La Stampa, 2 aprile 2016
Catalogo dei morti ammazzati nell’ospedale di Piombino
«No Fausta», le dice Virna Agostini, «all’ultimo non faceva niente (quella puntura), non faceva proprio nulla». Bruno Carletti è morto così, l’ultima vittima di questa lista. Faceva l’operaio alla Magona ed era appena andato in pensione. Poteva passare la giornata solo guardando il mare. Dalla sua stanza dell’ospedale non si vede il mare. Aveva il femore rotto, e l’avrebbe ucciso la «brava infermiera» Fausta Bonino, con una puntura. Ma nella strage degli innocenti all’ospedale di Piombino, in questo lungo elenco di croci senza senso, sono tredici facce come le sue che rimangono a guardarci, il volto familiare di una comunità dolente, che abbiamo sempre conosciuto da qualche parte e che conosciamo ancora, dall’ex carabiniere che diceva come il generale Dalla Chiesa che «chi ha indossato questa divisa una volta non la lascia più», all’operaio degli altiforni nelle acciaierie di Piombino che era stato ricoverato quasi per un normale controllo ed era morto in due giorni, all’improvviso. Nessuno di loro è rimasto per dirci quello che stava succedendo. Alfo Fiaschi l’avrebbe fatto, era un gran chiacchierone. Aveva la passione del calcio, e tirava su i ragazzi a giocare col pallone. Diceva: «La cosa più importante è divertirsi». Ai ragazzi si può dire così.
La vittima numero uno di questo assurdo elenco è Marco Fantozzi, un collega di Fausta Bonino, lavorava nella stessa Asl anche se non si erano mai conosciuti. Faceva il centralinista all’ospedale di Livorno. Casa a Rosignano Solvay, rione Serragrande, la prima volta che ha incrociato sulla sua strada questa infermiera dai modi gentili e premurosi è stato il 13 gennaio 2014 quando viene ricoverato per insufficienza respiratoria. Lo intubano e il giorno dopo sta meglio, sembra tutto passato. «Noi non ci siamo mai sentiti?», dice a lei. «Può darsi», risponde Fausta. Poi succede tutto all’improvviso. «Mio marito si è addormentato e non si è più risvegliato», racconta in lacrime Loretta Barbisan, la moglie. La morte è del 19 gennaio. È la prima.
L’ultima è quella di Bruno Carletti, quello che la puntura di eparina non gli serviva a niente, come diceva Virna a Fausta Bonino. Lui aveva fatto l’operaio alla Magona, e lo conoscevano tutti perché aveva un’aria burbera, col suo cappellino da baseball americano in testa e l’accento da toscanaccio verace, stile Agroppi, una vita da mediano nel Toro Anni 70, che è proprio di queste parti, di Piombino. Viene ricoverato per un banale intervento al femore. Non è grave. Muore il 29 settembre 2015 a causa di un’emorragia. Sul comodino c’è un contenitore vuoto di eparina. Nel suo sangue un alto tasso di anticoagulante: l’eparina, appunto. È morto senza vedere il mare. Dalla sua finestra non si vede.
In mezzo, ci sono tutte le altre vite spezzate di questo elenco assurdo.
La numero due è quella di Terside Miliani, che è dell’isola d’Elba, come il marito di Fausta Bonino, e faceva il contadino curando un piccolo appezzamento di terreno assieme al fratello. Stava bene, diceva sempre che lui «aveva quel che gli bastava». E che nella vita non voleva fare altro: «Saranno in tanti che dovranno tornare alla terra». Lui è l’unico paziente, tra le morti sospette, al quale era stata espressamente prescritta l’eparina. Solo che qualcuno ha esagerato. Muore il 27 giugno 2014, tre giorni dopo il ricovero.
La terza è Adriana Salti, casalinga. Perde la vita in poche ore. Causa della morte: emorragia. Poi c’è Enzo Peccianti, 77 anni, operaio vecchio stile, che lavorava negli altiforni di Piombino, il simbolo ormai scomparso di una città che guarda il mare e le isole, costruendo la sua immagine con le acciaierie e le ciminiere che sputano pennacchi di fumo nel cielo. Viene ricoverato il 28 settembre per una crisi respiratoria e muore il 2 ottobre con «un vistoso sanguinamento alla bocca e al naso».
La croce numero 5 è quella di Elmo Sonetti, che entra in sala operatoria per un intervento chirurgico, e ne esce con «uno choc emorragico probabilmente dovuto alla somministrazione di eparina contemporaneamente ad un prelievo»: il sistema, cioè, dell’angelo della morte. Elmo aveva una vita tranquilla a San Vincenzo, vicino a Piombino, aveva il suo distributore di benzina e quando lo chiudeva andava al mare nel golfo di Baratti.
Ha perso tutto in un attimo, come Alfo Fiaschi, un piccolo imprenditore di Venturina, di quelli che ci tengono a dire che si sono fatti da soli. Tutta gente che non avrebbe mai voluto andar via da questi posti. Alfo, oltre alla sua azienda, ci teneva soprattutto a fare il dirigente di una società di calcio del settore giovanile. Era quella la sua passione. Da giovane voleva fare il calciatore. Muore in un giorno: due prelievi e l’emorragia.
Mario Coppola era un ex carabiniere, ex responsabile della vigilanza Italsider, e poi presidente dell’associazione dei carabinieri in congedo.
Angelo Ceccanti era un commerciante, aveva un grosso negozio di cartolibreria in centro a Piombino.
E Marcella Ferri era una casalinga, aveva 87 anni, e amava stare in mezzo agli altri, parlare e ridere. Doveva essere dimessa quando Bonino le fece una puntura nel braccio: «Almeno così sta buona». Morì poco dopo. Sono queste le normali facce della vita che abbiamo perduto. E come in tutte le stragi, possiamo solo guardarle: non troveremo mai un perché.