
Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Per tutto il giorno abbiamo creduto che Mubarak si sarebbe dimesso, e invece ieri sera, intorno alle 21 (le nostre 10), ecco il raìs apparire in televisione e annunciare che avrebbe gestito lui la transizione: «Ho messo a punto una chiara strategia sul modo in cui risolvere la crisi. Il sangue di quelli che sono stati uccisi non sarà stato versato invano. Non mi candido alle prossime elezioni di settembre. Farò in modo che ci siano tutte le condizioni per tenere elezioni libere e trasparenti in Egitto».
• Che ne dice?
È la conclusione clamorosa di un pomeriggio pieno di incertezze, in cui a un certo punto s’era dato per sicuro che il raìs, con un discorso serale in tv, si sarebbe dimesso. Sembrava che il potere dovesse passare all’esercito. Mubarak voleva parlare già nel pomeriggio e annunciare il passaggio dei poteri al suo vice Suleiman. Ma – si diceva – i militari glielo avevano impedito. Notizie che trovavano conferma quando i programmi televisivi venivano improvvisamente interrotti e si dava lettura di un «comunicato numero 1» preparato dal Consiglio supremo delle forze armate: «Tenuto conto della responsabilità delle forze armate e del loro impegno a proteggere il popolo e preservare i suoi interessi e la sua sicurezza; per vigilare sulla sicurezza della nazione e dei cittadini e sulle conquiste del grande popolo egiziano; per sostenere le richieste legittime del popolo il consiglio ha deciso di rimanere riunito in sessione permanente per esaminare le decisioni che possono essere prese al fine di proteggere la nazione, le conquiste e le ambizioni del grande popolo d’Egitto». Si vedevano intanto immagini degli ufficiali membri del consiglio e del suo presidente, ministro della Difesa, maresciallo Mohammed Hussein Tantaui.
• E i manifestanti?
Nella piazza Tharir ce n’erano duecentomila, spesso sorridenti e con le bandiere in pugno. Gli ufficiali sulla piazza gli gridavano al megafono: «Stasera avrete una bella notizia» oppure «Verranno esaudite tutte le vostre richieste».
• Che cosa può aver provocato un cambio di scena così inatteso?
È in corso un’accanita lotta, e questo significa che chi vincerà la transizione tenterà poi di renderla in qualche modo permanente. Chi prevale in questo tipo di battaglie, non lavora poi a favore degli altri. Mubarak dice che non si candiderà alle elezioni, ma siamo in febbraio, fino a settembre c’è ancora molto tempo e la patria dovrà essere salvata parecchie volte ancora. Secondo le varie tv satellitari arabe, il raìs cambierà cinque articoli della costituzione egiziana, ne abolirà un sesto, abrogherà le Leggi dell’Emergenza che gli permettono di fare il dittatore dal 1981. Ho i miei dubbi e, se devo giudicare in pochi minuti, mi pare che Mubarak stia invece vincendo e che, nonostante i proclami di Obama, gli americani lo stiano segretamente sostenendo.
• Che cosa ha detto Obama?
Ieri pomeriggio: «È chiaro che siamo testimoni di una trasformazione chiesta dalla gente che è scesa in strada. Si sta facendo la storia e i giovani sono stati il cuore della protesta». Il presidente egiziano, nel suo messaggio di ieri sera, ha anche affermato che non accetterà i dettami che vengono dall’estero. Ma questo coglie un certo spirito del momento, Biden aveva lamentato che durante i giorni della rivoluzione il governo del Cairo avesse combinato tanto poco e il ministro degli Esteri Aboul Gheit gli aveva risposto: ««Quando parlate di cambiamenti rapidi e immediati ad un grande paese come l’Egitto, con il quale avete sempre mantenuto le migliori relazioni, tentate di imporgli la vostra volontà». Credo poco a queste schermaglie. L’unico che l’ha indovinata, ieri pomeriggio, è stato il primo ministro Shafik. Ha passato qualche ora nello studio di Mubarak, e quando è uscito ha detto: «Tutto è ancora nelle mani del presidente». L’episodio di ieri sera mi dice che gli americani, per gestire la transizione, stanno puntando su Mubarak e che il raìs è piuttosto in sella. Le frasi tra virgolette non contano.
• Ma Mubarak non era il cattivo della situazione? Il mondo non sarebbe stato migliore senza di lui?
La sparizione di Mubarak aprirebbe una lotta a coltello tra le varie fazioni. Militari, islamici, movimenti vari, di vecchio stampo o sorti in questi giorni, tutti uno contro l’altro. Una fase molto pericolosa, e che potrebbe avere effetti ancor più destabilizzanti sull’area. I regimi limitrofi hanno paura di essere rovesciati. Dopo Tunisia ed Egitto, la situazione è in bilico anche in Yemen, in Giordania, in Algeria. In Algeria il governo si prepara a cancellare la legislazione d’emergenza, in vigore da vent’anni. A Riad si dice che re Abdullah tornerà dalla convalescenza in Marocco con un regalo per i suoi sudditi. C’è il problema del petrolio, di Suez, di Israele. Obama vuole una transizione ordinata, significativa, durevole e legittima (così in una dichiarazione dell’altro giorno). Chi meglio di colui che regge il potere da trent’anni? [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 11/2/2011]
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