Danilo Taino, Corriere della Sera 23/7/2012, 23 luglio 2012
Lo stesso fenomeno Henry lo misura nei Paesi sviluppati, naturalmente. Da una parte, individui ricchi e certe multinazionali usano vie illegali per evadere il Fisco: la ricerca individua abusi da parte di imprese nel commercio di banane, di minerali, di grano, di legno, nella finanza e nella gestione di contratti di proprietà intellettuale
Lo stesso fenomeno Henry lo misura nei Paesi sviluppati, naturalmente. Da una parte, individui ricchi e certe multinazionali usano vie illegali per evadere il Fisco: la ricerca individua abusi da parte di imprese nel commercio di banane, di minerali, di grano, di legno, nella finanza e nella gestione di contratti di proprietà intellettuale. Dall’altra, questo denaro mobile trova punti deboli nelle legislazioni nazionali che consentono quell’elusione ai confini delle regole che va sotto il nome di pianificazione fiscale internazionale. La gestione della ricchezza da parte di grandi banche globali è uno dei modi che Henry ha utilizzato per le sue stime (fa l’elenco delle prime 50 nella gestione del denaro, in testa Ubs, Credit Suisse, Goldman Sachs). Per illustrare il suo metodo, Henry cita anche l’enorme domanda, apparentemente inspiegabile, che si è sviluppata nel corso degli anni per i biglietti da cento dollari e la loro bassissima velocità di circolazione; una serie di redditi mancanti nelle statistiche internazionali; le frequenti diversificazioni di portafoglio (per fare uscire denaro da un Paese) e altri indicatori. Il risultato è la stima stratosferica della «ricchezza» dei centri offshore. Che l’evasione e l’elusione siano enormi è risaputo. La cifra di 21-32 mila miliardi di dollari ha però suscitato qualche perplessità: difficile immaginare che un forziere del genere se ne stia più o meno in sonno, in un mondo dove «il denaro non dorme mai». «Ci sono chiaramente quantità significative nascoste — ha commentato alla Bbc il direttore dell’Ufficio per la semplificazione fiscale britannico, John Whiting —. Ma, se veramente è quella la misura, cosa sta facendo tutto quel denaro?». Whiting non ha elementi per contestare le cifre ma sostiene che «l’ipotesi che un ammontare del genere sia attivamente nascosto e mai usato sembra strana». Lo studio di Henry pone ovviamente la questione delle mancate tasse raccolte dagli Stati. Ma anche quella dell’ingiustizia sociale. L’economista calcola che il 30,3% della ricchezza finanziaria mondiale sia nelle mani di 91.186 happy few: si tratta di 16,7 mila miliardi di dollari, 9,7 dei quali se ne starebbe offshore. Una super élite di redditieri e donne e uomini d’affari occidentali seduti allo stesso desco di nababbi del petrolio, dittatori africani ed emergenti asiatici e sudamericani. Se si apre un po’ il ventaglio, poco più di nove milioni di cittadini — membri d’onore di una più sobria (si fa per dire) «élite globale» che controlla oltre l’80% della ricchezza liquida del pianeta — avrebbero depositato offshore 19 mila e seicento miliardi di dollari. Paradisi, nel senso di mondi paralleli e invisibili. Danilo Taino