Filippo Ceccarelli, la Repubblica 5/6/2008, pagina 10, 5 giugno 2008
la Repubblica, mercoledì 25 giugno «Quelli morti che so´ de mezza tacca,/ fra tanta gente che se va a fa´ fotte,/ vanno de giorno, cantanno a la stracca/ verso la bùscia che se l´ha da ignotte»
la Repubblica, mercoledì 25 giugno «Quelli morti che so´ de mezza tacca,/ fra tanta gente che se va a fa´ fotte,/ vanno de giorno, cantanno a la stracca/ verso la bùscia che se l´ha da ignotte»... Ora, secondo le classificazioni mortuarie di Giuseppe Gioachino Belli, Renatino De Pedis non era esattamente un morto di mezza tacca, lasciava ristoranti, locali notturni, boutique, negozi, società immobiliari e imprese edili, ma la buca («bùscia») che ha finito per inghiottirselo in via definitiva appare da più di dieci anni del tutto incongrua alla sua storia di bandito - per quanto a Roma di banditi sepolti in chiesa ce ne stiano a iosa. Il fatto - pare - è che quando si sposò, proprio lì a la «Pulinara», che sarebbe Sant´Apollinare, tra il serio e il faceto, come chi non vorrebbe disturbare un giorno di felicità, Enrico (così si chiamava veramente) disse alla sposa: «Sai, il giorno che mi tocca - si noti il pudore - mi piacerebbe essere portato qui». E così è stato, anche velocemente: dal Campo Verano, con un salto improvviso nella primavera del 1990 le spoglie del bandito passarono dal loculo del suocero all´ipogeo della basilica, con procedura eccezionale, senza investire cioè né il comune, né l´avvocatura di stato, né nessun altro al di fuori della Chiesa, che su certe cose, su certi luoghi, su certe scelte, non prende in considerazione l´idea di spiegarle, tantomeno si abbassa proprio a discuterle, e da secoli. E così Renatino è ancora qui sotto, nella silenziosa frescura della cripta, sarcofago di marmo bianco, iscrizioni in oro e zaffiro, l´ovale della foto, e uno dei più straordinari misteri che sia dato immaginare nella città eterna, con l´aggravante del macabro, il cortocircuito della ragazza scomparsa e la quasi certezza che non si saprà mai cosa diavolo è accaduto in quella chiesa. Il rettore di Sant´Apollinare spedì infatti la vedova dal Vicario di Roma, il cardinal Ugo Poletti, che non era esattamente uno sprovveduto, con una dichiarazione piuttosto impegnativa: «Si attesta che il signor Enrico De Pedis è stato un grande benefattore dei poveri che frequentano la Basilica e ha aiutato concretamente tante iniziative di bene che sono state patrocinate in questi ultimi tempi, sia di carattere religioso che sociale. Ha dato particolari contributi per aiutare i giovani, interessandosi in particolare per la loro formazione cristiana e umana». E su questo aureo certificato di benemerenza ha reso una parola definitiva, nella sua sublime ambiguità, il più romano, il più ecclesiale e anche il più disinvolto tra i politici: «Ecco, magari non era proprio un benefattore per tutti - scolpì Giulio Andreotti - Ma per Sant´Apollinare sì». Come ogni buon sacerdote avveduto, Don Pietro Vergari, l´allora rettore amico dei De Pedis, volle rinforzare la soluzione con una ulteriore scrittura ( a suo tempo divulgata da Gianni Barbacetto sul Diario) che mostrava, insieme al decoro, anche la convenienza dell´operazione: «Il lavoro di sepoltura sarà fatta da artigiani e operai specializzati in questo settore che già hanno lavorato per la tumulazione degli ultimi Sommi Pontefici in Vaticano. Sarà questa anche l´occasione per risanare uno degli ambienti dei sotterranei, già luogo di sepoltura dei parrocchiani, da moltissimi anni lasciati in completo abbandono». E di nuovo: «Il defunto è stato generoso nell´aiutare i poveri che frequentano la basilica, i sacerdoti e i seminaristi, e in suo suffragio la famiglia continuerà a esercitare opere di bene, soprattutto contribuendo nella realizzazione di opere diocesane». L´incongrua sepoltura si riseppe nel luglio del 1997, grazie al sindacato di Polizia. E poi dice che vengono a Roma da tutto il mondo: per vedere, per sognare, per illudersi di capire. Filippo Ceccarelli