Massimo Lopes Pegna, La Gazzetta dello Sport 4/6/2016, 4 giugno 2016
L’ASSIST DI KOBE AI GOL CINESI – Ci ha messo la faccia, Kobe Bryant: la fama, la reputazione, i cinque anelli da campione Nba vinti da protagonista (fra il 2000 e il 2010) e naturalmente il suo sorriso accattivante
L’ASSIST DI KOBE AI GOL CINESI – Ci ha messo la faccia, Kobe Bryant: la fama, la reputazione, i cinque anelli da campione Nba vinti da protagonista (fra il 2000 e il 2010) e naturalmente il suo sorriso accattivante. Si è messo di buon grado al servizio degli organizzatori della Coppa America e ha accettato di girare uno spot pubblicitario in cui invita la gente ad andare allo stadio o a sedersi in salotto davanti allo schermo per non perdersi le stelle del soccer che brilleranno nel cielo di dieci città degli Stati Uniti nelle prossime tre settimane. «Ci sarà Messi? Oh yes. E il Chicharito Hernandez? Yes», ed elenca, elegantissimo in abito grigio, una serie di altri cognomi popolarissimi anche da queste parti. Perché adesso, dopo il ritiro dal basket a metà aprile e vent’anni di straordinaria carriera nella pallacanestro, preferisce il mood calcistico. Sì, certo, ci sono anche le Finali Nba, che per un po’ di giorni saranno in contemporanea alla Coppa America: le guarderà, ma quelle potrebbero finire per guastargli l’umore. Invece, oggi l’umore è ottimo. Dimenticatevi il Kobe furioso dopo una partita andata storta, quello dallo sguardo truce che rispondeva in maniera brusca a giornalisti e compagni. Il Kobe «in pensione» è rilassato e loquace. Si preoccupa persino del benestare del suo interlocutore: «Spero che abbia già fatto una buona vacanza e si sia riposato», scherza. Insomma, nessuna depressione da post-ritiro come capita con frequenza ai grandi campioni che improvvisamente vanno in astinenza da adrenalina. E così, per una volta, non si parte né dai Los Angeles Lakers, di cui è stato bandiera per venti stagioni, né dal suo vecchio mondo dell’Nba. Per una volta si parte dal calcio. E allora soccer sia: «Sono super entusiasta di mettermi alla tv e godermi questa Coppa America. È un’occasione unica per gli Stati Uniti di veder giocare i grandi campioni nel giardino di casa: qui non capitava dal Mondiale del 1994». Un anno fa la finale femminile del Mondiale ha stabilito il record di ascolto per una partita di calcio, addirittura più telespettatori delle gare decisive delle Finali Nba e delle World Series del baseball. Come si spiega? «La gente sta finalmente imparando in questi anni che il soccer è un gioco bellissimo. Spero che questo torneo possa dare un’altra lezione utile a chi è ancora scettico. Ci vuole tempo, ma il calcio è uno sport che sta crescendo tantissimo da noi». Chi vincerà la Coppa America? Ride. «Per diplomazia devo dire gli Stati Uniti. Stanno davvero giocando bene. Negli ultimi due-tre anni la nostra nazionale è migliorata e mi auguro che in questo torneo riuscirà a far entusiasmare i tifosi. Non conosco personalmente il c.t. Jurgen Klinsmann, ma ci ho parlato al telefono un paio di volte. Mi piace, è intelligente e da quando è arrivato ha portato una ventata di aria nuova. Grande velocità, movimento di palla: un tipo di soccer molto accattivante». Fra una settimana inizia l’Europeo e la «sua» Italia non parte fra le favorite. Troppi stranieri nel nostro campionato, ci mancano i fuoriclasse di una volta... «Non mi preoccuperei, storicamente succede che a cicli di qualche anno certi giovani non si trasformino in stelle. Suggerisco di non fermarsi, di continuare a insegnare. Perché è da lì che si ricomincia. Tocca ai giocatori del mio livello dare l’esempio, per far capire ai ragazzi cosa significhi affrontare le grandi sfide e i sacrifici che si devono fare». Sa che l’Inter sta per passare nelle mani di un facoltoso gruppo cinese e che anche il «suo» Milan potrebbe seguire lo stesso destino dei nerazzurri? «Sì, ho letto. Però non bisogna necessariamente guardare con sospetto a chi è straniero e vuole investire. Se arriveranno anche con lo spirito di aiutare i giovani a crescere, daranno una mano a tutto il movimento. Non sarà un bene esclusivo di Inter e Milan, ma potrà guadagnarci tutta la Serie A. Il calcio, come la pallacanestro, non è un patrimonio solo italiano, ormai tutto è globale». Il suo ex compagno, Steve Nash, è proprietario del Vancouver e l’ex campione del ring, Oscar De