Massimo Gaggi, Corriere della Sera 25/03/2011, 25 marzo 2011
SOROS VUOLE FARSI LA SUA BRETTON WOODS —
Fine della stagione sciistica al Mount Washington Resort, l’albergone di Bretton Woods stretto tra le montagne del New Hampshire, reso celebre dagli accordi monetari internazionali che vennero siglati qui 67 anni fa. Da allora l’hotel è stato solo il regno di discesisti e fondisti, ma quest’anno con la chiusura delle piste l’imponente costruzione non va in letargo. Fervono, invece, i preparativi di una nuova conferenza di Bretton Woods, un summit senza governi ma con molti personaggi di spicco caparbiamente voluto (e generosamente finanziato) dal miliardario George Soros: un personaggio controverso, per metà speculatore spietato, per metà filantropo impegnato politicamente e critico implacabile (e preveggente) degli eccessi compiuti dalle banche e dagli operatori dei mercati abusando degli strumenti della finanza derivata. Il tutto sotto gli occhi distratti dei governi -soprattutto quello Usa -che hanno abdicato al loro ruolo di controllo. Dopo la crisi finanziaria mondiale esplosa nel 2008, Soros aveva chiesto a gran voce ai governi di riscrivere da zero gli accordi monetari internazionali: l’assetto attuale, infatti, risale alla conferenza di Bretton Woods, quella nella quale nel 1944 gli alleati che stavano per vincere la Seconda guerra mondiale fissarono il nuovo ordine e crearono il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale, le nuove istituzioni multilaterali. Un quadro indubbiamente invecchiato, non più adatto a un mondo globalizzato, finanziarizzato, popolato da nuove potenze emergenti e innervato da tecnologie digitali che hanno moltiplicato in modo esponenziale le transazioni, ormai eseguite nel giro di una frazione di secondo. Di una nuova Bretton Woods si è parlato a lungo e non solo per le pressioni di Soros, ma alla fine i governi occidentali hanno preferito procedere sulla strada delle riforme nazionali dei rispettivi mercati finanziari e delle «authority» di controllo, lasciando alle riunioni del G20 e al Financial Stability Board di Mario Draghi il compito di tentare un coordinamento degli interventi. Niente conferenze incaricate di battezzare una nuova architettura internazionale, però, anche perché, man mano che è iniziata la ripresa e si è attenuato il rischio di un collasso globale del sistema finanziario, la volontà di cooperazione si è indebolita e ogni Paese ha ricominciato a tirare l’acqua al suo mulino. Così Soros -più attivo che mai a dispetto dei suoi 81 anni -ha deciso di fare da solo: prima ha costituito un nuovo centro di ricerche privato, l’Institute for New Economic Thinking, poi ha varato un’iniziativa che, ovviamente, non potrà certo essere il momento delle decisioni: avrà un puro valore di stimolo. Dall’ 8 all’ 11 aprile a Bretton Woods si daranno appuntamento più di 200 personaggi molto influenti: economisti, finanzieri, ex capi di governo, banchieri centrali. L’elenco è lungo e va dall’ex premier britannico Gordon Brown a Paul Volcker, ex capo della Federal Reserve e consigliere di Barack Obama fino a poco tempo fa. Anche l’ex capo dei consiglieri del presidente, Larry Summers, sarà a Bretton Woods insieme ad economisti come Ken Rogoff, Martin Wolf, Joe Stiglitz, Jean Paul Fitoussi e Jean Pisani-Ferry. Ma ci saranno anche banchieri centrali come il cinese Zhu Min, ora al Fondo Monetario, storici come Niall Ferguson e finanzieri come Henry Kaufman. Molti arriveranno a Bretton Woods pensando a una Davos primaverile, un week-end da vivere sprofondati nel verde degli abeti in un luogo che profuma di storia. Ma Soros, convinto che la situazione finanziaria mondiale sia molto più precaria di quello che appare, conta di fare la differenza con le proposte che verranno fuori dal suo summit privato.
Massimo Gaggi