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 2011  marzo 25 Venerdì calendario

STORIA DI TERBIL, FIGLIO DI UN GELATAIO: «COSI’ IL MIO ARRESTO HA ACCESO LA RIVOLTA» —

Questa è la storia di un uomo semplice, che crede nella giustizia. Ci credeva da ragazzino, quando decise di studiare da avvocato per aiutare il padre a combattere la burocrazia della dittatura che voleva far chiudere la loro fabbrichetta di gelati. E ci crede di più oggi, diventato leader di punta della «Rivoluzione del 17 febbraio» per aver lottato in difesa dei prigionieri politici e per fare in modo che i desaparecidos non vengano dimenticati. Fathi Othman Terbil, 39 anni, non parla lingue straniere, non è mai andato all’estero, fino a un paio di mesi fa era considerato un tipo eccentrico con il pallino dei diritti umani in un Paese dove la vita degli individui era alla mercé dei capricci del regime. Eppure fu il suo arresto alle 10 di mattina del 15 febbraio a far scattare le prime manifestazioni. Quando venne liberato, alle 3 di notte per ordine diretto di Gheddafi, la protesta era diventata irreversibile. «Mio padre aveva imparato a fare gelati quando era cuciniere per l’esercito coloniale italiano. Io avrei dovuto rilevare la sua piccola ditta. Ma gli agenti di Gheddafi ci imponevano ogni tipo di trappola. Da allora il mio mestiere di avvocato è sempre stato improntato alla lotta contro l’ingiustizia» , ci ha raccontato ieri pomeriggio. La prima volta viene arrestato con l’accusa di attività sediziosa, mentre è al liceo. «Restai in cella due mesi. Di quel periodo ricordo un episodio che mi fece capire quanto la nostra vita valesse poco per gli aguzzini. Un mio compagno era stato liberato dopo aver scontato sei anni. Era senza soldi, chiese all’amministrazione del carcere un biglietto del bus per Bengasi. Gli risposero che la mattina dopo sarebbe partito. Ma venne dimenticato e per altri 3 anni restò in cella» . – per Terbil il passaggio alla militanza attiva inizia nel 2004, quando prende a cuore la causa delle famiglie di 1.200 prigionieri politici massacrati per ordine di Gheddafi il 29 giugno 1996 nel carcere di Abu Saleem presso Tripoli. «Il regime per anni ha negato. Le famiglie andavano in carcere per portare cibo e vestiti ai loro cari, senza vederli e senza sapere che erano morti da un pezzo» . La prova generale di rivolta è il 17 febbraio 2006: la folla manifesta contro la «maglietta anti-islamica» del leghista Roberto Calderoli. E’il periodo della rabbia musulmana per le vignette sulla stampa danese. A Bengasi viene assaltato il nostro consolato. Ricorda Terbil: «Le proteste divennero una prova di forza contro la dittatura: 21 morti e cento feriti. Capimmo che il regime aveva paura, poteva essere battuto» . Ai primi di febbraio 2011 era evidente che le rivoluzioni in Tunisia e in Egitto avrebbero condizionato le commemorazioni per il quinto anniversario delle vittime al consolato italiano. «Io stavo trattando con Abdallah Sanussi, il braccio destro di Gheddafi, le questioni dei compensi alle famiglie delle vittime di Abu Saleem. Rappresento 209 di loro. In 113 avevano accettato compensi di 100.000 euro per ogni morto in cambio del silenzio. Ma 96 volevano le scuse ufficiali di Gheddafi. Fui arrestato perché incoraggiavo queste ultime. Quella mattina oltre 500 persone vennero a manifestare alla sede della polizia per chiedere il mio rilascio. Gli agenti fecero fuoco. Ci furono i primi morti il 16 febbraio. Cinque giorni dopo eravamo padroni della Libia orientale» . Terbil è tra i fautori del salto di qualità delle proteste: dalla richiesta di riforme alla spinta per cacciare Gheddafi. «Tutto è avvenuto in modo velocissimo. Nessuno era preparato per guidare un governo rivoluzionario: ci siamo improvvisati soldati, amministratori, esperti di politica estera» . Il 26 febbraio è eletto tra i 30 membri del Consiglio Nazionale (il governo provvisorio) con l’incarico di coordinare i gruppi giovanili. «E’ stato come un sogno. Bellissimo. Vale tutta la mia
esistenza. Se anche dovessi morire ora sarei felice. Non mi pento di nulla» .
Lorenzo Cremonesi