
Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
La questione di domani è se si vota solo per eleggere i sindaci o se c’è in ballo anche qualcos’altro.
• E quale sarebbe questo «qualcos’altro»?
Per esempio: ha ancora un futuro politico Silvio Berlusconi?, ha senso la candidatura di Matteo Salvini alla leadership sul centro-destra?, il M5S è in fase ascendente, come si direbbe dai sondaggi, o in fase calante, come parrebbe dal voto delle Europee del 2013?, Renzi e il suo progetto di Partito della Nazione, con lo sfondo del referendum sulle riforme istituzionali, sta ancora in piedi o no?, la sinistra del Pd e la sinistra cosiddetta radicale esistono ancora o sono entrate in una fase di agonia irreversibile?
• Capisco, ma mi risulta strano. Come mai un voto amministrativo, dove si decide città per città, e contano alla fine le storie e le facce di quelli che si presentano, dovrebbe avere riflessi sul quadro politico generale? Non votano nemmeno tutti gli italiani! Se non ricordo male, sono chiamati alle urne in 13 milioni, poco più di un quarto di tutto l’elettorato, e i comuni in lizza sono 1.342 su più di ottomila. È legittimo trarre conclusioni universali da test tanto particolari?
È il discorso che ha fatto Renzi ancora ieri nei comizi di chiusura (prima a Napoli, poi a Bologna, Rimini e Ravenna). «Domenica si vota per le città, per i sindaci. La partita vera per il governo la giocheremo a ottobre con il referendum». E infatti, supponendo che domani il Pd risulti sostanzialmente perdente, il premier non si dimetterà. Mentre a ottobre, quando con un no o con un sì respingeremo o accetteremo le riforme istituzionali (tra queste, ricordo, non c’è il sistema elettorale detto Italicum), sarà in gioco proprio la sopravvivenza di questo governo. Renzi ha addirittura detto che, in caso di vittoria del no, si ritirerà dalla vita politica! Mentre sia Salvini che Berlusconi, nei discorsi di ieri, hanno esaminato l’ipotesi che a ottobre Renzi perda sostenendo però tesi opposte. Berlusconi vuole che si formi subito un governo di unità nazionale, dove Forza Italia e il Pd stiano insieme, e che cambi la legge elettorale. Salvini invece vuole che si vada subito a votare.
• Nell’ipotesi di Berlusconi, chi farebbe il presidente del consiglio?
Mistero. Che ha al suo interno un paio di sottoproblemi. Bisogna credere davvero che un leader giovane come Renzi abbandonerebbe la partita dopo la sconfitta di ottobre? Tra l’altro parecchi leader, anche dell’opposizione, dicono che questa scelta sarebbe impropria, dicono cioè che non è corretto legare la sopravvivenza di un governo (che è comunque un organismo istituzionale di parte) a una revisionale costituzionale, che invece dovrebbe essere di tutti. In ogni caso: che accadrebbe se Renzi si dimettesse da premier, ma non abbandonasse la politica e restasse segretario del Pd? Non lo sa nessuno.
• Vediamo in che modo il voto amministrativo può incidere su questi grovigli.
Il voto chiave sembra essere quello di Roma. Qui corrono, tra gli altri: Roberto Giachetti per il Pd, Virginia Raggi per il Movimento 5 Stelle (l’unica che ha fatto il tradizionale comizio di chiusura in piazza), Giorgia Meloni per la Lega e Fratelli d’Italia, Alfio Marchini per Forza Italia, Stefano Fassina per la sinistra. Il pronostico è molto incerto: nessuno vincerà al primo turno (ci vuole la metà dei voti più uno) e non si capisce chi saranno i due del ballottaggio. Sembra certo che la Raggi supererà l’esame (ma sottolineo il «sembra») mentre per il secondo contendente se la batterebbero soprattutto Giachetti e la Meloni. La Meloni sta affrontando due battaglie insieme: diventare sindaco (difficile) e togliere a Berlusconi ogni velleità di leadership sul centro-destra. Per questo secondo obiettivo basterebbe forse che la coalizione pigliasse un voto in più di Marchini. Ma la vittoria di Parisi a Milano potrebbe essere, da questo punto di vista, un elemento di confusione: a Milano il centro-destra si presenta unito, Stefano Parisi è in realtà un candidato di centro dal profilo non troppo dissimile da quello del suo avversario Beppe Sala. La faccia del centro-destra romano, cioè, è completamente diversa dalla faccia del centro-destra milanese.
• Quali risultati andrebbero letti come una sconfitta di Renzi?
La sconfitta di Sala a Milano sarebbe pessima per il premier. Qui si gioca, per Renzi, la partita più importante. Meno severo sarebbe il giudizio sulle eventuali défaillances
a Roma e a Napoli. Nessuno dà una possibilità alla candidata piddina di Napoli, Valeria Valente. Qui dovrebbero vedersela, al ballottaggio, Lettieri, candidato di Forza Italia, e il sindaco uscente De Magistris. A Roma, dopo i disastri di Mafia capitale, se Giachetti, il candidato che gira la città in motocicletta, passasse il turno sarebbe per il Pd già un buon risultato.
(leggi)