ILARIA MARIA SALA, La Stampa 25/3/2011, 25 marzo 2011
“Il Dragone riduce la dipendenza dalle esportazioni” - Fino a che punto è la Cina responsabile della penuria di lana nel mondo? Gli operatori del settore non hanno dubbi, il panorama mondiale sta cambiando, e la domanda cinese è una della cause trainanti
“Il Dragone riduce la dipendenza dalle esportazioni” - Fino a che punto è la Cina responsabile della penuria di lana nel mondo? Gli operatori del settore non hanno dubbi, il panorama mondiale sta cambiando, e la domanda cinese è una della cause trainanti. «Si tratta di una materia prima sotto stress almeno dal 2010», dice Sergio Locoli, della Filpucci, che ha una delle maggiori aziende produttrici di filati proprio in Cina, a Zhangjiagang (regione costiera del Jiangsu): «per due ragioni: prima di tutto si registra un incredibile aumento del consumo interno, causato anche dall’aumentare del tenore di vita nel Paese. Questa è una situazione che non cambierà, anzi, quello cinese sarà sempre più il mercato di riferimento. In secondo luogo, c’è una diminuzione di produzione all’origine». L’aumento dei consumi, d’altronde - visibile ad occhio nudo in qualunque città cinese ci si rechi - risponde a una precisa strategia delle autorità cinesi, che cercano di rendere più solida l’economia nazionale stimolando la domanda interna, riducendo così la sua dipendenza dalle esportazioni. Nell’azienda cinese di Filpucci, del resto, il crescente interesse cinese per la filatura di lana è tradotto in un aumentare della vendita sul mercato nazionale: «fin’ora, il 70% del nostro prodotto è esportato, e il 30% resta nel paese: ma andiamo verso un incremento della vendita interna», specifica Locoli. Esiste anche un problema di stockaggio, e, commentano gli operatori, una speculazione in atto, che sta facendo aumentare i prezzi in modo esponenziale, creando quella che molti non esitano a definire una bolla speculativa che potrebbe esplodere da un momento all’altro con importanti conseguenze per il settore. «Durante la crisi finanziaria l’industria ha esaurito gli stock. Ora la domanda è piuttosto violenta. Resta piuttosto difficile valutare le dimensioni reali della domanda interna per il consumo domestico e non per l’esportazione, ma in Cina c’è grande liquidità e una volontà di investire in materie prime, fra cui proprio la lana», spiega Michael dal Grande della Michael dal Grande Naturfasern, azienda di filati naturali pregiati che fa sourcing in Asia e in America Latina. «Per la lana, non siamo alla volontà esplicita di controllo del mercato a cui assistiamo rispetto al cashmere, ma bisogna tenere in conto che tutta la lana australiana, è processata in Cina», aggiunge Florence Rossetti, consulente di Michael dal Grande. Le aziende nazionali di abbigliamento, intanto continuano ad espandere la loro presenza nelle città cinesi, con nuovi outlets tanto nei principali centri urbani che nelle città più piccole – marchi locali come la Li Ning, Borne e Joe One, o marchi di Hong Kong tutt’ora considerati prestigiosi (Giordano, Esprit, Baleno o Glorious Sun) che vedono il loro giro d’affari e di vendite nel campo dell’abbigliamento in costante aumento proprio in Cina, dove le fibre naturali sono ora ricercate da una clientela più abbiente, che può smettere di indossare materie sintetiche, e che oltre ad un maggiore potere d’acquisto sta guadagnando anche un maggior senso della moda e dell’estetica.