Lanfranco Vaccari, SportWeek 2/4/2016, 2 aprile 2016
LUKE E IL BÉISBOL, TANTI SOGNI DA REALIZZARE
La prima volta, a 11 anni, Luke Salas ha sognato di diventare un giocatore di baseball. «Ero riuscito a evitare un fuoricampo tirato da Ken Griffey Jr., il mio giocatore preferito, saltando con il braccio oltre il muro», ha raccontato. «La mattina dopo l’ho detto a mio padre mentre mi accompagnava a scuola, e lui mi ha assicurato che avrebbe fatto il possibile perché il mio sogno si avverasse».
La seconda volta, a 20 anni, ha sognato di diventare un giocatore di Mlb. Cubano-americano di prima generazione, fra i suoi antenati annovera César Salas Zamora, che nel 1895 aveva fatto la fallita rivoluzione contro la Spagna assieme a José Martí. La famiglia del padre era scappata dopo che Fidel Castro aveva preso il potere. Erano abbastanza benestanti da mandare i figli alla Pepperdine University, un college privato di Malibu, sopra Los Angeles. Al draft del 2007, dopo che l’anno prima lui aveva rinunciato a un’offerta degli Arizona Diamondbacks al 19° giro, il suo nome non è stato chiamato. Però i Texas Rangers l’hanno preso come free agent, parcheggiandolo nelle Minor League. Con gli Arizona Rangers ha fatto bene, con una media in battuta di .383. Ma con gli Spokane Indians è andata male, appena 6 su 30 al piatto. L’hanno tagliato. È tornato a Pepperdine e ha preso un master alla School of Public Policy, specializzandosi in affari cubani.
La terza volta, a 27 anni, Salas ha sognato di giocare nella Serie Nacional de Béisbol, l’equivalente cubana della Mlb, dove dal 1961 gli stranieri sono banditi. La sua idea era usare lo sport per costruire un ponte, più di due anni prima che il presidente Barack Obama annunciasse la normalizzazione delle relazioni diplomatiche e quasi quattro prima della sua storica visita della settimana scorsa. «Pensavo che la mia esperienza potesse andare oltre il baseball», ha detto. «E che valesse la pena documentarla». Ha messo insieme una piccola squadra, con suo fratello Scott regista, la compagna di corso all’università Chelsie Corbett aiuto-regista, l’amico Trey McMenamin produttore e l’altro fratello, Jake, produttore associato. Per cercare di superare i problemi burocratici, si sono iscritti tutti alla scuola di cinematografia di San Antonio de los Baños, mezz’ora a sud-ovest dell’Avana. «Ma siamo subito diventati un caso politico», ha detto. Gli hanno fatto capire che non era il caso di cercare di entrare negli Industriales, l’equivalente cubano dei New York Yankees. L’hanno indirizzato verso la squadra minore di Artemisa, nella provincia di San Antonio. Poi gli hanno detto che aveva bisogno della residenza. Quando l’ha presa, il manager della squadra gli ha detto che c’era bisogno del permesso del governo. All’Avana, negli uffici governativi, gli hanno detto che la decisione spettava solo al coach. «È un altro esempio di quello che a Cuba chiamano las cuatro caras, le quattro facce», ha raccontato lui. «Non si sa mai con chi devi parlare e a chi spetta la decisione finale». La quarta volta, a 31 anni, Luke Salas ha sognato di aiutare lo sviluppo del béisbol. Il documentario è stato girato, ha per titolo The Cuban Dream. Sarà distribuito entro l’anno. Servirà a raccogliere un milione di palle da baseball – e mazze e scarpe con i tacchetti e occhiali da sole, un primo passo verso accademie finanziate dalla Mlb e programmi di borse di studio offerti dalle università e tutto il resto ancora. «Il mio sogno è finito», ha detto. «Ma Cuba ne ha molti di più. E molto più grandi».