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 2011  marzo 25 Venerdì calendario

LE COSCHE CALABRESI SUGLI AMBULANTI

L’affitto dei negozi che si trovano nelle stazioni della metropolitana di Milano è un pallino fisso della cosca Flachi, calabrese di origine ma ormai milanese.

Il 18 settembre 2009 gli investigatori intercettano una telefonata in cui un tale Max sta tornando dall’Atm dove «è andato a parlare con la persona da lui conosciuta che si occupa dell’affidamento in gestione delle strutture commerciali, presenti all’interno delle stazioni della metropolitana milanese e chiede un incontro con Flachi» ma Davide, figlio di don Pepè Flachi, risponde che per lui non è possibile ma gli manderà qualcuno di fiducia. Il giorno successivo un’altra telefonata con Flachi chiarirà «che non ci sono problemi e che quando andrà a parlare con la persona che si occupa della cosa, questa non gli dirà di no».

Il "controllo del territorio" è espressione che spaventa. A Scampia o a Isola di Capo Rizzuto è concepibile perché richiama alla memoria gli ordini dei boss di mafia che non si possono discutere e che condizionano la vita economica ma ancor prima quella sociale.

A Milano e in Lombardia no, anche se, proprio ieri, il procuratore generale facente funzioni della Corte dei conti lombarda, Paolo Evangelista, in occasione dell’apertura dell’anno giudiziario ha messo in guardia sugli appetiti delle mafie in vista di Expo 2015.

La frase non è concepibile perché il tessuto, seppur debilitato dalle infiltrazioni della ’ndrangheta che ha messo all’angolo Cosa nostra e Casalesi e che ha inquinato con capitali sporchi l’economia e la società, è ancora sano. Eppure quella telefonata – agli atti della Direzione distrettuale antimafia di Milano e che svela parte degli affari della famiglia Flachi che, oltre a puntare ai subappalti dei lavori della metro, già che era sottoterra voleva piantarci tende e negozi – sembra dimostrare il contrario. Così come l’altro dialogo. Quello sul pizzo per gli ambulanti.

L’"affare dei paninari", lo chiama senza mezzi termini il Gip di Milano Giuseppe Gennari, che la scorsa settimana ha firmato l’ordinanza Redux Caposaldo che ha mandato all’aria il sodalizio criminale della famiglia Flachi. Un business nel quale Milano è spartita per quartieri. «Noi abbiamo la zona di Corso Como, quindi discoteche e serali... abbiamo circa sette, otto camion, abbiamo tutta Città Studi, zona Piazzale Lagosta fino a via Carlo Farini», spiega un portaordine a un ambulante che non aveva capito l’antifona. I chioschi che vendono birre e panini pagano il pizzo o si spostano. Ma se cambiano zona, cambiano anche esattore.

Con la movida le mafie entrano nella vita dei cittadini. La stessa cosa accade a Varese o nelle località intorno ai laghi dove gli investimenti immobiliari sporchi continuano. Se il panino non è mafia-free non lo sono dunque neanche disco e pub. In quello che la Dda di Milano chiama «slancio confessorio», un uomo di una cosca calabrese dirà agli agenti sotto copertura che sono riusciti ad avvicinarlo: «Io ho un’agenzia di servizi di sicurezza e anche là è tutta una mafia... ve lo dico... noi abbiamo i nostri locali e curiamo i nostri locali... mettiamo i nostri uomini a lavorare perché devono lavorare... i locali stanno tranquilli perché ci siamo noi dietro... hai capito? Come per i locali così per i panini... come per i panini così per altre attività... capito? Perché ci sono anche altre attività!».

Le altre attività toccano la vita di tutti i giorni, mettono le mani nelle tasche dei lombardi: cittadini e imprese. Nell’inchiesta Reale 3 di gennaio della Dda di Reggio Calabria un indagato, con riferimento alla possibilità di ottenere un finanziamento, fa presente a un uomo della cosca Pelle di San Luca che avrebbe potuto metterlo in contatto con due direttori di altrettanti istituti di credito di rilevante importanza: «Lì a Milano ci sono due direttori generali di ...omissis... e ...omissis.... l’altro che sono disposti a ... omissis... perfetto potete parlargli, però parliamo sempre di gente che ha una forza per certe cose che quando si presenta in banca sarà...».

Non è ancora controllo del territorio ma il fine ultimo è quello. Milano è solo un anello, oltretutto periferico, delle cosche calabresi di terza generazione, interattive rispetto alla casa madre, spiega il sostituto procuratore nazionale antimafia Roberto Pennisi, «che mirano all’esercizio di un capillare controllo del territorio». Nelle province di Varese, Milano e Novara, «diverse decine di associati di ’ndrangheta, attraverso estorsioni, usura, riciclaggio, omicidi e ferimenti, detenzione illecita e porto di armi comuni da sparo, stupefacenti e rapine – dice Pennisi – sono riusciti a ottenere il controllo completo del territorio dell’area geografica, imponendo, fra l’altro, regole imprescindibili, quali il pagamento di quote sui ricavi di azioni delittuose, e conferendo agli associati facoltà di mutuo soccorso dirette ad assicurare, con qualunque mezzo, il sostentamento dei sodali anche in caso di detenzione. Tutto per conservare la gestione monopolistica non solo delle attività criminose, ma anche d’interi settori produttivi della zona». «Sono cose che spaventano perché toccano la quotidianità del vivere», chiosa Tiziana Vettor, Ordinario del diritto del lavoro alla Bicocca e "anima" del neonato Osservatorio sociale sulle mafie di Milano presentato all’Ortomercato, dove le cosche hanno dettato legge a lungo. Ormai è il passato remoto.

L’usura (ancora praticata) o il controllo del ciclo del cemento – dal movimento terra al trasporto degli inerti, dal personale al noleggio, dai servizi ai lavori edilizi – che ha arricchito e fatto riciclare alle famiglie di mafia i miliardi del traffico della droga è un déjà vu, un tormentone giudiziario che le inchieste continuano a portare alla luce. Le imprese prestanome: ecco, semmai è quello il punto dolente, difficile da colpire, perché sempre più spesso la borghesia mafiosa dei professionisti collusi, con la politica locale che molte volte sa ma chiude un occhio, riesce a creare dal nulla società nuove e senza limiti di capitali.

Forse sarà anche per questo che Salvatore Lombardo, amministratore delegato di Pedemontana spa, figlio di un maresciallo dei Carabinieri, ha deciso di assumere una coppia di 007 che hanno dismesso la divisa delle Forze dell’ordine e girano tra i cantieri: 157 chilometri di strade che attraverseranno cinque province per rendere più mobile una regione intasata. Un’opera da 4 miliardi che dovrebbe essere completata tra quattro anni e che farà e fa gola alle mafie che s’infiltrano nei lavori pubblici senza guardare in faccia a nessuno.