Fabio Cutri, Corriere della Sera 5/6/2008, 5 giugno 2008
MILANO
Mauro Bozzano non sa più cosa inventarsi per riempire i banchi delle sue tre pescherie. C’è poco da fare, ormai a Genova di acciughe, orate, moscardini, naselli o sardine non se ne vede neanche l’ombra. L’unica è alzarsi un paio d’ore prima del solito, verso le due e mezzo, e fare il giro dei magazzini per accaparrarsi il pesce d’allevamento oppure quello in arrivo dai mari nordici e dall’Oceano Indiano. Ma così non si va avanti molto, sospira Bozzano: «I pescatori non si limitano a bloccare i mercati della Liguria, stanno minacciando i grossisti...». Da ieri è diventato proprio impossibile, anche per chi non vive a due passi dal mare, non accorgersi della protesta dei pescherecci. La guerra al caro-petrolio ha reso il pesce fresco italiano quasi introvabile in molte città costiere. E nel resto della penisola i negozi si svuotano e i prezzi salgono.
A Genova l’80 per cento delle pescherie ha abbassato le saracinesche, nelle Marche di mercati aperti non è rimasto nessuno, nel Lazio il calo del prodotto ha toccato il 50 per cento. A Milano ieri si vendevano 16 mila chili di pesce contro i 27 mila circolati lo stesso giorno dell’anno scorso: «In quarantott’ore la merce si è ridotta del 70 per cento – dice Roberto Predolin, presidente dei mercati generali ”. La crisi è dietro l’angolo. Una settimana così e inizieranno i guai veri ». «Questa mattina (ieri, ndr) girare tra i banchi semivuoti era davvero desolante – racconta Gianpaolo Ambrosini, esperto qualità in missione al mercato ittico per la gettonatissima pescheria Da Claudio ”. Siamo rimasti senza tonno rosso da due giorni e lo spada sta per finire. E da domani ricciole e scorfani saranno sicuramente più cari».
A Venezia intanto Roberto Penzo sfila con la sua barca lungo il Canal Grande insieme con un centinaio di colleghi. In 35 anni di mare non è mai stato tanto arrabbiato. Ce l’ha con il prezzo della benzina, naturalmente, ma anche con chi in Laguna spaccia per pesce italiano quello che arriva da fuori: «Pescato dell’Adriatico qui non ce n’è più. Fi-ni-to. I consumatori devono sapere che se qualcuno vende sogliole, seppie e calamari per roba nostrana, bara: o ce l’aveva nel frigo oppure viene dall’Albania e dalla Croazia, e quindi proprio freschissimo non è».
Nel Salernitano è lotta dura. Da Punta Campanella al porto di Sapri le barche sono tutte ormeggiate. Da venerdì nessuno sgarra, assicura Annunziato Scannapieco: «Resisteremo anche dieci giorni se ce ne fosse bisogno ». Per i ristoratori è vita dura. La Taverna del Capitano a Marina del Cantone, due stelle Michelin, si salva grazie al soccorso di alcuni piccoli pescatori- ribelli della penisola sorrentina: «Per ora non siamo stati costretti a togliere nulla dal menù – dice Mariella Caputo ”, ma il pesce azzurro è schizzato da 5 a 10 euro. Se continua così ho paura che se ne dovranno accorgere pure i nostri clienti». A Livorno Fulvio Pierangelini, pluridecorato chef del Gambero Rosso, non ha ancora rinunciato a uno dei suoi classici, l’insalata di triglie: «Le ho comprate, molto care, da un pescatore clandestino e le ho cucinate con la grazia con cui si maneggia una reliquia... ».
Chi non ha la fortuna di avere un pescatore di fiducia deve accontentarsi del pesce d’allevamento, anche italiano, o sostituire merluzzi, scampi, sogliole e tonni nostrani con quelli pescati in Danimarca, Norvegia, Marocco o Brasile. Ma chi il pesce lo rivende – come Mauro Bozzano – non ci sta: «Solidale con gli scioperanti? Non se si fanno le imboscate, senza avvertire nessuno. E poi il gasolio è aumentato anche per i camion, però non sono mica andato in piazza, io».
Fabio Cutri