varie, 4 giugno 2016
APPUNTI EUROPEI DI CALCIO PER IL FOGLIO ROSA – MARIO SCONCERTI, CORRIERE DELLA SERA 30/5 – Lasciamo perdere il risultato e dimentichiamo il gioco
APPUNTI EUROPEI DI CALCIO PER IL FOGLIO ROSA – MARIO SCONCERTI, CORRIERE DELLA SERA 30/5 – Lasciamo perdere il risultato e dimentichiamo il gioco. Pensiamo per un attimo al vero significato della partita, finire di scegliere l’elenco dei convocati. Se questo è vero, ha giocato soprattutto chi era ancora sotto esame. Un tempo per la squadra titolare e un tempo per i dubbi. Quindi Immobile più dentro di Insigne, El Shaarawy più titolare di Bernardeschi. E Insigne probabilmente fuori perché estraneo agli schemi di Conte e infatti utilizzato da trequartista, ruolo non suo. Inutile tentare di decifrare altro. Montolivo e Motta erano indisponibili, De Rossi ha giocato bene, se in condizione a me pare ancora il più produttivo tra i registi eventuali. C’è piuttosto un piccolo fantasma che gira nell’aria, mi sembra Sturaro: non ha qualità eccezionale ma servirebbe capire quanto conta la qualità per il c.t. E come stia davvero Immobile. Mi sembrano questi gli ultimi dubbi. Bernardeschi ha giocato poco ma è come se fosse da sempre in questa squadra. Eder è in crisi nervosa, ma è tardi per cambiarlo. Sono onestamente curioso di vedere le scelte, capendo che si corre comunque la parte in salita di un falsopiano. È chiara in compenso la visione della squadra: dovrà correre molto e restare chiusa, cercare di essere rapida almeno nelle idee. Sarà una squadra da imprese eroiche perché non abbastanza alta per quelle tecniche. Ci aspetta un piccolo martirio in un torneo che può essere vinto anche senza vincere una partita. E questa è una cosa che sappiamo fare. *** MARIO SCONCERTI, CORRIERE DELLA SERA 23/5 – Fossi Conte non darei troppa importanza ai test fisici di questi giorni. È un errore in cui cadde due anni fa anche Prandelli, in cui cadono spesso i commissari tecnici molto allenatori. Sono giustamente perfezionisti, hanno in testa un viaggio di molti mesi, cercano un gruppo sano sotto tutti gli aspetti. È un buon intendimento, ma si direbbe il minimo, non quello determinante per le scelte. Un Mondiale, un Europeo, sono tornei di poche partite, basta anche una copertura atletica sufficiente, nessun giocatore arriva a giugno-luglio in buone condizioni fisiche, sono tutti stanchi. La differenza viene dall’importanza delle partite, sono golosità nervose, occasioni di carriera quasi uniche, cioè soldi, quindi moltiplicatori spontanei. Faccio un esempio: Pavoletti non è andato bene nei test di questi giorni. Non è al meglio della condizione, ma è centravanti di grande rendimento, ha segnato anche l’altra domenica. E dovrebbe giocare non domani ma fra venti giorni. Il giudizio se farlo entrare o meno nella lista deve essere molto più tecnico che di condizione attuale, molto più personale che frutto di esami di gruppo. Nessuno arriva al Giro d’Italia con già la salute per vincerlo. La condizione si trova in corsa o non si trova. Per questo deve decidere Conte da solo, con la sua esperienza e i suoi umori. L’altra incognita del viaggio è la capacità di tenere un gruppo per quaranta giorni. Conte non lo ha mai fatto. I lunghi ritiri spesso dividono, creano insofferenza reciproca, anche grandi amicizie improvvise, ma molto dipende dalla tensione che gira nell’aria. Conte è uno teso di mestiere, bravissimo, competente e vagamente fissato sull’ordine e le motivazioni. È un cerino che brucia da due parti, forse non l’ideale per distendere. In compenso, tecnicamente non c’è uno migliore di lui. Ci sono semmai squadre più forti della nostra, ma questo è un argomento ancora acerbo. La qualità dei giocatori a questi livelli va sempre abbinata alla personalità, alla capacità di confrontarsi con avversari internazionali. Di Natale per esempio è stato un fuoriclasse in Italia ma ha dato pochissimo fuori. Paolino Pulici, per andare ad altre epoche, era un altro di quel genere. È questa mentalità da grande competizione che copre le distanze, Conte dovrebbe essere in grado di darla. Per ora