
1920-2005
Giovanni Paolo II, il Papa santo
Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
È vero che il caso Guidi è ancora in piedi e che quelli del M5S dicono di voler presentare una mozione di sfiducia al Senato, dove i numeri di Renzi sono al limite. Però la situazione in Libia ha avuto ieri una svolta inaspettata e assai importante, e perciò oggi conviene parlar di questo.
• Che è successo?
Ricorderà, almeno per sommi capi, quello che abbiamo raccontato l’altro giorno. La Libia era divisa fra due governi, uno di stanza a Tripoli, filoislamista, e uno di stanza a Tobruk, filoegiziano. L’Onu ha organizzato in Maroco, impiantandolo poi a Tunisi, un terzo governo, guidato da un commerciante di Tripoli, di nome Fayyez al Serraj. Contro di lui fuoco e fiamme dal governo di Tripoli, il cui capo si chiama Khalifa Ghweil: se si fa vedere dalle nostre parti gli spariamo, lo ammazziamo, il popolo libico lo farà a pezzi, eccetera. Per farsi capir meglio, Ghweil ha chiuso l’aeroporto di Mitiga, dove ha pure organizzato alcune esplosioni dimostrative. Risultato: l’altro giorno Serraj è arrivato lo stesso, a bordo di una motovedetta, e s’è piazzato in un edificio di via Al Sikka, a due chilometri dalla centrale piazza dei Martiri. Si temeva a questo punto un allargamento della guerra civile e invece è arrivata la notizia-bomba: Khalifa Ghweil è scappato a Misurata, la sua città d’origine. S’è poi saputo che altri ministri del suo governo se n’erano andati ancora prima di lui, e insomma, con tutta la prudenza del caso, si può forse affermare, oggi, che il governo dell’Onu, artificiale quanto si vuole, ha però a questo punto risolto almeno la metà dei suoi problemi e almeno per metà ha campo libero.
• E l’altra metà?
L’altra metà è il governo che sta a Tobruk, guidato da Abdullah al-Thinni, è sostenuto da un Parlamento che dovrebbe riconoscere Serraj. A questo riconoscimento, per ora, si sono detti disposti solo in 101. Ne servono, per i due terzi previsti, 124. Non dovrebbe essere impossibile, se Ghweil è veramente uscito di scena, visto che gli umani corrono sempre in soccorso dei vincitori. L’ostacolo, in questo caso, è il presidente egiziano al Sisi, che vuole per sé la Cirenaica e manovra quindi, appoggiato da Londra, per una divisione del Paese in due o tre parti (Tripolitania, Cirenaica, Fezzan). La Libia come la conosciamo è un’invenzione italiana del 1934, anno in cui venne creata la colonia. Invenzione resa definitiva da Gheddafi, che non ha mai pensato di tornare alle vecchie suddivisioni e ha governato mettendo d’accordo tra di loro le centinaia di tribù locali. L’uomo di al Sisi a Tobruk è il ministro della Difesa di quel governo, Khalifa Belqasim Ḥaftar. Haftar vuole come minimo una posizione di rilievo nel governo di Serraj. Finora Serraj non sembra intenzionato a dargliela.
• Veniamo adesso all’unica cosa che davvero ci interessa in questa faccenda: l’Italia e gli italiani.
Gli italiani sono gran protettori del governo Serraj. Davanti alle coste libiche, a una sessantina di miglia, staziona la nostra portaerei Cavour. Serraj e il nostro ministro degli Esteri Gentiloni si sentono tutti i giorni al telefono. L’Italia ha un interesse specifico al rafforzamento di un governo riconosciuto dalla comunità internazionale: con l’arrivo della bella stagione, potrebbero ricominciare le partenze dei migranti dalle coste libiche, tanto più ora che la cosiddetta rotta balcanica è chiusa. Una situazione politica degradata renderebbe impossibile il controllo di questi flussi, già aumentati, rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso, di un 70 per cento. Gli americani vorrebbero che andassimo in Libia a combattere gli islamisti del Califfo che si sono insediati a Sirte (da tre a seimila uomini), ma Renzi ha già detto a Obama di no. Serraj, quando sarà davvero insediato, con il riconoscimento anche di Tobruk, ci chiamerà per aiutarlo a tenere la situazione sotto controllo.
• Come mai questo
Khalifa Ghweil è scappato?
Per tutta la giornata di ieri, aerei americani hanno volato sul cielo di Tripoli. La polizia locale s’è schierata con Serraj. Molti capi tribù sono andati spontaneamente a trovarlo in via Al Sikka. La popolazione, invece di scendere in piazza contro il nuovo venuto, sembra che, almeno il primo giorno, si sia schierata piuttosto dalla sua parte. La mossa decisiva, però, deve essere stata quella del governatore della Banca centrale libica, Sadiq Elbaker. Ha detto subito che la Banca era schierata con Serraj. La banca dispone di una settantina di miliardi, per ora depositati a Malta. L’apertura verso Serraj significa, per esempio, che saranno pagati gli stipendi, in arretrato da mesi, a tutti i dipendenti pubblici. È difficile mettersi contro il banchiere centrale, quando si sanno queste cose.
• I nostri interessi petroliferi, vale a dire l’Eni, stanno in Tripolitania o in Cirenaica?
In Cirenaica. L’Eni finora non ha rilasciato una sola dichiarazione. Il suo ex amministratore delegato, Paolo Scaroni, ha detto in un paio di interviste che l’unità della Libia è un sogno e che l’Italia farebbe bene a puntare sulla Tripolitania, e basta. Non so se questo è anche il pensiero dei vertici attuali della nostra compagnia petrolifera. Se lo fosse, significherebbe che l’Eni e il governo hanno due linee politiche in conflitto.
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