Lettere a Sergio Romano, Corriere della Sera 25/03/2011, 25 marzo 2011
LE DUE STORIE DIVERSE DI UN PAESE CHIAMATO LIBIA
Una possibile soluzione della crisi libica potrebbe essere la divisione del Paese in una parte occidentale, la Tripolitania, e in una orientale, la Cirenaica. Insomma, si potrebbe ripetere quello che è avvenuto di recente nei Balcani con la creazione del Kosovo. A suo giudizio, così come è accaduto per altre regioni dell’ex Impero Ottomano, riunite in Stati eterogenei, sia dal punto di vista etnico che da quello religioso, come l’Iraq o la Jugoslavia, lo stesso è avvenuto anche per la Libia, con il legame forzato tra due territori destinati comunque a dividersi?
Riccardo Rivolta
rivolta. riccardo@gmail. com
Caro Rivolta, nell’Impero Ottomano la Libia non esisteva. Il suo territorio si componeva di due province, la Tripolitania e la Cirenaica, amministrate da due funzionari imperiali nelle città di Tripoli e Bengasi. Nell’antichità la parola Libia ebbe significati diversi. Per Omero era soltanto una striscia di terra a ovest dell’Egitto, ma si allargò, nella definizione dei greci, e finì per indicare l’intera Africa sino a Suez, vale a dire un continente su cui gli antichi avevano nozioni alquanto approssimative. In Italia la parola cominciò a circolare soprattutto quando il geografo Federico Minutilli pubblicò nel 1903 una «Bibliografia della Libia» , che ebbe grande popolarità negli ambienti nazionalisti. Adottare il nome classico di Libia, anziché quelli più recenti di Tripolitania e Cirenaica, permetteva di conferire alle ambizioni italiane una sorta di confusa legittimità storica e di presentare la conquista come una «riconquista» . Nella realtà l’Italia di Giolitti dovette accorgersi che la Libia non esisteva e che la Tripolitania e la Cirenaica erano alquanto diverse. Tripoli aveva 36.000 abitanti ed era il capolinea delle carovane che arrivavano dalla Nigeria e da altre regioni africane: una piccola città mediterranea, legata alle coste settentrionali del mare dal suo piccolo ceto mercantile composto di italiani ((un migliaio, di cui molti ebrei), greci, maltesi, arabi del Maghreb. Qui i turchi governavano senza troppe difficoltà una società tribale in cui non soffiavano venti indipendentisti. Più complicato, invece, era il governo della Cirenaica dove l’Impero Ottomano dovette accettare una specie di parziale condominio con una potente congregazione religiosa, la Senussia, che era stata fondata nel 1837 da uno studioso algerino di origine marocchina. Dopo avere girovagato fra i Paesi arabi, il Gran Senusso, come venne chiamato in Europa, si era definitivamente installato in Cirenaica e aveva fatto dell’oasi di Giarabub il centro spirituale e culturale della sua congregazione. A differenza della Tripolitania, la Cirenaica, grazie alla Senussia, ebbe così una rete di «zauie» , monasteri che erano contemporaneamente ostelli per i viaggiatori, magazzini per le merci, tribunali, piccoli centri urbani. Prima della conquista italiana, quindi, la Cirenaica godeva già di una certa indipendenza e la difese strenuamente fino alla brutale conquista di Graziani all’inizio degli anni Trenta. La differenza fra i due territori fu implicitamente riconosciuta, alla fine della Seconda guerra mondiale, quando Carlo Sforza e Ernest Bevin, rispettivamente ministro degli Esteri dell’Italia e della Gran Bretagna, furono sul punto di accordarsi per una spartizione: all’Italia la Tripolitania, alla Gran Bretagna la Cirenaica, alla Francia la regione occidentale del Fezzan. Il progetto andò in fumo quando l’Urss ne approfittò per chiedere a sua volta l’amministrazione di un pezzo di territorio nordafricano. Per evitare un insediamento sovietico, gli Alleati preferirono creare un regno di Libia e collocare alla sua testa l’ultimo discendente del Gran Senusso. Idris fissò la sua residenza a Tripoli, ma il cuore rimase a Bengasi dove costruì nel 1955 il palazzo reale di Al Manar. La bandiera che ha sventolato in Cirenaica nelle scorse settimane è quella del Regno.
Sergio Romano