
Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
L’uomo che il prossimo 4 novembre sfiderà John McCain per la conquista della Casa Bianca è Barack Obama, che, dopo aver vinto nel Montana, sa di non poter mancare la nomination.
• Un candidato nero. la prima volta nella storia. Ma è certo che sarà nominato?
Sì, sarà nominato. Le elezioni americane si svolgono con un sistema piuttosto arzigogolato. Ci sono solo due partiti – il partito repubblicano e il partito democratico – e questi due partiti fanno scendere in campo dei candidati che si affrontano stato per stato per conquistare i delegati che parteciperanno ai congressi finali, quelli che eleggeranno i veri aspiranti alla presidenza. Queste sono le primarie, molto diverse dalle nostre primarie dove, sia all’epoca di Prodi che all’epoca di Veltroni, i due vincitori hanno praticamente corso da soli. In Italia è infatti molto peggio perdere che non vincere. Tanto è vero che il centro-destra le primarie non prova neanche a farle. Negli Stati Uniti è tutto diverso: si deve correre il rischio di perdere se si vuole guadagnare il rispetto della gente. In questo modo, oltre tutto, può capitare che qualcuno privo di appoggi troppo forti, qualcuno senza apparati alle spalle, sbuchi sorprendentemente fuori e arrivi primo. , appunto, il caso di Obama, che l’anno scorso in estate veniva accreditato dai sondaggi a una distanza abissale da Hillary. E che invece adesso ha messo insieme un numero sufficiente di delegati – cioè di elettori – per essere formalmente nominato a fine agosto. Hillary, la favoritissima, è fuori senza speranza. Bill ha l’aria piuttosto disperata.
• Perché Bill?
Bill, cioè il marito di Hillary, che è stato presidente degli Stati Uniti dal 1993 al 2000 (è il presidente dello scandalo Lewinsky, la stagista con cui aveva praticato sesso orale), ha cominciato quindici giorni fa a trattare la resa con Obama. Ha tentato e tenta di ottenere la vicepresidenza o almeno un posto alla Corte Suprema o almeno dei soldi.
• Come dei soldi?
I Clinton sono indebitati fino al collo. Barack, da un certo momento in poi, ha raccolto più finanziamenti di loro, dato che anche negli Stati Uniti c’è l’abitudine di correre più volentieri in soccorso del vincitore che del perdente. I Clinton hanno reagito moltiplicando gli spot, il che ha richiesto uno sforzo finanziario esagerato. A quanto pare sono fuori di 20 milioni di dollari, una trentina di miliardi delle vecchie lire. Vorrebbero che il partito se ne facesse carico.
• Ma se hanno perso, non avranno più forza contrattuale.
Una fetta non indifferente dell’elettorato democratico potrebbe non votare Obama. Per esempio le donne bianche di una certa età erano in maggioranza per Hillary e vivono la sconfitta della loro candidata come una sconfitta delle donne in genere. Adesso il problema è McCain. Può un candidato nero e che ha contro una parte dell’elettorato femminile democratico battere il vecchio repubblicano simpatico ed eroe di guerra? Mica tanto facile, anche se Bush ha impestato il partito della sua cattiva reputazione. Hillary sta dicendo ai suoi: mi volete dalla vostra parte? Ebbene, posso fare ticket con Obama come vicepresidente (è l’opzione su cui punta fino allo stremo Bill, ma a lei non piace). Oppure posso fare campagna per il nostro candidato e togliergli la patina sessista che sta così antipatica alle nostre elettrìci. Bisogna però che abbia in cambio qualcosa: se non la vicepresidenza, un posto alla Corte suprema. Oppure un sollievo finanziario. Il partito mi paghi i debiti. In fondo – dice Hillary – ho dalla mia 18 milioni di voti popolari. Cioè, anche se il meccanismo delle primarie mi condanna alla sconfitta, la maggioranza dei votanti sta con me.
• E’ vero?
Sì, è vero per il meccanismo del maggioritario americano, molto spinto. Nella maggior parte degli stati chi vince prende tutti i delegati e questo può determinare una non coincidenza tra numero degli voti che ciascuno raccoglie e numero dei rappresentanti alla Convention. Guardi che la scelta del presidente, cioè la finale tra McCain e Obama, avverrà con lo stesso sistema: i due correranno di stato in stato per mettere insieme i delegati che voteranno il presidente in gennaio. Noi conosceremo il nome del vincitore già a novembre, ma il successore di Bush si insedierà formalmente solo all’inizio dell’anno prossimo... Ma le stavo dicendo di Clinton: adesso dice che a correre per la Casa Bianca sarà, molto presto, la figlia Chelsea. Bill non può stare troppo lontano da quel posto. Ed è per questo che per Obama sarà molto dura accettare una vicepresidenza di Hillary: con Bill dalle sue parti, il mondo avrà la tentazione di considerare Clinton il vero capo degli americani. [Giorgio Dell’Arti, gazzetta dello Sport 5/6/2008]
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