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 2011  febbraio 11 Venerdì calendario

“Gli affari sono affari Una scelta inevitabile” - L’ elmetto di Bismarck sul toro scolpito da Arturo Di Modica è l’immagine choc con cui i tabloid della Grande Mela riassumono l’avvento della finanza tedesca nella roccaforte del capitalismo americano

“Gli affari sono affari Una scelta inevitabile” - L’ elmetto di Bismarck sul toro scolpito da Arturo Di Modica è l’immagine choc con cui i tabloid della Grande Mela riassumono l’avvento della finanza tedesca nella roccaforte del capitalismo americano. Vista dal floor di Wall Street come più di una resa della finanza a stelle e strisce ai rivali del Vecchio Continente, appare «la scelta inevitabile per costruire il più potente mercato dei futures dell’economia globale» riassume Ruben Lee, consulente dell’Oxford Finance Group, secondo il quale «gli unici concorrenti potrebbero essere in Asia, ma le loro piazze finanziarie sono ancora molto lontane da diventare un blocco» a causa delle rivalità nazionalistiche, prima ancora che finanziarie, che evocano in strateghi come Robert Kaplan i paragoni con l’Europa dell’Ottocento. E’ proprio questa necessità di accettare un ridimensionamento negli equilibri transatlantici per poter meglio gareggiare su scala globale con le economie emergenti che segna la svolta del New York Stock Exchange, che sin dagli albori ha dimostrato di saper anticipare le scelte richieste dai mercati. Fondata nel 1792 da due dozzine di uomini d’affari che con il «Buttonwood Agreement» sfruttarono la possibilità di scambiarsi le obbligazioni federali - emesse due anni prima dal governo al fine di finanziare la rivoluzione - per creare valore, il «curb trading» ovvero «mercato sul marciapiede», portò nel 1817 alla formale creazione del New York Stock & Exchange Board con il varo di regolamenti che consentirono pochi anni dopo l’inizio delle quotazioni delle prime azioni, emesse da società ferroviarie, che avrebbero dominato gli scambi durante l’Ottocento consentendo la creazione dei grandi capitali privati. Furono quelle prime regole che, proibendo le emissioni segrete e obbligando le imprese a rendere pubbliche informazioni critiche per gli investitori, posero le basi per la redazione dei listini di titoli, a partire dal 1869. Il risultato fu l’affermarsi di un mercato credibile, dove le società delle ferrovie come le neonate corporation potevano trovare i finanziamenti necessari per alimentare la rapida crescita industriale degli Stati Uniti. Le crisi del 1837, 1857 e 1873 rallentarono ma non fermarono la crescita ed anche durante la Guerra Civile le uniche sospensioni riguardarono la quotazione delle aziende del Sud. Assunta nel 1863 la denominazione di New York Stock Exchange, il passaggio di secolo accelera gli investimenti portando nel 1906 il Dow Jones a raggiungere quota 100. La sede al 18 di Broad Street sopravvive al panico del 1907 dando vita nel 1923 a un boom che viene interrotto solo dal «Black Thursday» del 29 ottobre 1929 seguito dalla Depressione e dalla guerra. Ma finito il conflitto con la sconfitta delle potenze dell’Asse, è il Nyse a trainare la più lunga fase di crescita della storia - dal 1949 al 1952 - accompagnando l’America in un boom che porta milioni di cittadini ad acquistare azioni, superando il record di un milione di azioni scambiate in un giorno con il conseguente debutto dell’azionariato diffuso, ovvero la stagione del capitalismo arrivata fino alle nuove generazioni. In ognuno di questi passaggi, spesso segnati da crisi e scandali, il Nyse è riuscito a rimanere all’avanguardia anche delle tecnologie adoperate per gli scambi: dal telegrafo nel 1844 al trading automatico nel 1966 fino all’avvento di Internet negli anni 1990. L’ultima frontiera dell’innovazione è arrivata nel confronto con la globalizzazione, portando nel 2007 alla fusione con Euronext e alla conseguente aggiunta di quattromila titoli quotati. Ma quattro anni dopo quel balzo in avanti non bastava più per sostenere la competizione globale - come dimostrato dalla crisi del 2008 - e l’offerta della Deutsche Boerse consente di realizzare una corazzata delle contrattazioni con la quale ogni piazza finanziaria dovrà confrontarsi. Obbligando i regolatori di Europa e Stati Uniti a fare i conti con i rispettivi tabù: la gestione dei derivati per l’una e il patriottismo per gli altri. «Dato il valore simbolico di Nyse, le conseguenze della fusione arriveranno ovunque» preannuncia Christopher Harris, veterano di Wells Fargo sul floor, lasciando intendere che Wall Street continua ad «anticipare quello che avverrà».