GIAMPAOLO VISETTI , la Repubblica 25/3/2011, 25 marzo 2011
MIGLIAIA DI PICCOLI GIAPPONESI SENZA FAMIGLIA, PRIVATI DI TUTTO: È LA GENERAZIONE-TSUNAMI, CHE DOVRÀ SUPERARE LO SHOCK DELL´11 MARZO
Quelli della generazione-tsunami non hanno un nome. Migliaia di bambini, nella grande onda, hanno perduto anche l´identità. Alle 14.46 dell´11 marzo 2011 sono rimasti soli e non sanno dire chi sono. Qualcuno è stato accompagnato nei luoghi dove potrebbe essere nato e vissuto, tra macerie che potrebbe riconoscere come proprie. Nessuno ha trovato il segno di qualcosa capace di ricondurlo alla vita interrotta. Quando si hanno meno di quattro anni è difficile declinare le proprie generalità. Si sa che ci sono una mamma e un papà, dei fratelli, ma se non li vedi e non puoi toccarli è come se potessero essere chiunque. Dopo giorni terribili il Giappone scopre, per la prima volta, l´incubo di un esercito di bambini anagraficamente annullati. A questi si aggiungono i sopravvissuti che non conoscono la sorte dei genitori. Forse sono morti, forse dispersi, oppure evacuati in luoghi ignoti, magari vivi, a pochi, incolmabili metri di distanza. È una categoria di individui sospesi nel limbo di un´estrema, incrollabile speranza.
Migliaia di mamme e papà finiti nel nulla. E un esercito di orfani virtuali. A due settimane dal terremoto ora il Giappone scopre l´incubo di una generazione senza nome e senza radici, ammassata nei rifugi. A spaventarli non è il ricordo di quel che è accaduto. Ma l´idea del futuro
Una bambina dai capelli rossi, che si è salvata dentro un bidone, è il simbolo dei sopravvissuti
Adesso devono fare i conti con la sconfitta della fiducia illimitata per il progresso
Non sono orfani e questo non essere nemmeno condannati allo smarrimento dell´amore, si intende giuridicamente condannati, è l´ultimo sadismo dell´oceano che li ha voluti prelevare dal mondo. Nessuno, per anni, potrebbe trovare un´altra famiglia. Ma se qualcuno l´accogliesse, potrebbe un giorno essere sorpreso da una telefonata: «Cerco mio figlio, mi ero salvato». Certe risurrezioni, dopo un lungo tempo, hanno il potere di mietere altre vittime. Anche chi non sa più niente è iscritto alla generazione-tsunami. Bambini, ma pure adolescenti, riemersi in qualche luogo che non hanno mai visto prima, tra persone sconosciute. Recitano con sicurezza i riferimenti essenziali di se stessi. Ma attorno a loro scoprono il vuoto.
Nessuno li conosce, i luoghi che ricordano non esistono più, ogni elemento che confermava la loro appartenenza all´umanità, in un posto preciso e in momento esatto, è perduto. È questa straordinaria capacità di annullamento, anche tra i superstiti biologici, a rendere lo tsunami del Giappone un evento che trasmette il lungo passo dei cataclismi epocali, consegnati alla storia. Nelle terre invase tutto era già chiaro dopo i primi istanti. Nella città di Otsuchi, prefettura di Iwate, le case di 17 mila abitanti sono state schiacciate dalle navi e dalle barriere anti-maremoto. Metà popolazione non si trova più. Una bambina con i capelli rossi, forse già tinti, forse una rarità, si è salvata navigando dentro il bidone in cui stava svuotando l´immondizia. Quando la risacca l´ha sputata su un trancio di asfalto, tra cumuli di indistinguibili detriti, si è tolta gli stivali rossi e li ha stesi ad asciugare sopra il fango. È rimasta seduta, a gambe nude, per tre giorni, immobile anche quando i fiocchi le hanno steso un velo di neve sopra gli occhi chiusi. Sarebbe morta, piantata normalmente al suo posto, se un pescatore alla ricerca di reti per mangiare non l´avesse scoperta vicino a un paracarro, giudicandola defunta. È diventata il simbolo dei "bambini dell´11 marzo". Da due settimane si rifiuta di dire chi è. Lo sa, ma ha paura di rivelare il segreto del suo nome. È un modo per difendersi da un altro assalto del Pacifico, accettando una verità che è decisa, se non a ignorare, almeno a rinviare. Aspetta che qualcuno, dopo essere sparito, si decida a tornare, fornendo le spiegazioni del caso. Altrimenti preferisce non esistere più, fino ad abbandonare la comunità dei nominabili.
La sua idea, nella palestra metà obitorio e metà dormitorio, è che sono gli altri che devono ricordarsi di lei, certificando dall´esterno la sua conservata appartenenza all´umanità. Se nessuno lo fa, meglio consegnarsi alle scosse che non finiscono mai. Il mondo trema ora per gli effetti economici e sanitari delle radiazioni atomiche di Fukushima, il Giappone è paralizzato dal dolore per oltre trentamila vittime dell´onda, Tokyo sopravvive aggrappata alle mezze ammissioni sulla pericolosità delle esplosioni nella centrale che minaccia il suo futuro, ma il genere umano della contemporaneità prende lentamente atto di avere di fronte un nemico diverso e un compito nuovo: una forza capace di cancellare ogni traccia di civiltà; salvare una generazione dall´incubo di scomparire tra i relitti del suo progresso. La fusione dei terrori essenziali, sintetizzata nei bambini delle prefetture squassate del Nordest dell´Honshu, è un terremoto ancora più devastante di quello da cui tutto è partito. Una palude lunga trecento chilometri, nel giro di tre ore, ha risucchiato il mito immanente dell´invincibilità hi-tech. Ha cambiato per sempre il destino della terza potenza industriale del mondo e solo adesso si comincia a comprendere che i suoi figli saranno persone partorite dal vuoto.
Nei centri di raccolta dove si ammassano mezzo milione di sfollati dal mare e di evacuati dall´atomo, non c´è traccia della retorica sull´imperturbabile dignità giapponese. È un mito caro agli stranieri, che esercitandosi con i luoghi comuni dell´Oriente ritengono di provare la consuetudine dei veterani, affrancata dall´emozione. Ma in queste ore, nelle ex città e nei villaggi sommersi, la realtà è che cresce la bomba negata di una società che ha visto quanto può risultare vano cedere alla presunzione di fare dei progetti. Milioni di giapponesi si vergognano di essere vivi, vogliono andare lontano e per sempre, sono troppo stanchi per ricominciare qui, o per continuare a recitare la commedia della propria educazione, ignara del panico, più forte delle carcasse nucleari che alimentano una crescita senza consumi. È questa seconda onda, sollevata dalle placche tettoniche ai neuroni del cervello, che se continua a essere ignorata rischia di travolgere non un popolo, ma l´identità di una nazione. La generazione-tsunami non ha più un nome, ma vuole svegliarsi dal sogno dell´11 marzo riconoscendo che qualcosa è successo. Sconfiggere l´istinto di negare una sconfitta, fatta di errori scientifici e di omissioni politiche, è la sua ultima missione, prima di arrendersi. Shizuka Mikio, 7 anni, sopravvissuto unico della sua famiglia di Kesennuma, è solo un bambino ma lo sa. «Sì - dice - è la fine. Il lavoro del mare lo finirà quella centrale. Però adesso ho da fare». Si alza da un frigorifero sfasciato, raccoglie due bottiglie vuote e inizia a scalare le macerie: «Vado a cercare acqua - dice - . Se tornano i miei devo avere qualcosa per loro».