
Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Ci sono polemiche per la decisione del governo di aumentare di «1-2 centesimi» il prezzo di un litro di benzina e, con quei soldi, reintegrare i tagli alla cultura. Una veloce scorsa al sito di corriere.it dà questo responso: il 94,7% è contrario, il 5,3% favorevole.
• Com’è la cosa? La benzina non è già carica di tasse?
Il 50 per cento del prezzo se ne va in tasse. Abbiamo pubblicato parecchie volte la lista delle voci che ha dato origine a questa tassazione: per la guerra d’Abissinia (combattuta nel 1936), per la crisi di Suez (1956), per la tragedia del Vajont (1963), per l’alluvione di Firenze (1966), per il terremoto del Belice (1968), per il terremoto del Friuli (1976), per il terremoto dell’Irpinia (1980), per la missione in Libano (1983), per la missione in Bosnia (1996), per il rinnovo del contratto degli autoferrotranvieri (2004). Adesso questa liste non si legge più, perché il ministero tempo fa ha accorpato tutto sotto un’unica voce (chiamiamola “tassa”): ma l’origine è quella. Una caratteristica delle accise applicate ai carburanti è infatti di essere permanenti. Quindi gli «uno-due centesimi» il mondo della cultura e quello dello spettacolo se li prenderanno sempre, senza bisogno di discussioni in Finanziaria.
• Non è strano, in un momento in cui il prezzo della benzina va su da sé, metterci sopra due centesimi di fisco?
È strano, sì. Le associazioni dei consumatori, naturalmente, tuonano. Hanno calcolato che gli italiani viaggiano in media per 15 mila chilometri l’anno e mettono nel serbatoio mille litri di carburante. Fatti i conti, vengono fuori 10-20 euro a famiglia l’anno. Può essere poco, può essere molto. Bisogna anche calcolare che questa tassa aumenta il prezzo dei trasporti in genere, quindi avrà un suo riflesso sui costi di distribuzione e quindi su quello che dovremo sborsare al supermercato. In altri termini, per finanziare la cultura, s’è prodotta inflazione.
• Ma che significa “finanziare la cultura”?
Esiste dal 1985 un Fondo Unico per lo Spettacolo, in sigla Fus. Viene finanziato, cioè riempito di soldi, ogni anno e poi questi soldi vengono distribuiti, in modo vario, alla lirica (quasi la metà), al cinema, alla prosa, alla musica, alla danza, al circo. Potrebbe questo mondo vivere senza un finanziamento pubblico? Forse sì, se alle sue spalle non ci fossero decenni di sovvenzioni che hanno contribuito a disegnare il mercato in un certo modo. Quindi, se si deve cambiare sistema, è probabile che sia necessario procedere per gradi. In ogni caso, Tremonti era passato dai 410 milioni dell’anno scorso ai 258 di adesso. C’erano state proteste di tutti i tipi, oggi il mondo dello spettacolo avrebbe scioperato (agitazione annullata), soprattutto lo scorso 17 marzo, festa dell’unità nazionale, Muti alla prima del Nabucco a Roma, presenti Napolitano e Berlusconi, ha fatto esporre all’Opera uno striscione con una scritta contro i tagli. Pochi giorni prima s’era dimesso dalla presidenza del Consiglio superiore dei beni culturali un archeologo di grido, Andrea Carandini. La faccenda cominciava ad avere troppa evidenza mediatica. Così Gianni Letta, con Bondi (ultimo atto da ministro), ha inventato nuovamente l’acqua calda, vale a dire questi due centesimi.
• Quanti soldi arriveranno in questo modo a quelli dello spettacolo?
Qualcosa in più della cifra dell’anno scorso: 428 milioni. È stata cassata la norma che prevedeva di aumentare di un euro il prezzo dei biglietti al cinema, altro provvedimento che aveva suscitato una quantità di proteste.
• Supponiamo che questi soldi alla cultura bisognasse darli per forza: che cos’altro si sarebbe potuto tassare?
Intanto è vero che il denaro pubblico riversato sugli spettacoli è comunque un’operazione dubbia. I giornali – gli stessi giornali che hanno messo sotto accusa Tremonti – ciclicamente denunciano i soldi buttati dalla finestra dal tale ente lirico oppure il filmaccio che nessuno è andato a vedere e che è stato finanziato dai contribuenti. Quindi si vorrebbe capire, intanto, come vengono spesi questi soldi. Esiste un Osservatorio dello spettacolo che dovrebbe redigere annualmente una relazione, ma dopo quella relativa al 2007 nessuno ha fatto sapere più niente. Quanto agli altri consumi eventualmente da tassare: beh, per esempio le sigarette. 14 milioni di fumatori per 16 sigarette quotidiane a testa in media. Pensi a mettergli mezzo euro a pacchetto quanti soldi si sarebbero potuti prendere. È vero però che, per rappresaglia, le case produttrici avrebbero fortemente incrementato il contrabbando, che già controllano. I preservativi? Sei milioni di pezzi l’anno, a dieci-quindici euro. Anche qui, un bell’incasso. Ma… ci sono le case farmaceutiche. Solo gli automobilisti, a quanto pare, non riescono a essere lobby. [Giorgio Dell’Arti, Gazzetta dello Sport 25/3/2011]
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