Marco Onado, Il Sole 24 Ore 11/2/2011, 11 febbraio 2011
TROPPA EUFORIA SULLE SUPERBORSE NON FA BENE AL MERCATO E AL PAESE - E
così Borsa italiana, dopo aver traversato la Manica ed essersi unita al glorioso London Stock Exchange, ha varcato addirittura l’oceano e si trova oggi alleata con Borsa canadese, sempre più lontana però dagli occhi di chi deve vigilare. A Londra, l’operazione viene salutata come un successo del nuovo amministratore delegato, e infatti le azioni dell’Lse sono salite dell’8% all’annuncio ufficiale. Ma a chi giova veramente questa operazione e quali garanzie ci sono di una supervisione efficiente?
Il problema di fondo è che le borse sono ovunque organizzate come società a scopo di lucro e sono addirittura quotate. Hanno enormi problemi di sopravvivenza perché pressate dalla globalizzazione degli scambi e dalla sempre più temibile concorrenza di piattaforme alternative. La risposta è un continuo incremento delle dimensioni: in termini di valore di mercato, la nuova società raggiunge quasi 7 miliardi di dollari e comincia ad essere difficilmente preda di acquisizioni.
Come è già accaduto alle banche negli ultimi quindici anni, è da tempo iniziata la corsa alla fusione per non essere preda di altri cacciatori. Con soddisfazione infatti gli analisti fanno notare che a questo punto ben difficilmente potranno venire minacce alla nuova società dall’Europa o dall’America, al massimo dall’Asia, dove ad esempio Hong Kong è già arrivata a quasi 25 miliardi di dollari in termini di capitalizzazione. Ma come la corsa alle dimensioni bancarie ha prodotto mostri ingestibili e fragilissimi (Citigroup e Royal Bank of Scotland per fare gli esempi più clamorosi), è possibile che questa corsa al gigantismo non giovi a nessuno. Qualcuno dovrebbe gridare, come avrebbe detto Guareschi tanti anni fa: «Contrordine compagni: Darwin non predicava la sopravvivenza del più grasso (fattest), ma del migliore (fittest)».
Rinunciando sia al modello anglosassone della borsa come "club" gestito dagli utenti, sia a quello europeo-continentale della borsa pubblica, abbiamo creato delle società che agiscono soprattutto per la massimizzazione del loro profitto: abbiamo fatto uscire il genio della bottiglia e forse non è più possibile farlo rientrare. Dobbiamo però essere consapevoli che gli interessi degli azionisti non sono più così coincidenti con quelli delle imprese e degli investitori.
Sicuramente, il peso di Borsa italiana viene ulteriormente diluito: è vero che noi portiamo in dote piattaforme e infrastrutture di grande efficienza, soprattutto nel reddito fisso (l’eredità dell’Mts). Ma è anche vero che nel comparto azionario, con 290 società quotate su 6.700 totali, facciamo la figura del pigmeo fra i watussi. Detto questo, si pongono due problemi rilevanti dal punto di vista della vigilanza, fra loro collegati. Il primo è l’atteggiamento delle autorità dei vari paesi rispetto a questa corsa alle dimensioni. Oggi, le autorità creditizie rimpiangono di non aver capito per tempo che certe fusioni aumentavano il rischio dei soggetti coinvolti ed erano quindi contrarie alla "sana e prudente gestione" scolpita nel bronzo di tutte le leggi bancarie. Succederà così anche per le fusioni delle borse? Il dubbio è lecito. Si dirà che le autorità di borsa vigilano sulle società mercato, ma non dispongono dei poteri penetranti delle autorità di vigilanza bancaria, a cominciare dai requisiti patrimoniali. Ma non è opportuno cominciare a porsi il problema nelle sedi competenti, visto che sia a livello internazionale che a livello europeo abbiamo le sedi istituzionali competenti? E comunque, non si potrebbero usare in modo più deciso, ovviamente se c’è una volontà comune, i poteri già esistenti?
Il secondo problema nasce dal fatto che la disciplina fondamentale, sia degli emittenti sia di tutela degli investitori rimane radicata a livello nazionale: si pensi solo alla sorveglianza giorno per giorno sulla regolarità degli scambi per monitorare eventuali fenomeni di manipolazione e insider trading. Non è allora opportuno ripensare anche al bilanciamento delle responsabilità fra società mercato e autorità pubbliche? La Consob ha posto più volte con forza il problema dell’ammissione al listino, ma ormai è tempo di un’analisi completa e critica.
Insomma, prima di festeggiare l’ennesima fusione, dovremmo riflettere sugli interessi veri in gioco: quelli degli emittenti di titoli e quelli degli investitori.