OSVALDO GUERRIERI, La Stampa 11/2/2011, pagina 35, 11 febbraio 2011
Marianini, la vita è tutto un quiz - È un po’ come salire sulla macchina del tempo di Wells. Niente di grandioso
Marianini, la vita è tutto un quiz - È un po’ come salire sulla macchina del tempo di Wells. Niente di grandioso. Un salto all’indietro non più ampio di una cinquantina d’anni, quanto basta per ritrovare un personaggio e un’Italia di cui abbiamo perduto le tracce. Il manovratore è Bruno Ventavoli. Autore della biografia Marianini, Gian Luigi (Gaffi editore, pp. 111, € 10), è lui il Virgilio che ci guida verso la conoscenza del primo divo della tv in bianco e nero e al tempo stesso estrae dagli archivi le immagini di un’Italia ancora arcaica, sebbene gli anni fossero già quelli del boom, popolata in massima parte da gente semplice, in gran parte analfabeta e protesa verso un benessere che la tv faceva annusare con spirito pedagogico e moralistico. Di questa Italia Marianini è stato lo scardinatore, anzi l’antitesi. E’ stato sufficiente per lui partecipare a Lascia o raddoppia? , il quiz televisivo simbolo di quella fine Anni Cinquanta, per stabilire le distanze e proporre un modello di uomo, di vita, di comportamento che nessuno avrebbe mai saputo immaginare. Rispose alle domande di Mike Bongiorno su moda e costume, vinse con facilità i fatidici cinque milioni 120 mila lire e li spese non si sa come. Si mostrò a tutti come un signore bizzarro, elegante più di un dandy, dotato di un linguaggio immaginoso e oscuro. Si rivolgeva a Mike apostrofandolo «mio dotto inquisitore» e scatenando ilarità, poiché a tutti era chiaro che Mike (e Umberto Eco non mancò di farlo notare) incarnava la mediocrità. Chi era quest’uomo apparso dal nulla che con la sua voce nasale, gli occhialini e la barbetta a punta teneva incollati milioni di italiani al teleschermo? Era un torinese vivo per caso, c’informa Ventavoli. Nacque di sei mesi e mezzo e, considerato un aborto, fu messo da parte. Lo salvarono i gatti. Accovacciati accanto a lui mentre il medico stilava l’atto di morte, gli fecero da incubatrice e lo «resuscitarono». Lo allevò la nonna e il ragazzo crebbe tanto vispo da diventare futurista con sfumature dannunziane attratto dalla poesia che componeva con arditi neologismi, stregato dalle donne non meno che dalla religione. Voleva diventare prete. Si disegnò anche l’abito adatto a lui, ma quando i prelati videro quel modello haute couture , lo dissuasero. Si laureò in filosofia, bazzicò la rivista e il varietà facendo il provocatore, così come provocherà dopo i fasti televisivi, quando eserciterà la professione (mai retribuita se non in natura) dell’opinionista tuttologo, del testimonial pubblicitario, del giudice nei concorsi di bellezza, del gourmand alle prese con le gare gastronomiche. Era un personaggio che viveva di notte, Marianini. Lo svegliava la moglie a una data ora del pomeriggio, se lo teneva per sé fino alle 22 e poi ne perdeva le tracce. Ventavoli ci avverte: guai però a considerare Marianini un viveur e una macchietta. L’uomo era anche uno studioso di religioni, uno storico serio, un divulgatore che non esitò a usare la televisione per conversare nottetempo con i telespettatori sui misteri di Torino, sul satanismo di cui era espertissimo, sul maligno che era la prova dell’esistenza di Dio. Entrò anche in politica, ma non fu una carriera gloriosa, anzi non fu nemmeno una carriera. Ai comizi diceva: non eleggetemi, altrimenti dovrò alzarmi presto, datemi soltanto qualche voto per salvare la faccia. Lui, di origini nobiliari, proiettato verso un passato di dandismo e dissipazione, non poteva essere di sinistra. Difatti era monarchico, conservatore e leghista ante litteram . Si batteva con la scettica determinazione di un post-futurista. Potremmo considerarla un romanzo di costume la vita di Marianini. Ventavoli ce la racconta proprio in questa chiave. Documenti alla mano, va verso l’Oscar Wilde di via Po quasi con lo stupore di chi scopre un animale non registrato nei manuali di zoologia e lui per primo ci si diverte.