non si può chiedere di più. *** SEBASTIANO VERNAZZA, LA GAZZETTA DELLO SPORT 4/6 – Brutti, sporchi, cattivi e un po’ vecchi. Perfetti per farsi largo all’Europeo, perché è difficile che nel calcio vincano i belli, i buoni e i giovanissimi. L’Italia di Conte è «bruttina», a questo giro di convocazioni manca il bellone tipo il Cabrini del Mundial 1982 in Spagna o il Luca Toni del Mondiale 2006 in Germania: Buffon viaggia verso una bellezza stagionata alla Richard Gere, mentre Bernardeschi risulta ancora ragazzino. Questa Nazionale è sporca, non perché non si lavi, ma perché poco estetica, oggi la tecnica pura non costituisce il pezzo forte del nostro repertorio. Questa squadra è cattiva, perché tra difesa e centrocampo abbondano i «mazzolatori», gente che non accarezza gli avversari. Questo gruppo di 23 è «vecchio» in senso anagrafico, si fa per dire, perché condivide con la Slovacchia il quarto posto nella classifica dell’età media tra le 24 partecipanti a Francia 2016: 28 anni e 10 mesi. In realtà gli slovacchi sono un filo più «anziani», per l’esattezza di 5 giorni. Quella attuale diventerà la seconda Italia più stagionata che abbia mai partecipato alla fase finale di un Europeo, battuta solo dalla Nazionale del 2008, c.t. Donadoni, con 29 anni e 3 mesi. Otto anni fa Euro in Austria e Svizzera e azzurri fuori nei quarti contro la Spagna, ai rigori: una resa onorevole. VANTAGGIO La storia dice che per vincere non è necessario essere sbarbati. Anzi. Sapete qual era l’età media dell’Italia campione del mondo 2006? Ventotto virgola sette, pochi mesi di meno rispetto all’attuale. I ventotto sono gli anni della piena maturità calcistica: il fisico viaggia al massimo dei giri, la testa si è fatta più saggia e nel bagagliaio campeggia una valigia di esperienza. In questa Nazionale il reparto simbolo dell’anzianità di servizio resta la difesa, come da tradizione. Dino Zoff nel 1982 vinse il Mondiale di Spagna a 40 anni e 4 mesi. Gigi Buffon, suo successore tra i pali, coi suoi 38 anni e 4 mesi sarà soltanto il quinto giocatore più vecchio di Francia 2016, lo precedono i colleghi portieri Kiraly (Ungheria) e Given (Irlanda), due quarantenni, e Carroll (Irlanda) e Shei (Albania), 38enni come lui, ma più anziani di qualche settimana. I portieri sono più longevi, questione di ruolo. La difesa azzurra è emblematica del dato anagrafico medio degli azzurri. Buffon è vicino ai quaranta, Barzagli e Chiellini sono ultratrentenni, Bonucci i trenta li compirà a maggio del 2017. Molto si potrà dire dell’Italia all’Europeo, ma non che mancherà di vita vissuta negli ultimi sedici metri. GRANDI VECCHI Si può essere datati, senza perdere la lucidità. Per esempio, agli atti dell’Uefa risulta che il più vecchio giocatore a vincere un Europeo sia stato l’olandese Arnold Muhren, il centrocampista che fornì a Marco Van Basten l’assist per il meraviglioso gol al volo da posizione impossibile, nella finale dell’Euro 1988, Olanda-Unione Sovietica 2-0. Muhren quel traversone lo confezionò alla veneranda età di 37 anni e 23 giorni. Il primato della partecipazione più attempata appartiene per ora al tedesco Lothar Matthaus, ex Inter, in campo a 39 anni e 91 giorni contro il Portogallo a Euro 2000. Record che sarà battuto in Francia, probabilmente dal 40enne ungherese Kiraly. Un primato che non portò a nulla, quella Germania venne eliminata in malo modo al primo turno. «Vecchio è bello», che slogan variabile: a volte funziona altre no. L’Italia di sicuro non è un Paese per giovani, ma questo lo sappiamo, non c’è bisogno che il calcio ce lo confermi. *** ENRICO CURRO’, LA REPUBBLICA 30/5 – Le prove tecniche di trasmissione, a nove giorni dalla partenza per la Francia, diffondono un’immagine della Nazionale dai contorni ancora poco nitidi: l’ibrido è fisiologico, vista la quantità di contrattempi che Conte ha dovuto affrontare. Ma il tempo stringe e l’Europeo incombe. La verifica con la Scozia era l’ultima prima della lista dei 23, da comunicare domani sera in diretta televisiva Rai, come esigono le vigenti leggi dello spettacolo. L’amichevole a Malta – concessione promozionale per gli azzurri, che il giorno dopo la finale di Champions League a Milano e con i play-off di serie B ancora in corso avrebbero faticato a trovare uno stadio italiano – ha confermato il ritardo nella costruzione del centrocampo. Se la partita doveva valorizzare il principio più caro al commissario tecnico, cioè la priorità della tattica e degli schemi mandati a memoria, ha funzionato fino a un certo punto. La difesa della Juventus è una certezza. L’attacco è modesto, ma ha una base: Conte lo ha plasmato attorno a Pellè, convinto che l’esasperazione dei movimenti studiati possa colmare il divario dalle favorite Germania, Francia, Belgio e Spagna. E’ invece nel reparto fondamentale che il rompicapo rimane. Né potrà risolverlo l’amichevole del 6 giugno con la Finlandia, a lista fatta. L’ansia non è soltanto per l’assenza di controfigure di Marchisio e Verratti o per gli scricchiolii di chiunque verrà prescelto, tra De Rossi, Motta, Montolivo e Jorginho. C’è soprattutto da inventare un nuovo incursore goleador, tra Florenzi e Giaccherini. Anche per Ventura (il successore di Conte, come ha ormai ammesso anche il presidente della Figc Tavecchio) le difficili qualificazioni al Mondiale 2018 inizieranno con Marchisio fuori. E’ l’assenza pesantissima di un’Italia troppo prevedibile. *** ENRICO CURRO’, LA REPUBBLICA 31/5 – Oggi il soldato Insigne aspetta la chiamata e il soldatino Bernardeschi la sogna. Tutto qui o quasi. Perché la fantasia vada al potere, ne servirebbe almeno un po’, di fantasia. Invece la Nazionale, di cui Conte ufficializzerà stasera la lista dei 23 per l’Europeo, sembra grigiastra, più che azzurra: lontani i tempi in cui gli italiani si dividevano tra riveriani e mazzoliani, baggisti e zoliani, delpieristi e tottiani (o al limite cassaniani e balotelliani a Euro 2012, estremo rigurgito di un’estrosità sui generis), è decisamente complicato accendersi per un calciatore simbolo che non esiste più: cacofonie a parte, immobilisti e ederisti sarebbero categorie tristi. Rimagono gli insigni, nel senso che la sola parvenza di passione riguarda – oltre all’imberbe Bernardeschi - il più navigato Insigne, discendente teorico di Rivera, Mazzola, Baggio, Zola, Del Piero e Totti: 1,63 di altezza per 13 gol e 1 assist in questa stagione al Napoli, nonché 2 gol nelle sole 9 presenze della carriera - per ora non memorabile - con la maglia dell’Italia. In assenza di altri surrogati della tradizione dei gloriosi numeri 10, attestata dal ct stesso che con la Scozia non ha assegnato la maglia in questione, Insigne prova a candidarsi: magari non col fatidico 10, però il fantasista del Napoli dovrebbe entrare tra i 23. In caso di esclusione, la sollevazione popolare di un’intera città sarebbe scontata, ma non sono certo questi gli aspetti che inducono Conte alle scelte. Avendo plasmato una squadra fondata sulla prevalenza degli schemi e dell’atletismo, oltre che sull’unico reparto di collaudato livello internazionale (la difesa juventina), il commissario tecnico si uniforma per la selezione della rosa ai criteri dell’intercambiabilità e della capacità di adattamento al sistema di partenza, il 3-5-2 modulabile in 4-2-4 o 3-4-3, dove il numero 10 all’italiana è un orpello. Gli infortunati Verratti e Marchisio avrebbero avuto i titoli per portarlo sulle spalle, per tacere di Pirlo. De Rossi e Thiago Motta rappresenterebbero un dignitoso ripiego, al netto dei rispettivi acciacchi, Bernardeschi un’investitura rischiosa. Per i 7 tagli tra i 30 convocati, la scadenza è mezzanotte. Ma Conte li annuncerà nella diretta Rai. La scalogna di Montolivo ha tolto la prima x. Altre tre erano ovvie: le reclute Zappacosta, Benassi e Rugani, in Francia da possibili riserve con Sturaro, che non ha superato l’esame. Così resta un dilemma. Portare un difensore centrale in aggiunta ai tre della Juve e a Ogbonna, perché non è ferrea la salute di Motta e De Rossi adattabili al ruolo? Oppure un eclettico tra centrocampo e attacco? Astori risponde al primo identikit, Bernardeschi al secondo. Con Jorginho risalito nelle quotazioni da