5 giugno 2008
Trent’anni fa il via alla legge 194, per difenderla oggi un’altra bugia. Avvenire, giovedì 5 giugno La menzogna, consapevole o inconsapevole che sia, è compagna abituale delle aggressioni contro la vita umana
Trent’anni fa il via alla legge 194, per difenderla oggi un’altra bugia. Avvenire, giovedì 5 giugno La menzogna, consapevole o inconsapevole che sia, è compagna abituale delle aggressioni contro la vita umana. Sarebbe facile dimostrarlo rievocando, ancora una volta, le falsità che furono fatte credere per ottenere prima l’approvazione e poi la difesa della Legge 194/1978. Non lo farò. Ormai non serve più. Ma c’è una menzogna attuale che – ripetuta sempre più insistentemente da voci autorevoli – finisce per divenire un «luogo comune» acriticamente accettato anche da molti che nei confronti della Legge 194 restano critici. Bisogna, dunque, non stancarsi di smascherarla. Il «luogo comune» è che la legge ha funzionato perché avrebbe diminuito il numero degli aborti. Così ha dichiarato l’ex ministro della salute, Livia Turco, nella sua relazione al Parlamento presentata agli sgoccioli del suo mandato. Come negarlo se gli aborti legali erano stati 234.593 nel 1982 e sono divenuti 133.280 nel 2007? Di per sé l’argomento non assicura la giustizia della legge. Anche la decimazione mediante fucilazione di alcuni reparti italiani in fuga dopo Caporetto determinò la resistenza sul Piave. Anche la pena di morte può avere un effetto di contenimento della delinquenza. Anche la bomba atomica di Hiroschima e Nagasaki, abbreviando il conflitto con il Giappone, può aver ridotto il numero complessivo delle vittime che sarebbero state causate da una guerra proseguita a lungo con l’uso delle armi tradizionali. Ma non userò questo argomento. Neppure insisterò sull’incidenza dell’aborto clandestino certamente incentivato dall’uso delle varie pillole ad effetto abortivo. Mi limito a domandare: quale sarebbe il meccanismo mediante il quale la legge avrebbe ridotto il numero degli aborti? La risposta è ufficiale. formulata dalla stessa ministro Turco e del resto è ripetuta continuamente dai media che difendono la legge: la diffusione della contraccezione ha ridotto l’abortività. Orbene, se applichiamo un minimo di intelligenza, proprio questa tesi dimostra che la legge non ha risolto un bel nulla. Ignoriamo la valutazione etica sulla contraccezione. Dimentichiamo l’inganno che chiama contraccezione anche ciò che è, o può essere, abortivo. Non ragioniamo sulla distinzione necessaria tra procreazione responsabile e contraccezione. Con tutte le riserve del caso, proviamo ad ammettere che «la contraccezione ha ridotto l’abortività». Che c’entra la legge 194? Forse la contraccezione non poteva essere propagandata senza la legge 194? Forse essa non è diffusa anche nei Paesi dove l’aborto resta vietato o è meno diffusa in quei Paesi che si sono dati leggi meno permissive di quella italiana? Anzi: è immaginabile che la prospettiva di un aborto possibile, lecito, finanziato dallo Stato, accettato dalla coscienza collettiva allenti il proposito e la vigilanza nel realizzare una «procreazione responsabile» (o, più banalmente, nell’utilizzare la contraccezione). «Tanto c’è sempre l’aborto!» può essere l’ultimo pensiero più o meno nascosto. C’è comunque una prova certa che la insicura, ma auspicabile riduzione degli aborti non è causata dalla contraccezione e tanto meno dalla legge. Basta fare un confronto con quanto accaduto in Paesi simili al nostro per popolazione e legislazione o che hanno norme più restrittive della nostra. In Francia e in Inghilterra, gli aborti legali erano nel 1976 rispettivamente 134.173 e 136.892. Sono divenuti, nel 2005, 220.110 e 207.000. Un progressivo aumento. Eppure non è discutibile che la contraccezione è assai più diffusa in Francia e in Inghilterra che non in Italia. Nessuno può sostenere che in Emilia Romagna, Toscana, Umbria, Lombardia, la contraccezione sia meno diffusa che in Sicilia, Calabria, Alto Adige, Veneto. Eppure l’abortività è più diffusa nel primo gruppo di Regioni che non nel secondo. In Germania, percentualmente, i coefficienti di abortività sono quasi la metà di quelli italiani. La legge conta: in Germania è più restrittiva. In Polonia, confrontando le Ivg con il mutamento della normativa, vediamo crescere o diminuire le Ivg. Né si può pensare solo all’aumento dell’aborto clandestino. In Romania, Ceausescu, per ragioni del tutto materialistiche e non condivisibili, introdusse una legge che vietava l’aborto. Di colpo nel 1967 il numero medio di figli partorito da una donna, che nel 1965 era stato 1,9%, passò nel 1967 al 3,7%. Non si intende minimamente applaudire Ceausescu. Con gli esempi stranieri si vuole soltanto confermare: 1° che l’uso della contraccezione è indipendente dalla legge sull’aborto; 2°che una legge più restrittiva riduce gli aborti. E allora perché la riduzione italiana, posto che sia vera? Può essere che la «resistenza» alla legge sia stata in Italia più forte e continua che in altri Paesi? Può essere che il popolo italiano, per la sua storia, la sua maggior disponibilità all’ascolto delle parole della Chiesa, stia lentamente acquistando una maggior consapevolezza e responsabilità rispetto al «dramma» dell’aborto? E il lavoro di condivisione (100.000 bambini aiutati a nascere) e di illuminazione educativa e culturale svolto dal Movimento per la Vita non conta proprio nulla? Davvero è tutt’altro che irragionevole pensare che in Italia, se diminuzione di abortività vi è stata, essa non è stata causata dalla legge, ma, al contrario, dalla resistenza alla legge? La presunta diminuzione del numero degli aborti è stato causato non dalla legge, ma dalla resistenza alla legge CARLO CASINI