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 2011  febbraio 11 Venerdì calendario

HONG KONG PORTA L’ASIA NEL RISIKO DELLE BORSE

Un matrimonio tira l´altro sulle borse mondiali. L´accordo tra Lse (Londra-Milano) con Toronto e il fidanzamento tra Deutsche Boerse e New York Stock Exchange-Euronext (i fiori d´arancio dovrebbero arrivare la prossima settimana) hanno convinto anche gli ultimi single dei mercati globali a mettersi a caccia di un partner. Il listino di Hong Kong - che grazie al boom cinese vale oggi 25 miliardi di dollari - ha annunciato ieri di «essere aperto ad alleanze internazionali» dopo che i suoi titoli, sotto pressione per le mosse dei concorrenti, erano scivolati del 4,9%. I venti di consolidamento hanno smussato anche le resistenze australiane contro l´Opa da 8 miliardi lanciata dalla Borsa di Singapore su quella di Sydney e le ipotesi di un´intesa in tempi rapidi hanno fatto decollare (+ 5%) le azioni dell´Australian Stock Exchange.
L´improvvisa voglia di nozze scoppiata tra i listini internazionali ha ragioni economico-finanziarie molto chiare: la nascita di mercati alternativi (gestiti da banche d´affari o direttamente dai fondi speculativi) ha messo sotto pressione i margini delle borse tradizionali. E l´esplosione delle nuove tecnologie - oggi il 53% degli ordini di acquisto e vendita è gestito dai computer senza alcun intervento umano - ha alzato l´asticella degli investimenti necessari per tenere il passo con la concorrenza.
Nel 2008, per dire, il London Stock Exchange gestiva il 78% degli scambi su azioni inglesi. Oggi quasi un titolo britannico su due passa di mano fuori dal circuito telematico della City, viaggiando sui terminali di concorrenti "privati" o attraverso i cosiddetti "dark pool" (pozzi scuri), i mercati paralleli gestiti dalle banche per incrociare gli ordini - spesso molto consistenti - dei propri clienti istituzionali. E non a caso i protagonisti delle nozze di questi giorni sono proprio i big che più hanno patito lo sbarco sul mercato dei nuovi competitor.
A spingere il consolidamento è anche il livello di sofisticazione raggiunto dai listini. Le azioni tradizionali - quelle che rappresentano semplicemente il valore di un´azienda e salgono o scendono a seconda delle sue prospettive di crescita - non tirano più. Gli scambi su questo tipo di strumenti sono crollati lo scorso anno al New York Stock Exchange del 10%. La nuova gallina dalle uova d´oro, borsisticamente parlando, sono i derivati. Titoli che non rappresentano un bene reale ma solo un altro titolo. Carta su carta. A New York se passa di mano un´azione la Borsa ha un guadagno operativo del 35%. Se la stessa operazione riguarda un future, il margine è del 55%. Risultato: oggi negli Stati Uniti esistono circa un milione di future, ognuno delle quali genera 5 prezzi al secondo. E i loro volumi di scambi sono balzati del 14% al Nyse e del 30% al Nasdaq.
Una pioggia di numeri, virgole e decimali gestita ormai quasi in toto dagli algoritmi dell´high frequency trading, i sofisticatissimi programmi messi a punto dalle banche d´affari in grado di lanciare migliaia di ordini in pochi millesimi di secondo sfruttando la lettura anticipata dei prezzi di domanda e offerta disponibili e cavalcando le minime differenze di valore su mercati diversi di un singolo prodotto. Uno tsunami telematico che non ha niente a che vedere con l´economia reale ma utilissimo per ingrassare i profitti dei colossi della finanza e i volumi dei listini.
Le spese per gestire questo business hi-tech - nel mirino delle authority di controllo dopo il crollo in pochi secondi del 10% del Dow Jones di maggio 2010 - sono altissime. E per tenere il passo e rimanere competitivi è necessario allearsi. La fusione tra Nyse e Deutsche Boerse Euronext, ad esempio, dovrebbe generare risparmi di 300 milioni di euro all´anno