Corriere della Sera, 2 aprile 2016
Cosa resta di Palmira dopo il passaggio dell’Isis
Su Palmira sventola la bandiera siriana, è stato ammainato il cupo vessillo nero dell’Isis. Ora tocca a tutta la comunità internazionale, senza egoismi né rivalità, verosimilmente attraverso l’Unesco, offrire le migliori conoscenze scientifiche e tecniche per curare le ferite inferte a questo straordinario Patrimonio dell’Umanità. Una città carovaniera unica al mondo, fiorita soprattutto nel II e nel III secolo dopo Cristo che, come ha spiegato sul Corriere della Sera l’archeologa Maria Teresa Grassi dell’Università di Milano, rappresentava la Porta d’Oriente agli occhi di chi proveniva dal Mediterraneo e insieme la Porta dell’Impero Romano per chi approdava dalla Persia o dall’India. Un crocevia di culture nobile, dialogante e immensamente bello.
Già sappiamo, grazie alle prime immagini, che gli oltraggi sono stati gravi: i templi di Bel e di Baalshamin sono stati fatti saltare in aria, molti altri reperti appaiono profondamente lesi, il museo archeologico è stato devastato e tanti beni (statue, stele, suppellettili) vandalizzati. Ora urge inventariare i danni, procedere a una ricognizione anche per capire quanti siano stati i reperti derubati (il terrorismo internazionale si alimenta anche col traffico di tesori archeologici trafugati e venduti a caro prezzo sul mercato clandestino internazionale). Bisognerà decidere se, per i monumenti, ricostruire per anastilosi (utilizzando le pietre rimaste) o ricorrendo in parte a copie ora possibili anche con le mega stampanti in 3D, e come restaurare statue e marmi. L’Italia dispone dei Caschi blu della cultura, carabinieri specializzati accanto a un gruppo di restauratori e storici dell’arte. Sarebbe magnifico se il nostro Paese riuscisse a dimostrare ancora una volta, con orgoglio, di essere la grande potenza culturale che è.