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 2012  luglio 23 Lunedì calendario

Anno IX – Quattrocentotrentaquattresima settimana Dal 16 al 23 luglio 2012Sono le 11 di mattina di lunedì 23 luglio 2012

Anno IX – Quattrocentotrentaquattresima settimana
Dal 16 al 23 luglio 2012

Sono le 11 di mattina di lunedì 23 luglio 2012. La Borsa di Milano è giù del 3 per cento, lo spread è a 521. Si annunciano una giornata, una settimana, un mese di tregenda. Venerdì scorso lo spread italiano è tornato per la prima volta dal tempo di Berlusconi sopra quota cinquecento (504) mentre piazza Affari crollava del 4 per cento. Intanto lo spread spagnolo (anche qui: differenza tra Bonos e Bund) stabiliva il record di 613. Stamattina i giornali hanno titoli di scatola su una notizia-non notizia: la Grecia non ce la farà a pagare le prossime rate, la sua uscita dall’euro è pressoché inevitabile.

Grecia Le avvisaglie sulla Grecia risalgono a metà della settimana scorsa. A un tratto la Bce fa sapere che non accetterà più in garanzia titoli di Atene. Segue una dichiarazione alla “Welt” di Alexander Dobrindt, segretario generale della Csu, versione bavarese dei cristiano-democratici e alleato storico di Angela Merkel. Riproduciamo testualmente: «Lo Stato greco dovrebbe iniziare a pagare in dracme la metà degli stipendi pubblici, le pensioni e altre spese. Una via morbida alla vecchia valuta è meglio per la Grecia rispetto a un taglio secco. La dracma come moneta parallela darebbe una chance per rilanciare la crescita». Domenica arriva il colpo di grazia: il Fondo Monetario non è più disponibile a rinvii, ristrutturazioni e quant’altro del debito greco. O i greci pagano e risparmiano secondo gli impegni presi, oppure le rate del prestito da 130 miliardi concesso in primavera saranno sospese. Ci sarebbero intanto gli 11 miliardi che i greci avrebbero dovuto tagliare già a giugno. Ma il premier Samaris telefona a tutti dicendo: «Come si fa? Con il paese in queste condizioni…». Il 20 agosto la Grecia deve restituire alla Bce 3,2 miliardi di un prestito obbligazionario. I soldi ci sono? “Der Spiegel” ha scritto che ad Atene, per essere in regola con gli obiettivi fissati al 2020, mancano tra i 10 e i 50 miliardi. I crolli in Borsa di venerdì e i balzi degli spread sono anche provocati da un’intervista del vicecancelliere tedesco (e ministro dell’Economia) Philip Rösler: «Sono più che scettico sul fatto che la Grecia riesca a realizzare le riforme richieste. E se la Grecia non rispetta gli impegni, allora non ci possono essere ulteriori pagamenti. Per me un’uscita della Grecia non rappresenta più da tempo uno spauracchio». I rappresentanti della Troika (Ue-Bce-Fmi) sono ad Atene da martedì per studiare i conti. Stenderanno una relazione tra quindici giorni. Il presidente dell’Eurogruppo, Jean-Claude Juncker, ha convocato i ministri economici dell’Eurozona per i primi di settembre. Una riunione che potrebbe essere risolutiva.

Spagna Gli spagnoli avranno i cento miliardi per le loro banche e trenta di questi arriveranno entro la fine di luglio, cioè questa settimana. Ma giovedì scorso il Parlamento ha approvato il pacchetto da 65 miliardi di tagli in due anni (aumento dell’Iva dal 18 al 21 per cento, abrogazione della quattordicesima di Natale a tutta l’amministrazione pubblica nazionale e locale, taglio di un quinto delle sovvenzioni ai partiti, ai sindacati e alle organizzazioni imprenditoriali, 50% dello stipendio – invece del 60% – a chi è disoccupato da più di sei mesi, nessuna agevolazione fiscale a chi compra la prima casa) e le strade di Madrid e di un’altra ottantina di città si sono riempite di manifestanti, con scontri, cassonetti bruciati, qualche fermo, qualche ferito. In Parlamento, mentre il premier Rajoy accusava il precedente governo Zapatero di tutti i mali possibili, il ministro del Bilancio gridava ai parlamentari sgomenti: «Non c’è denaro nelle casse pubbliche, signori, non c’è denaro per pagare i servizi pubblici e, se la Banca centrale europea non avesse comprato i nostri titoli di Stato, il Paese sarebbe fallito» frase che faceva subito il giro del mondo e contribuiva al cataclisma finanziario di venerdì. Anche la Spagna sembra avere poche vie d’uscita, se ne vanno ogni mese all’estero (Germania e Svizzera) capitali per 70 miliardi, i negozi delle vie più lussuose di Madrid offrono sconti sulla merce fino al 70% e nessuno entra a comprare, sono poi sull’orlo del collasso una serie di enti locali: Valencia e la Murcia hanno chiesto soccorsi per parecchie centinaia di milioni, sono in bilico la Catalogna del mitico Barcellona di Messi, Andalusia, Castiglia La Mancia, Baleari, Canarie, Estremadura.

