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 2011  marzo 25 Venerdì calendario

Toh, per salvarsi dal processo De Magistris si rifugia in Europa - Dura la vita del politico­imputato: barcamenarsi tra un processo e un impegno isti­tuzionale non è sempre facile

Toh, per salvarsi dal processo De Magistris si rifugia in Europa - Dura la vita del politico­imputato: barcamenarsi tra un processo e un impegno isti­tuzionale non è sempre facile. Ne sa qualcosa Silvio Berlusco­ni, certo, bersagliato di conti­nuo perché sfugge alla giusti­zia, ma anche l’eurodeputato Idv e candidato a sindaco di Napoli Luigi De Magistris, che di procedimenti ne ha diversi e di «legittimo impedimento» non vuole sentir parlare. Anzi non voleva sentir parlare, fin­ché a presentarsi in aula dove­v­a essere il presidente del Con­siglio. «Una legge incostituzio­nale », tuonava De Magistris lo scorso gennaio commentan­do la sentenza con cui la Con­sulta ha stabilito che devono essere i giudici di volta in volta a valutare le ragioni che impe­direbbero la presenza in aula di premier, ministri e parla­mentari. Ora che serve a lui una giusti­ficazione per non presentarsi davanti ai giudici, però, il legit­timo impedimento non è più una legge così «ignobile e inac­cettabile ». Tanto da invocarla in un’istanza in cui chiede il rinvio dell’udienza fissata lu­nedì mattina davanti al gip di Roma Barbara Callari. Il pro­cesso è quello in cui l’eurode­putato dell’Idv è accusato di abuso d’ufficio assieme al con­sulente Gioacchino Genchi per aver acquisito, nell’ambi­to dell’inchiesta Why Not, i ta­bulati telefonici di alcuni parla­mentari senza avere richiesto prima l’autorizzazione.Il gior­no dell’udienza, purtroppo,al­l’Europarlamento è in pro­gramma la commissione Bi­lancio che De Magistris do­vrebbe presiedere. Un impe­gno serio, insomma, non co­me quelli del premier, deve aver pensato l’ex pm prima di convincersi ad invocare la tan­to vituperata legge soltanto due mesi fa apostrofata addirit­tura come «truffa legislativa». Ancora ieri sul suo profilo Face­book e sul suo sito internet, dando la notizia di una sua as­soluzione a Salerno dall’accu­sa di omissione d’atti di uffi­cio, De Magistris ne parlava co­­sì: «Sono stato assolto difen­dendomi nel processo e non dal processo, per altro senza utilizzare, pur potendolo fare, lo schermo dell’immunità par­lamentare né scappatoie co­me quella del legittimo impe­dimento ». A Salerno no, ma a Roma sì, eccome. E non impor­ta­se per poter esercitare le pro­prie prerogative parlamentari serve far ricorso ad una legge che è «ingiusta e vergognosa» solo quando ad invocarla è Ber­lusconi. Ma De Magistris si supera nell’interrogatorio reso il 18 novembre scorso davanti al procuratore aggiunto Alberto Caperna quando «scarica» il consulente di fiducia, Gioac­chino Genchi, con il quale ha firmato le inchieste flop sul ma­­laffare tra la Calabria e la Luca­nia. Confessando di averlo «as­sunto » su proposta dello stes­so Genchi e dopo aver raccolto i giudizi positivi di altri magi­s­trati, precisa: «Ho sempre avuto la massima fiducia in Genchi, nel suo lavoro, nella sua metodologia». Sì, certo. Sempre. Quando però l’inter­rogatorio si fa incalzante, De Magistris è in difficoltà. Esem­pio: nell’agenda dell’indagato Saladino, domandano gli in­quirenti romani, vengono tro­vati 2mila nomi, perché Gen­chi chiede ai gestori telefonici 18 utenze a pagina 37 «denomi­nata Pisanu-Porcelli» riferibili all’ex ministro dell’Interno, Giuseppe Pisanu? «Non so in nessun modo per quale ragio­ne e con quali criteri Genchi abbia individuato quelle 18 utenze». De Magistris non sa spiegare nemmeno perché Genchi si fissò sui telefoni di Pi­sanu e di cinque suoi familiari. Si fidava e basta perché il suo consulente gli faceva capire che conoscere gli intestatari di determinate utenze era «indi­spensabile » per il buon esito degli accertamenti richiesti. «Ma io non ho mai saputo che quelle utenze riguardavano il senatore Pisanu- precisa il po­litico - la circostanza l’ho ap­presa leggendo i giornali. Tra l’altro Pisanu non era coinvol­to in alcun modo nelle indagi­ni e quindi mai potevo immagi­nare che a lui si riferissero le utenze di cui Genchi richiede­va l’acquisizione dei tabulati». Finale col botto: «Ci tengo poi a far presente che avendo ma­turato una lunga esperienza come pm mai avrei consape­volmente disposto l’acquisi­zione dei tabulati di un parla­mentare (...). Mi fidavo della professionalità di Genchi e mai avrei potuto sospettare che le utenze indicatemi da lui fossero dei parlamentari». Co­me per Pisanu, De Magistris giura di non aver mai saputo nulla nemmeno di altri politici finiti nel maxi-archivio telema­tico. Nemmeno dell’ex pre­mier Prodi, il cui nominativo spunta nel pieno del caos di Why Not quando ormai il dan­no è fatto: per la fretta, infatti, l’allora pm dice d’aver deposi­t­ato una prima parziale consu­lenza di Genchi senza leggerla con attenzione. Dentro c’era­no più politici, Prodi incluso. «Chiesi a Genchi di porsi il pro­blema dei parlamentari coin­vo­lti per poi avanzare la richie­sta al parlamento ». Quella rela­zione, però, non è mai arriva­ta, e De Magistris ci tiene a sot­tolinearlo. Poi c’è la storia del­l’intercettazione tra il mini­stro Clemente Mastella e l’in­dagato Antonio Saladino, che l’ex pm riceve dai carabinieri e consegna a Genchi «senza sa­pere »-così dice nell’interroga­torio - che in quelle conversa­zione vi fosse anche la voce di Mastella. Ma dove ci va davve­ro pes­ante con l’ex collaborato­re è sul parlamentare Pdl Gian­carlo Pittelli: Genchi avrebbe trasferito undici dati telefonici del politico calabrese da un procedimento all’altro all’in­saputa dei due pm titolari. Uno è proprio De Magistris. Che mette a verbale: «Ne par­lai con la pm Manzini proprio perché ritenevo non corretto il comportamento di Genchi». E la collega? Si mostrò preoccu­pata «perché erano stati utiliz­zati inconsapevolmente i tabu­lati di un parlamentare senza la preventiva autorizzazione».