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 2011  febbraio 11 Venerdì calendario

RAI, PRONTA UNA RICETTA DA SOVIET

Siamo tutti d’accordo nel dire che non ne possiamo più delle risse in tv con i politici che urlano, si insultano, si parlano addosso, quindi escono di scena con il beau geste di un abbandono che chissà come mai viene deciso sempre ai titoli di coda. La maleducazione di questi nostri rappresentanti democraticamente eletti è pari, fra l’altro, alla pochezza delle loro argomentazioni.
Visto che il concetto più frequentemente espresso dagli on. e dai sen. è il seguente: «Io l’ho lasciata parlare, adesso lei non mi interrompa».

Anche se siamo ormai lobotomizzati al punto da non avere la forza di cambiare canale, certi talk show non li sopportiamo più: sono la riproposizione (in peggio) delle vecchie fiere di paese in cui «chi grida di più la vacca è sua».

Sarebbe quindi da benedire un provvedimento che mettesse fine allo scempio. Ieri abbiamo saputo che l’onorevole Alessio Butti del Pdl ha presentato alla Rai la bozza di un «atto di indirizzo» che sarà esaminato la prossima settimana dalla commissione di vigilanza. Per qualche istante abbiamo sperato in una buona notizia. Ma solo per qualche istante. Il tempo di leggere la bozza. Lette quelle pagine, ci siamo ricordati che ogni volta che i politici (di ogni colore, beninteso) tentano di regolamentare, o meglio di controllare, l’informazione, finiscono sempre con il farci rivivere le memorabili gesta di «Baghdad Bob», cioè Mohammed Saeed al Sahhaf, il mitico ministro dell’Informazione di Saddam Hussein che il 7 aprile del 2003, mentre i carri armati americani erano a poche centinaia di metri da lui, annunciò in tv il «suicidio di massa» degli invasori sconfitti.

Dunque l’«atto di indirizzo» della maggioranza prevede che «tutti i partiti presenti in Parlamento devono trovare, in proporzione al loro consenso, opportuni spazi nelle trasmissioni di approfondimento giornalistico», il che significa che a ogni puntata di Annozero o Porta a porta o Ballarò eccetera debbano esserci in studio più o meno alcune decine di parlamentari; che i conduttori debbano essere non uno ma «due, di diversa estrazione culturale»; che al pubblico presente in studio siano vietate «manifestazioni di consenso (applausi) o di dissenso (comunque espresso)»; che sia «necessario coniugare» il diritto di cronaca «con il rispetto per il pubblico, in particolare nei programmi normalmente in onda nella cosiddetta fascia protetta in cui è indispensabile evitare morbosità», per cui nel caso (facciamo un’ipotesi assurda) ci fosse un sexgate che coinvolge politici, ne parliamo dopo mezzanotte.

Fantastico poi il punto in cui Butti, a nome della maggioranza, chiede che si «razionalizzi l’offerta delle trasmissioni di approfondimento giornalistico... allo scopo di evitare ridondanze e sovrapposizioni che possono rendere confusa l’offerta Rai». Sentite bene: «È opportuno, in linea generale, che i temi prevalenti - di attualità, politica o cronaca - trattati da un programma non costituiscano oggetto di approfondimento di altri programmi, anche di altre Reti, almeno nell’arco degli otto giorni successivi alla loro messa in onda». Vuol dire che se ad esempio in un talk show si parla (sempre facendo ipotesi di fantasia) di un’inchiesta giudiziaria sul presidente del Consiglio, negli altri - per otto giorni - ci sarà libertà di parlare di un’inchiesta sul presidente della Camera, della crisi in Egitto, del festival di Sanremo, di che cosa è rimasto di Lady Diana a quattordici anni dalla scomparsa. Non manca, infine, l’immancabile norma ad personam, anzi ad Santoram: «Non può essere consentita la conduzione di programmi di approfondimento o la direzione di Rete o testata a chiunque abbia interrotto la professione giornalistica per assumere ruoli politici».

La tv di oggi è malata, ma per guarirla non servono i soviet. Basterebbe il recupero di antiche virtù come la buona educazione, la moderazione, un minimo di onestà intellettuale: tutte cose che non si possono introdurre per decreto. Eppure se un giorno un politico, in uno di quei salotti tv, dicesse «è vero, mi sono sbagliato» e si alzasse per chiedere scusa e dare la mano al rivale che gli sta di fronte, ebbene in quel giorno quel politico avrebbe vinto. Lo capissero, i politici non avrebbero bisogno di atti di indirizzo.