Germania La Germania è nei guai esattamente come gli altri. Se salta l’euro, perderà crediti per mille miliardi. Per non farlo saltare, dovrà aiutare Spagna e Italia per una cifra non troppo lontana da quella.

Italia Conviene fare un sommario: la Sicilia è sull’orlo della bancarotta (essendo regione a statuto speciale non si sa se si possa commissariare), idem 10 città italiane con più di 50 mila abitanti (si conosce solo il nome delle prime tre: Napoli, Palermo, Reggio Calabria), il presidente Napolitano è indebolito dalla guerra con la Procura di Palermo al punto che alcuni hanno addirittura sussurrato di dimissioni anticipate, Mario Monti ha esposto a Napolitano un percorso che ci porterebbe al voto in ottobre, Berlusconi prima dice che non si candida, poi ridice che si candida e nessuno sa dire con sicurezza che idee abbia in testa (Ferrara: «Matto»), i partiti in genere hanno l’aria di non sapere da che parte voltarsi. Completiamo il quadro ricordando che nei prossimi dodici mesi scadranno titoli del debito pubblico italiano per 337 miliardi (218 da luglio a dicembre).
Vale la pena approfondire due punti, quello della improvvisa debolezza di Napolitano e quello dell’eventuale voto a ottobre.

Napolitano La Procura di Palermo, intercettando Nicola Mancino, ha captato due conversazioni di questi con il presidente della Repubblica. La legge n. 219 del 1989 dice che il capo dello Stato non può essere intercettato, ma che succede se si mette a parlare con qualcuno che è legittimamente intercettato a sua volta? La Procura di Palermo sostiene che le conversazioni in questione sono penalmente irrilevanti, ma vuole seguire la procedura per distruggerle e la procedura prevede che siano rese note ai difensori. Dai difensori ai giornali il passo è breve. Napolitano esige che i due nastri siano distrutti immediatamente e senza coinvolgimento delle parti e ha sollevato per questo “conflitto d’attribuzione” davanti alla Corte costituzionale, che però al momento è chiusa e non ha intenzione di rimettersi al lavoro prima di settembre (l’anno scorso gli emeriti giudici fecero vacanza da luglio a settembre). Lo schieramento che sta sempre dalla parte dei giudici, capitanato da quelli del “Fatto”, insinua che Napolitano faccia tanto rumore perché ha qualcosa da nascondere. Il Quirinale esce dalla vicenda, qualunque cosa si pensi, oggettivamente indebolito. Il viceprociratore di Palermo, Antonio Ingroia, protagonista dell’inchiesta che riguarda la presunta trattativa Stato-mafia del 1992-1993 (è all’interno di questa che sta il caso Mancino-Napolitano), ha fatto sapere di aver accettato un’offerta dell’Onu per andare a combattere la criminalità organizzata in Guatemala.

Voto a ottobre Che senso ha a questo punto aspettare il maggio dell’anno prossimo per andare a votare? Non gioverebbe allo spread e al resto un voto a ottobre che mettesse tranquilla l’Italia almeno sul piano politico per i prossimi cinque anni? Monti lo ha spiegato a Napolitano, proponendogli di guidare lui stesso la crisi. Berlusconi non vuole assolutamente: i sondaggi sono catastrofici e il “porcellum” consegnerebbe il paese a Bersani e ai suoi per ora incerti alleati. Dunque si tratterebbe di cambiare la legge elettorale in modo da rendere la prevalenza della sinistra meno eclatante, e in questo caso il voto a ottobre sarebbe forse accettato anche dal centro-destra. Altrimenti, dicono i berlusconiani, restiamo alle scadenze attuali e speriamo di recuperare qualcosa.