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 2008  giugno 05 Giovedì calendario

La Stampa, giovedì 5 giugno Che bel film da Hollywood: Barack Obama, 46 anni, metà africano e metà americano, contro John McCain, 72 anni, americano tutto d’un pezzo, con incredibili occhi azzurri e un’aria da old warrior, da vecchio guerriero

La Stampa, giovedì 5 giugno Che bel film da Hollywood: Barack Obama, 46 anni, metà africano e metà americano, contro John McCain, 72 anni, americano tutto d’un pezzo, con incredibili occhi azzurri e un’aria da old warrior, da vecchio guerriero. Guardiamoli bene questi due attori che resteranno sui nostri schermi fino al 4 novembre, quando in America si voterà per eleggere il Presidente. Obama, signore molto chic, sempre in giacca ben stirata e camicia inamidata e cravatta stretta, modello Bob Kennedy, a volte slacciata, per significare la fatica e l’impegno, non beve, ha fatto ginnastica e trattamenti in tutte le spa degli alberghi americani dove si è trovato in questa campagna elettorale. E’ accompagnato da Michelle, bella e impossibile. McCain, fisico da combattente, con cicatrici sparse per il corpo e lentiggini, bizzoso, irascibile, egocentrico, burbero come un militare, elegante, ma non all’ultimissima moda, mangia hamburger e patate, se gli capita beve bourbon, corre con calma con la moglie, e gira l’America con la vecchia mamma Roberta di 96 anni. Due tipi così sono platealmente differenti. Obama ha i college della East Coast, gli studi legali di Chicago, la militanza politica raffinata, una legislatura al Senato, trascorsa nella Washington dei circoli intellettuali molto chic e molto anti-Bush. McCain si è diplomato alla Naval Academy nel 1958, ha combattuto in Vietnam, è stato fatto prigioniero, ha trascorso 5 anni sotto tortura nell’Hanoi Hilton, la terribile prigione, si è fatto una lunga gavetta politica a Washington, e basta leggere una sua biografia per scoprirla 20 volte più lunga di quella di Obama. Il senatore di Chicago parla come un dio, ha una rapsodia da rock star, ti prende per la testa e non ti molla più. McCain non trascina, ma ti fa riflettere. McCain non dà mai un titolo per un giornale, lamentano i cronisti, ma discorre come un vicino di casa, un po’ protestatario e un po’ noioso, un po’ conservatore e un po’ memorioso di cose viste e vissute, avventure, donne. Se incontri Obama in treno, e sei un ragazzo, scendi con lui alla prima fermata e vai dove ti porta il suo rap. Se hai 50 anni e capiti in aereo accanto a McCain, torni a casa con una infinità di cose da raccontare ai nipoti per insegnargli la storia americana e per farli addormentare con la bandierina a stelle e strisce in mano. Perché McCain è un patriota, simbolo di questo sentimento forte che tiene unita l’America. Obama invece non è ancora identificato come un vero «amerikano» five stars. Dà l’idea di non voler troppo bene «ai nostri ragazzi che combattono laggiù», di voler trattare coi nemici, di poter mollare come si fece in Vietnam. Lo criticano per non essere mai andato in Iraq o in Afghanistan a dare una pacca sulle spalle a chi rischia la pelle. Mentre McCain ha visitato più caserme che chiese, più campi di battaglia che campi da golf. La vita di John è un film dei fratelli Cohen. Quella di Barack è un happy-end alla Walt Disney, con l’american dream che trionfa e permette a un nero di arrivare alla Casa Bianca dopo aver battuto i due rivali bianchi. Barack e McCain sono così diversi e lontani che si stimano, come due pugili che parlano bene l’uno dell’altro prima di salire sul ring e darsene di santa ragione . L’America ora deve decidere per chi tifare, se per il vecchio conservatore rassicurante o per il giovane progressista che tutto vuole cambiare, visto che change è il suo slogan. L’America deve decidere se essere ancora un Paese per vecchi oppure no. Nel 1980, per uscire dai guai combinati dal democratico di mezza età, Jimmy Carter, si affidò a Ronald Reagan. Oggi per rimediare ai guai in cui l’ha messa George W. Bush potrebbe anche scegliere McCain invece che Obama. Perché Obama è nero, e forse l’America non è ancora un Paese per neri. Per sapere se il fattore razziale è stato completamente superato dovremo aspettare il quattro novembre. Ma già abbiamo visto operai bianchi, aizzati dai due Clinton, Bill e Hillary, votare contro Obama, vecchi sessantottini schierarsi contro il giovane che ha idee più progressiste delle loro e che non li tiene in considerazione preferendogli i loro figli della blog generation. L’America il quattro di novembre rischia di dividersi fra vecchi e giovani, bianchi e neri, moderati e conservatori uniti contro il nuovo che avanza e che travolge. Uomini e donne che vanno in due direzioni diverse. McCain potrebbe allargare l’area del tradizionale consenso conservatore del Grand Old Party, prendendo con sé i democratici moderati, i colletti blu arrabbiati, i latinos che chiamano Obama «el negrito», le nonne e le zie che tanto hanno amato Hillary. Secondo certe statistiche il 60% degli elettori di Hillary alle primarie non sono soddisfatti di una candidatura Obama e potrebbero o non andare a votare o sostenere the old warrior. Obama per vincere deve prima convincere, non lasciare disperdere l’esercito di quei 18 milioni di americani che hanno votato per Hillary. Deve trattare con lei, ottenerne la benedizione, offrirle se non la vicepresidenza almeno un posto da Segretario di Stato (soluzione che secondo voci filtrate dai vertici del partito democratico potrebbe anche accontentare Hillary). Se non unisce Obama, sarà McCain ad unire, mettendo a rischio la vittoria del senatore di Chicago. Non è la prima volta che un uomo modesto, pessimo oratore, di non grande fascino politico va a stabilirsi alla Casa Bianca. La politica non sempre premia i grandi attori. C’è il rischio che Obama, dopo tanti successi, debba affrontare un percorso in salita, pieno di trabocchetti e di imboscate come le gole delle Montagne Rocciose nei film western. Che alle piazze piene non corrispondano le urne piene. Proprio lo staff di Obama pensava che in Italia, viste le scene alla tv, potesse vincere «our friend Veltroni». E invece è arrivato come una valanga, nuovamente, Silvio Berlusconi. McCain, sopravvissuto alle torture dei vietcong, lo costringerà col sorriso sulle labbra a battersi con ferocia. Ci sarà da divertirsi. Elezioni così non si vedono tante volte nella vita. Non perdiamoci il film. Carlo Rossella