la Repubblica, 2 aprile 2016
Ecco chi è l’ammiraglio Giuseppe De Giorgi, l’ideatore di Mare Nostrum finito sotto indagine
«La Marina sono io». Chiunque altro pronunciasse questa frase, passerebbe per uno sbruffone. Non è il caso di Giuseppe De Giorgi, il primo ufficiale nella storia repubblicana a occupare lo stesso incarico del padre: entrambi capi di Stato maggiore della forza armata, entrambi destinati a lasciare un segno nella vita della nostra flotta. E mai l’ammiraglio avrebbe pensato di avvicinarsi alla conclusione della carriera attraversando acque così torbide: il suo incarico scade tra poco più di un mese e le notizie sul coinvolgimento nelle indagini sembrano destinate a segnare la fase finale di una navigazione condotta sempre sfidando le onde. De Giorgi infatti somma l’audacia dei piloti d’aereo all’esperienza del marinaio nel tenere la rotta in ogni situazione, nelle missioni militari come nelle manovre della politica: il mondo a cui ha scelto invece di dedicarsi il figlio Gabriele che, interrompendo la tradizione di famiglia, adesso è nello staff del sottosegretario Domenico Manzione.
Il medagliere dell’ammiraglio è eccezionale. Guidava un elicottero nei soccorsi alla popolazione campana per il terremoto del 1980, ha diretto una squadriglia nella prima guerra del Golfo poi nel 2006 ha gestito lo sbarco spettacolare dei caschi blu italiani sulla frontiera tra Libano e Israele. Ed è stato soprattutto il comandante in capo che ha voluto Mare Nostrum, la più grande operazione umanitaria mai realizzata in Europa con il salvataggio di 156 mila persone in un solo anno. «Non esistono muri in mare, anche se la responsabilità non è tua c’è un imperativo morale: devi aiutare chi è in pericolo. Io non lascio indietro nessuno, neppure un cane», ha dichiarato tre settimane fa presentando il suo libro “Sos Uomo in mare”. Un volume destinato ai ragazzi, «perché non vorrei che le nuove generazioni crescessero pensando che sia giusto o normale abbandonare al suo destino chi fugge dalla guerra, e che si possano respingere e lasciar affogare masse di disperati».
De Giorgi è riuscito a realizzare un’impresa forse ancora più difficile. Come fece il padre nel 1975, ha ottenuto il varo di una “legge navale” con fondi straordinari per l’ammodernamento della flotta, stanziati nel momento più cupo della spending review: oltre cinque miliardi di euro per costruire nuove navi. L’ammiraglio ha convinto ministri e parlamentari presentandoli come mezzi dalla doppia vocazione: ottimi per combattere ma pronti a trasformarsi in ospedali in occasione di calamità. Sotto la bandiera umanitaria è così partita un’iniezione di risorse per Finmeccanica e Fincantieri, aziende a controllo pubblico, e per rilanciare l’industria dell’acciaio in grave affanno con la crisi degli impianti di Taranto e Terni. Ma il timone dell’operazione è rimasto in mano alla forza armata, visto che la progettazione delle navi viene portata avanti direttamente dalla Marina.
Sulla scia di questi successi e facendo leva sulla stima conquistata nell’entourage renziano – l’ammiraglio è l’unico alto ufficiale accreditato di un filo diretto con Palazzo Chigi – De Giorgi in questi mesi ha cercato di allontanare il pensionamento. Nonostante i meriti, le ipotesi di un rinnovo dell’incarico hanno incontrato resistenze in tutti gli ambienti della Difesa. D’altronde il suo orgoglio di marinaio non sempre lo ha visto allinearsi con le istanze di integrazione tra forze armate: nella sua visione, la Marina può intervenire autonomamente nello scacchiere mediterraneo grazie alle due portaerei, ai marò del San Marco e agli agguerriti incursori del Comsubin. Nelle ultime settimane si era anche vociferato di una sua candidatura per il vertice della Protezione civile, proiettando su scala globale l’esperienza di Mare Nostrum. Finché dalla procura di Potenza non è arrivato il siluro dell’indagine. Basterà ad affondare un ufficiale e gentiluomo di lungo corso? Finora le sue frequenti apparizioni mediatiche gli avevano causato gelosie diffuse e qualche scandaletto di poco peso, come la circolare diramata nel 2012 che imponeva la disponibilità quotidiana di “spumante/ champagne, biscotti al burro e mandorle tostate” per le esigenze del comandante della flotta. Ma quelle, appunto, erano noccioline rispetto alle contestazioni della magistratura.