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 2008  giugno 05 Giovedì calendario

Vorrei conoscere la sua opinione sulla fase delicata che sta attraversando il partito/governo di Erdogan

Vorrei conoscere la sua opinione sulla fase delicata che sta attraversando il partito/governo di Erdogan. Traghettatore del Paese verso l’obiettivo della appartenenza alla Ue, l’Akp sta procedendo a una serie impressionante di riforme di carattere democratico che non intendono rinunciare ai valori identitari della cultura tradizionale che includono l’Islam. Fino a che punto questo va a discapito della laicità dello Stato, che del valore principe del kemalismo ha fatto l’elemento consolidato della Repubblica? Ha ragione la magistratura nel preoccuparsi fino a porre l’operato dell’Akp all’attenzione della Corte Costituzionale? Dobbiamo credere davvero che qualcuno guidi l’azione dei seguaci di Erdogan nel percorso della subdola «taqqiyya» (dissimulazione) verso la meta del ripristino della «sharia» nella democratica moderna Turchia odierna? E l’Europa, perché continua a sindacare la esiguità delle riforme e ad auspicarne sempre di nuove? Non potrebbe essere un po’ più fiera dei successi già conseguiti in Turchia con la profonda trasformazione politica e istituzionale del Paese che può essere letta anche come un grande successo della politica di allargamento istituzionale della Ue? Maria Antonia Di Casola Pavia Cara signora, Ricordo ai lettori che la crisi a cui lei si riferisce è un procedimento in corso di fronte alla Corte Costituzionale. La magistratura ordinaria ha chiesto alla Corte di accertare se il partito Giustizia e Sviluppo (Akp) del Premier Recep Tayyp Erdogan stia attentando ai principi del «kemalismo» (l’ideologia laica di Kemal Atatürk, fondatore della Repubblica) e ai valori della Costituzione repubblicana. Se questo sarà il responso della Corte, il partito verrà messo al bando e il premier verrà politicamente interdetto per cinque anni. Assisteremmo quindi a una sorta di colpo di Stato giudiziario destinato a paralizzare per parecchi mesi le istituzioni turche, con effetti nazionali, internazionali, politici ed economici difficilmente prevedibili e calcolabili.  possibile che Erdogan, negli scorsi mesi, abbia sottovalutato il peso e la tenacia dei suoi oppositori. Molti osservatori della Turchia hanno constatato che il suo stile di governo è diventato meno equilibrato e pragmatico di quanto fosse stato in precedenza. Ma le sue scelte e il modo in cui ha affrontato le questioni aperte del Paese sono stati impeccabilmente democratici. Quando la Corte costituzionale cercò d’impedire che il Parlamento eleggesse alla presidenza della Repubblica un membro del suo partito (il ministro degli Esteri Abdullah Gul), Erdogan ricorse alle urne, vinse le elezioni e conquistò la maggioranza necessaria all’elezione parlamentare del nuovo presidente. Fu un errore adottare nei mesi seguenti una legge che autorizza le donne osservanti a coprirsi il capo anche nei luoghi pubblici (l’università ad esempio) dove l’uso del «turban» era precedentemente vietato? Credo di no. La vecchia legge era illiberale ed è stato giusto abolirla. In Francia, dove la laicità è la ideologia dello Stato, la legge vieta l’uso del foulard nelle scuole dove sono stati proibiti tutti i simboli religiosi, ma lo autorizza nelle università e nei luoghi pubblici. Il partito Akp si è rivelato sinora molto più democratico di quanto siano state in passato altre forze politiche laiche della tradizione turca. Il governo Erdogan ha introdotto riforme perfettamente compatibili con le tradizioni civili dell’Occidente e lo ha fatto per facilitare il suo percorso verso l’Unione europea. Lei ha quindi ragione quando osserva che l’Europa dovrebbe andare orgogliosa dell’importanza che la sua influenza ha avuto sulla Turchia moderna nel corso di questi ultimi anni. Molte riforme, soprattutto nel delicato settore dei rapporti fra il potere civile e il potere militare, non sarebbero state adottate se l’Unione Europea non ne avesse fatto la condizione necessaria per l’avvio dei negoziati di adesione. Resta da comprendere quindi perché il maggiore tribunale del Paese non abbia esitato ad avviare un procedimento che rischia di nuocere alla evoluzione politica ed economica della Turchia. La ragione fondamentale è il sospetto. I laici più radicali temono di perdere le posizioni di potere che hanno conquistato al vertice delle istituzioni e sono convinti (o pretendono di esserlo) che l’autorizzazione del velo islamico sia soltanto l’inizio di un processo destinato a concludersi con la islamizzazione della società e dello Stato. Il rischio esiste. Come Monica Ricci Sargentini ha segnalato recentemente sul Corriere, vi sono correnti all’interno dell’Akp che premono per costringere la vita quotidiana nelle gabbie dell’ortodossia musulmana. Non credo che l’Unione europea condivida questo sospetto e ho letto dichiarazioni di Bruxelles da cui risulta un implicito sostegno a Erdogan. Ma gli uomini politici dell’Ue sanno che nei loro Paesi esiste per il momento una forte opposizione all’adesione della Turchia. E temono che un più esplicito appoggio a Erdogan venga interpretato come un segnale di «via libera ». Temo che sia questa, cara signora, la ragione della nostra reticenza.