Guido Olimpio, Corriere della Sera 25/03/2011, 25 marzo 2011
Il REBUS DEL COLONNELLO — Muammar Gheddafi ha promesso: «Io resto nella mia tenda» . E la pensano così molti oppositori
Il REBUS DEL COLONNELLO — Muammar Gheddafi ha promesso: «Io resto nella mia tenda» . E la pensano così molti oppositori. Difficile che ceda. Eppure figure di primo piano del regime, Musa Kusa e Abdullah Senussi, hanno cercato dei contatti con Washington e nei paesi arabi. Altre mosse le ha compiute il figlio del raìs, Saif Al Islam, attraverso intermediari in Austria. Roger Tamraz, un uomo d’affari vicino alla Libia e ben conosciuto anche in Italia, ha confermato che il regime ha avviato un’iniziativa che potrebbe avere come esito una tregua ma non ha escluso neppure l’opzione dell’esilio. Fonti libiche hanno aggiunto che l’attuale premier Mahmoudi Bagdadi e un secondo dirigente hanno parlato con i ribelli di Bengasi. Non si sarebbero mossi senza il consenso del raìs. Notizie che fanno ipotizzare che, alla fine, il colonnello possa lasciare. E’ davvero così? Magari il dittatore vuol buttare fumo negli occhi. O ancora: le indiscrezioni sono una manovra per insinuare dubbi nel bunker di Tripoli. In questa crisi, tutto è ancora aperto. C’è chi lavora — come l’Italia — ad un accordo sul cessate il fuoco seguito da una trattativa. Tre gli scenari considerati in ambienti diplomatici. 1L’esilio Gheddafi, se dovesse cadere nelle mani del nemico, rischia la pelle. Come Ceausescu e Saddam. Oppure finisce in galera per i crimini compiuti contro la popolazione. Le prove — ha ribadito ieri il presidente della Corte penale Internazionale dell’Aja— sono abbondanti. Omicidi, torture e centinaia di persone fatte sparire. Al Colonnello viene proposto il baratto: sospendiamo l’incriminazione e tu va in esilio con una parte del tesoro. La soluzione può trovare un appiglio anche una scappatoia legale. Due Paesi, in ottimi rapporti con Tripoli, non hanno firmato il Trattato di Roma sulla Corte Penale internazionale, che regola i procedimenti per i crimini. Il primo è lo Zimbabwe di Robert Mugabe. Il secondo è la Guinea Equatoriale guidata da Teodoro Obiang Nguema attuale presidente dell’Unione Africana e coinvolto, nei giorni scorsi, in una timida mediazione. La «pista» dello Zimbabwe non è costruita sulla sabbia. Gheddafi ha molte proprietà nel Paese, ha investito denaro e sarebbe accolto come un amico al quale si deve molto. Inoltre qui non si applica il Trattato sui crimini. All’inizio della crisi si è pensato anche al Sudafrica, legato da relazioni speciali con il Colonnello. Le cose, però, si sono complicate. I sudafricani hanno votato in favore della no-fly zone anche se hanno ribadito che l’operazione non deve portare al cambio di regime. Un altro Paese che ha rapporti privilegiati è la Bielorussia, grande fornitore di armi. In alternativa l’Algeria che, in queste settimane, ha lavorato per la Libia. In sede diplomatica e sul campo favorendo — sembra — il transito di rifornimenti. Più lontani ci sono il Venezuela di Chavez e il Nicaragua di Ortega: i due presidenti sarebbero pronti a concedergli ospitalità. L’esilio venezuelano è stato evocato nei primi giorni della guerra. Uno dei figli del raìs è stato segnalato sull’isola Margarita, località turistica e di affari. 2I gerarchi I negoziati segreti non riguardano Gheddafi ma piuttosto il suo «cerchio di ferro» . Con messaggi diretti, minacce e offerte, la coalizione prova a sgretolare il regime dall’interno. In concomitanza con l’offensiva, l’intelligence ha ripetuto uno schema già adottato – con scarso successo – nell’Iraq di Saddam. Telefonate ai gerarchi perché cambino campo. Dopo che la Libia è stata «riabilitata» si sono sviluppate conoscenze dirette tra 007, diplomatici, alti funzionari. Fino a un mese fa si parlavano e non da avversari. Infatti, sono stati Musa Kusa e Senussi a cercare i primi approcci. Possono agire per conto del boss ma anche per se stessi. Se abbandonano Tripoli, l’apparato perderà pezzi importanti. Un vuoto che il raìs può bilanciare con il clan familiare. 3Il compromesso Le trattative hanno l’obiettivo di salvare Gheddafi. Almeno nel medio termine. Lui resta il re della Tripolitania e i ribelli sono i signori della Cirenaica. Quindi si cerca di avviare un dialogo che oggi appare impossibile. Gli insorti lo rifiutano, la Francia definisce Gheddafi un capo «screditato» , Obama ha sostenuto che deve andarsene. Ma ci sono altri protagonisti— l’Italia è tra questi — che studiano soluzioni diverse che partono dal coprifuoco come prima passo. Un’azione che il governo Berlusconi insegue con due capitali amiche. Mosca e Ankara. Un terzetto contrario alla guerra, con forti interessi a Tripoli, che può trovare per strada altri compagni. Scommettono sulla disorganizzazione dei ribelli e la tempra del raìs. Il Cremlino non è certo contento di vedere partire un suo buon «cliente» e non lo è neppure la Turchia che sta svolgendo un ruolo primario. Snobbata da Parigi, è rientrata nella partita diplomatica. L’asse potrebbe allargarsi alla Lega Araba. C’è un blocco di paesi che non piange per la sorte di Muammar. Al tempo stesso i leader, alle prese con rivolte interne, si fanno due conti: oggi tocca Gheddafi, domani a noi. Se la rivoluzione libica dovesse arenarsi non sarebbero poi così dispiaciuti. Guido Olimpio