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 2016  aprile 02 Sabato calendario

La sentenza sul cranio del brigante Villella (o meglio, quello di Lombroso)

Insulti, marce di protesta, denunce, convegni, comitati per la chiusura e cause civili, l’ultima riprenderà martedì. Da quando è stato aperto nel 2009, il Museo di antropologia criminale “Cesare Lombroso” di Torino ne ha subìte di ogni tipo e ora si prepara a difendersi ancora in un’aula giudiziaria.
Molti lo considerano un monumento agli erronei studi del medico nato a Verona nel 1835 e morto a Torino nel 1909, ma non è una celebrazione: “È un invito a riflettere sulla scienza, per capire che non esiste una verità assoluta”, riassume Giacomo Giacobini, presidente del sistema museale dell’Università di Torino. All’inizio del percorso espositivo viene chiarito che le teorie lombrosiane, sviluppate in un contesto positivista, sono state smentite dagli studi successivi.
Eppure secondo il Comitato No Lombroso e i neoborbonici (che ritengono l’unità italiana una conquista coloniale) è indegno intitolare un museo allo scienziato, da loro considerato l’ideologo dell’inferiorità dei meridionali: “Viene descritto come un leghista ante-litteram, ma era un patriota, parlava di fratelli italiani e non di supremazia del nord sul sud – spiega Silvano Montaldo, professore di Storia del Risorgimento e direttore del museo –. Inoltre in un’edizione del suo Tre mesi in Calabria Lombroso ha denunciato il fallimento del governo unitario a scapito del Meridione”.
C’è poi un altro fronte su cui gli oppositori danno battaglia e su cui hanno già ottenuto una vittoria al Tribunale di Lamezia Terme nel 2012. È il contenzioso sul cranio del brigante Giuseppe Villella esposto in una delle teche, un cranio col quale Lombroso teorizzò l’esistenza di uomini “criminali per natura”. Il suo paese natio, Motta Santa Lucia (Cz), sostenuto dal comitato No Lombroso, rivuole il reperto per dargli una degna sepoltura perché lo ritiene sottratto illecitamente dall’ospedale di Pavia, città dove morì nel 1864. “In tutte le facoltà di Medicina ci sono reperti anatomici ottenuti dai cadaveri abbandonati negli obitori e la legge li riconosce come proprietà degli atenei”, afferma Giacobini, “la decisione del tribunale mette in discussione il codice sui beni culturali”.
C’è poi un aspetto storico che sarebbe errato: “Villella non era un brigante patriota, ma un semplice ladro di caciotte”, precisa Montaldo sulla base delle recenti ricerche dell’antropologa Maria Teresa Milicia, anche lei obiettivo di critiche feroci.
La questione ora sarà trattata dalla Corte d’appello di Catanzaro il 5 aprile. Intanto al museo sono arrivati attestati di solidarietà dall’International consortium of museum e apprezzamenti dalla rivista Nature, ma non sono mancati nuovi attacchi. Il 13 febbraio, giorno di Juventus-Napoli, un insegnante ha chiamato all’adunata i tifosi partenopei per marciare sul museo, ma soltanto uno ha risposto all’appello. Su Internet e sui social invece è pieno di messaggi come “Bruciamo questo museo” oppure “Entriamo in massa a distruggerlo, non ci possono fare niente”.
C’è poi un filone più intellettuale e istituzionale: poche settimane fa al Consiglio regionale del Piemonte è stato presentato il libro Cento città contro il museo Lombroso, scritto da un ingegnere e da una maestra. Alla presentazione partecipava anche l’assessore di Torino Mangone, del Pd, sostenitore del comitato. Contro di lui si è schierato il suo compagno di partito, il consigliere Luca Cassiani: “È un tentativo di censura che ricorda i roghi dei nazisti – afferma –. Documentare la storia e la scienza, giusta o sbagliata che fossero, è un dovere”.