendite e incassa una commissione del 7 per cento, che comprende l’assicurazione contro le frodi e i costi del pagamento con carta di credito. Un sistema, questo, che ha trasformato Amazon nel maggiore gruppo di commercio online del pianeta, padrone già del 25% di tutto l’e-commerce americano.

Poi è venuto il Kindle. Non era una scommessa facile: perché mai il leader delle vendite di libri di carta avrebbe dovuto puntare al libro digitale? Non c’era forse il rischio di una flessione del fatturato “normale” e al tempo stesso di aprire il fianco alla concorrenza? Bezos, che ha sempre avuto il gusto della sfida (e che ora spende molti dei suoi milioni in avventure per la conquista dello spazio), ha scommesso sul cambiamento dei modi di lettura.

E ha vinto: introdotto nel 2007, il Kindle ha permesso ad Amazon di arrivare in meno di tre anni a vendere più volumi online che cartacei, contribuendo al tempo stesso a una trasformazione epocale della società. Dopo il libro elettronico, Bezos ha puntato sul Kindle Fire, un piccolo tablet in concorrenza con l’i-Pad di Steve Jobs. Anche qui ha avuto successo: non solo per il prodotto in sé, ma anche per la sinergia creata tra l’hardware Amazon e le sue vendite online.

Un collegamento, questo, destinato ad accelerarsi con il prossimo smartphone che sarà prodotto, pare, dalla Foxxconn cinese per la casa di Seattle. La quale userà così il suo marchio per entrare in un mercato dominato finora da Apple, Samsung e Google, e per “veicolare” gli acquisti dei suoi utenti-consumatori. Bezos ha sempre avuto l’appoggio di Wall Street nella sua corsa verso l’egemonia nell’e-commerce.

Sbarcata nel 1997 al Nasdaq, Amazon ha una quotazione che si aggira oggi sui 220 dollari (rispetto a 1,5 dollari di 15 anni fa). Il rapporto prezzo/ utile è di 180, addirittura più alto di Apple o Facebook. Come si spiega? Gli investitori ritengono che il gruppo abbia ampie possibilità di crescita. Nonostante un prezzo così caro, la Nomura invita ad esempio i suoi clienti a comprare i titoli del gruppo.

Ma c’è anche chi, come Robert Weinstein su “The-Street.com”, lancia dei segnali d’allarme: ricordando come il Congresso stia tentando di assoggettare Amazon alle tasse di consumo che per ora ha scansato grazie a una sentenza della corte suprema, e intanto notando che Bezos ha sempre realizzato utili troppo bassi rispetto all’ampiezza del fatturato e alle sue ambizioni.