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 2016  aprile 02 Sabato calendario

Gli psicologi alle prese con l’infermiera accusata di aver ucciso 13 pazienti

«Dentro di sé, rifiutava quel lavoro». Per Fausta Bonino l’impegno pressante nel reparto di rianimazione era diventato un incubo interiore, insopportabile. Unica, tra chi lavorava tra quelle mura, ad essere presente cinque giorni la settimana. Tra le carte dell’accusa c’è anche un’analisi sui comportamenti dell’infermiera accusata di aver ucciso 13 pazienti con iniezioni sovradosate di eparina, letali. L’hanno stilata gli psicologi del Nas dei carabinieri, che hanno assistito ai tre interrogatori cui la donna è stata sottoposta negli ultimi mesi, prima che la sua posizione cambiasse: non più una semplice testimone, ma indagata e arrestata. Una disamina che non analizza solo le sue risposte, ma anche gli atteggiamenti, i gesti con le mani mentre rispondeva alle domande. Insomma, un’analisi di quella «sofferenza psicologica riconducibile alle pregresse psicopatologie» di cui parla anche l’ordinanza che l’ha portata in carcere. Non solo, come ora spiega l’avvocato Cesarina Barghini, «episodi di moltissimo tempo fa, completamente superati». Non solo, come ha chiarito il marito Renato, «qualche pillola per tirarsi su, come capita quasi a tutti». C’è un quadro più complicato, dicono gli esperti. Sicuramente aggravato anche dalle condizioni del lavoro, che era diventato nel tempo sempre più difficile. «Il carico era aumentato anche in maniera smisurata», spiega agli inquirenti la coordinatrice delle infermiere, e c’erano molti problemi anche con i medici, impegnati in altre mansioni: con il risultato che erano gli infermieri, spiega il gip, al pomeriggio dovevano farsi carico da soli dei pazienti. In questo quadro si sarebbe così manifestato il «disagio» dell’infermiera killer.
Lei però non ci sta. Dal carcere rivendica la sua innocenza: «Sono un capro espiatorio per tutte quelle morti alle quali non sono riusciti a dare una spiegazione. Io non ho fatto nulla». L’avvocato Barghini parte lancia in resta: «Ci sono solo due episodi di morti da somministrazione da eparina che sono stati analizzati ed è veramente troppo poco per incrociarli con la presenza della Bonino in reparto. Non sono autopsie, non sono stati eseguiti con le garanzie per la difesa. In tutti gli altri casi, sono semplici deduzioni dalle cartelle cliniche e nulla di più». Insiste il legale: «È veramente troppo poco quello che emerge dalle carte dell’inchiesta per dare della pluriomicida a un’infermiera sulla quale non ha mai gravato alcun sospetto. Ma ammettiamo pure che esista un killer in corsia: a nessuno è venuto in mente che sia ancora in libertà, pronto a tornare in azione quando le acque si saranno calmate?».
Ne passerà, di tempo. Perché al comprensibile choc dei parenti delle 13 vittime individuate dall’inchiesta, ora si aggiungono tanti altri dubbi. Decine le famiglie che si sono rivolte agli studi legali, perché vogliono vederci chiaro in quelle che all’epoca sono apparse morti repentine e inspiegabili. Perplessità espresse nelle parole di Massimo, il cui padre è morto a 77 anni in reparto nel marzo 2014: «Ci hanno detto che a ucciderlo è stato il dissanguamento per un vaso rotto, ma in realtà non si è mai capito cosa sia accaduto. Ora voglio sapere se quel giorno, in servizio, c’era quell’infermiera».