La Hoya, di Houston: due team della Mls, il campionato di calcio americano. Ora va molto di moda mettere soldi nel soccer: ci sta pensando anche lei, magari in Italia? «La passione c’è, però quando entrano in ballo decisioni di questo tipo non le puoi prendere per amore. Occorre ragionare con la mentalità dell’uomo d’affari. Con il cuore mi piacerebbe, e se lo facessi sarebbe sicuramente in Italia». Lei ha tanti amici fra i calciatori. «Sì. Alessandro Del Piero ormai è uno di casa, perché vive a Los Angeles. Poi ho ottimi rapporti con Messi e Ronaldinho, che conosco da anni. E con Paolo Maldini, ma non ci parliamo da un po’ di tempo. E qui a Los Angeles avevo ritrovato il mio idolo da bambino: Ruud Gullit. Per me, che sono un tifoso del Milan, era stata una cosa straordinaria». A proposito, è vero che da bambino in Italia la mettevano sempre in porta? Ride. «E’ vero, perché quando ho iniziato hanno visto le mie braccia e gambe lunghissime. E mi dicevano: “Non sai giocare per un c...”. Poi, però, mi hanno promosso in mezzo al campo». Nash dice che il calcio lo ha aiutato anche sul parquet. «Sono d’accordo: è importante per la visione di gioco e il movimento di piedi». L’Italia del pallone ha un vuoto generazionale, nella Nba dopo Jordan è arrivato lei, poi LeBron James, adesso c’è Steph Curry. Un ricambio continuo. «Ma se toglie i big che ha citato e qualcun altro, dal punto di vista dei fondamentali e conoscenza del gioco nella Nba i migliori sono gli stranieri. Pau e Marc Gasol, Manu Ginobili, Tony Parker, Boris Diaw e la lista è lunga. Perché anche qui commettiamo errori. Dovremmo metterci a educare i giovani e non viene fatto: il modo di pensare, come palleggiare con entrambe le mani, come tirare i liberi, da tre, il gioco in post...». Per questo ripete sempre come un mantra che è diventato Kobe grazie ai suoi maestri italiani e si considera un prodotto della pallacanestro europea? «E’ assolutamente così. Da voi ho imparato l’abc, la tattica e a ragionare in campo. E quando siamo ritornati negli Usa e sono andato al liceo ero in vantaggio rispetto a tutti i miei coetanei. Proprio per gli insegnamenti ricevuti da voi». Come sta andando la vita da pensionato? «Benissimo. Perché ho una nuova grande passione: scrivere. E’ molto simile al fuoco che avevo dentro da piccolo per la pallacanestro. Quando mi sveglio la mattina, non vedo l’ora di arrivare in ufficio per mettermi a lavorare. Per scrivere e studiare». E che cosa sta scrivendo? «Sono innamorato di qualunque bella storia che abbia a che vedere con lo sport. Mi sto dedicando a racconti che possano insegnare ai giovani quello che significa giocare ad alto livello. Non intendo solo come tirare o palleggiare, ma la parte mentale, quella emotiva. Come vincerla, avere fiducia in se stessi». So che ne ha parlato anche con Paulo Coelho: che cosa vi siete detti? «Volevo confrontarmi con uno scrittore che stimo sulle idee che ho in testa: dedicare storie ai bambini per aiutarli a credere in loro stessi fin dall’infanzia. Con lui condividiamo l’identica passione e allora gli ho chiesto di darmi una mano. Ci risentiremo in futuro e non escludo che pubblicheremo un libro insieme». Molti atleti soffrono il trapasso del ritiro: da giocatori alla vita normale. Ma non sembra il suo caso. «Succede perché per venti anni sei abituato all’adrenalina, al pubblico, a essere al centro dell’attenzione. Per questo devi cercare di sviluppare altri interessi. Non è semplice, ma lo devi fare perché fin dal principio sai che lo sport non sarà per sempre. Che prima o poi il momento di smettere arriverà, e non puoi farti trovare impreparato. Mi ritengo fortunato per avere questa nuova passione». Sta guardando le finali Nba e chi vincerà fra Cleveland Cavaliers e Golden State Warriors? «Ho visto gara 1, ma qui alla scrivania mentre lavoravo. Ho tanto da fare e se voglio eccellere devo rimboccarmi le maniche. Prima di azzardare un pronostico, però, voglio vedere anche la seconda partita per capire meglio strategia e tattica». Passerà le vacanze in Italia? «In verità, con mia moglie abbiamo l’intenzione di comprare casa, ma non so dove: ci piacerebbe trascorrere da voi periodi lunghi, non soltanto per le vacanze». Lo ha già detto, ma ce lo ripeta: nessuna possibilità di vederla nel nostro campionato? «Nessuna, non succederà. Sono un ex giocatore e felice di esserlo».