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 2011  febbraio 11 Venerdì calendario

COSI’ SI E’ BLOCCATO IL GOLPE DELL’ESERCITO. LA NOTTE PIU’ LUNGA DEGLI AGENTI SEGRETI — A

volte le «masse arabe» si ribellano, ma la «rivoluzione» la guidano i militari. Escono dalle caserme e prendono il comando. È quello che hanno provato a fare le forze armate egiziane ripetendo quanto avvenne nel 1952 con la deposizione di re Faruk. Nel «Comunicato numero 1» del Consiglio supremo, i generali affermavano di essersi mossi «per salvaguardare la Patria ed esaudire le aspirazioni del popolo» . Quel «numero 1» diceva molto. Voleva indicare l’inizio di una nuova era, ma poi è accaduto qualcosa che ha ostacolato il pronunciamento. Dopo una notte drammatica— segnata da voci di dimissioni, trattative segrete, scontri da decifrare — — Hosni Mubarak ha reinvestito Omar Suleiman bloccando, probabilmente, il golpe strisciante.
Da quando è iniziata la clamorosa sfida al raìs, l’esercito ha giocato a fare la terza forza. Usando molte leve. Un apparato di 460 mila uomini. Il controllo del 35% dell’economia egiziana attraverso ex ufficiali che dirigono ogni tipo di azienda o impresa. Il rapporto privilegiato con il Pentagono che garantisce— ogni anno— aiuti per 1,3 miliardi di dollari. L’esser parte dell’establishment e al tempo stesso «al fianco del popolo» con i quadri intermedi e i soldati di leva. Una realtà difficile da interpretare per gli osservatori e non sempre compatta. Quelli che dovrebbero guidare la svolta, il ministro della Difesa Mohammed Tantawi e il capo di Stato maggiore Sami Anan, sono stati sempre considerati dagli americani come degli strumenti di Mubarak. Tantawi lo hanno definito il «cagnolino» del raìs, un uomo «anziano e contrario al cambiamento» .
Eppure con i suoi interlocutori statunitensi si è lasciato andare a qualche critica verso il presidente, facendo pensare a crepe e dissidi. Non fatevi illusioni — hanno ribattuto gli scettici — sono personaggi scelti dal leader e membri di un’elite che hanno un solo obiettivo: lo status quo o comunque la stabilità dell’Egitto. Se si accorgono che la barca può andare a fondo, sono pronti a liberarsi del peso. Per mentalità, legami internazionali e interessi privati temono le svolte azzardate così come l’avanzata dei Fratelli musulmani. Un approccio che ricorda altri scenari: quello della Turchia degli anni 70 e l’Algeria del 1992, con il golpe per neutralizzare la vittoria degli islamisti del Fis.
Quando l’Egitto è stato sconvolto dalla protesta, i militari si sono schierati a metà strada, tra il Palazzo e la piazza Tahrir. Ma neutrali non sono mai stati. Hanno protetto i dimostranti e hanno favorito i loro aggressori, la teppa pro-Mubarak. Poi hanno cercato di condizionare gli eventi ascoltando anche quelle voci — dall’estero e dall’interno— che chiedevano una via d’uscita dignitosa per il raìs. Quindi ancora ambiguità sul terreno. Nella mano destra il ramoscello d’ulivo teso, nella sinistra il randello usato nelle torture. Hanno represso come gli sbirri. Poi si sono messi in posizione di attesa dando tempo ai negoziati affidati al vice presidente Omar Suleiman, altro generale alla guida dei servizi dal 1993.
Una soluzione che si è arenata nelle obiezioni dei dimostranti e nei cavilli costituzionali. I militari — o una parte di loro— potrebbero allora aver tentato di forzare la mano al raìs convincendolo a mettere fine all’agonia. L’apparato della sicurezza, probabilmente, ha resistito. E la guerra tra fazioni ha fatto saltare il piano, cogliendo di sorpresa Casa Bianca, Cia e diplomazie. A meno che non sia stata una grande pantomima. O peggio una provocazione per favorire la repressione.
Le autorità, nelle ultime 24 ore, hanno lanciato minacce nei confronti dei dimostranti ora furiosi più che mai. Invece che scortare Mubarak fino alle spiagge di Sharm El Sheikh, i soldati potrebbero essere chiamati a proteggere la reggia con i tank. Allora forse capiremo con chi stanno veramente i generali e di cosa sono capaci.
Guido Olimpio