regista di scorta, sempre per via degli acciacchi di Motta e De Rossi, sembrano tre (Bernardeschi, Astori e Bonaventura in ordine di pronostico) gli azzurri in corsa per l’ultima maglia. «Le mie scelte potrebbero fare discutere», ha preannunciato Conte: più che all’eventuale bocciatura di De Rossi il pensiero è corso a quella di Insigne. Che però è il più adatto all’ipotetico cambio di modulo tra la partita inaugurale dell’Europeo col Belgio e quelle con Svezia e Irlanda. Contro il Belgio, avversario tecnico, può funzionare il 3-5-2, con i due interni cursori Florenzi e Giaccherini. Svezia e Irlanda hanno un gioco chiuso, può essere utile il tridente, con Insigne alternativa a Candreva ed El Shaarawy, loro sì fantasisti. Le fasce laterali sono l’unica risorsa di imprevedibilità per una Nazionale avvinta, come Eder, alla speranza di entrare tra le prime otto d’Europa. *** LUIGI GARLANDO, LA GAZZETTA DELLO SPORT 30/5 – Se la strategia è quella segnalata da Buffon («Non creiamo aspettative, così sorprenderemo»), quello di Malta è stato un buon test. La vittoria sulla Scozia non allarmerà certo la concorrenza. Solo un golletto di Pellé, ritmi bassi, poco gioco. Ma non è neppure il caso di preoccuparsi più di tanto. In mezzo al guado della preparazione ci sta che i muscoli siano appesantiti e le idee appannate. Ieri la Germania campione del mondo si è fatta sculacciare in casa dalla Slovacchia di Hamsik. Più che a Conte forse l’amichevole è servita agli italiani per abituarsi a ciò che ci toccherà vedere all’Europeo: questi siamo. Dimentichiamoci cos’eravamo l’ultima volta che siamo andati in Francia a giocarci qualcosa di importante (Mondiale 1998): Baggio, Del Piero, Vieri, Inzaghi... Oggi siamo un’altra specie. Il punto di forza sono quei quattro juventini là dietro, la nostra prima arma sarà la capacità di difenderci. Qui non invidiamo nessuno. Per il resto, siamo una Nazionale che deve lavorare con umiltà, palla su palla, per mungere un gol a una modesta Scozia. La mediana recupererà qualche individualità, ma non Marchisio, non Verratti, non Pirlo, non la qualità che possa stravolgere il quadro di ieri. Avremo un centrocampo da battaglia, capace di proteggere ulteriormente il nostro fortino e intossicare il gioco degli altri con la forza dell’organizzazione e l’aggressività educate da Conte. Un centrocampo che difficilmente riuscirà a permettersi un’imbucata geniale e cross calibrati in serie (quanti errori ieri...). Per quest’Italia il gol continuerà a essere una conquista dolorosa, una vetta da meritarsi centimetro dopo centimetro, spelandosi le mani in un cielo di poco ossigeno. Per dire, sabato il Belgio ha mandato in gol Ferreira Carrasco nella finale di Champions e Lukaku e De Bruyne contro la Svizzera. E poi Hazard, Benteke, Origi, Mertens... Le mamme belghe hanno fatto un gran lavoro. Le nostre si sono prese una generazione di legittimo riposo. E così Conte oggi deve arrangiarsi con Pellé. Ma non vuol dire partire battuti. Il Cholismo è una pacca sulle spalle. L’Atletico di Simeone è arrivato in finale di Champions due volte in tre anni lasciando agli altri Messi e CR7. Siamo azzurri come il Leicester delle meraviglie. Ok, a noi manca un Vardy che abbia segnato 24 gol in campionato; manca un Mahrez che illumini di classe e che lasci in rete 17 palloni; mancano mediani di buona tecnica e freschezza atletica come Kanté e Drinkwater. Però Conte può sorprendere e farsi largo in Francia con le stesse prerogative di Ranieri: difesa marmorea, organizzazione tattica superiore (non siamo nell’era dei mister italiani?), ripartenze feroci, disponibilità alla sofferenza e all’aiuto solidale, virtù che Conte ha educato sapientemente sforbiciando i presunti fenomeni. Aspettiamoci un’Italia che quasi sempre cambierà pelle durante la stessa partita. Una prima ora adulta e responsabile, di fatica e sacrificio, tipica dei padri di famiglia, con i tackle di Chiellini e le corse a tamponare di De Rossi. Poi un quarto d’ora d’allegria scatenando i ragazzini al parco (Bernardeschi, El Shaarawy...), capaci di sorprendere avversari stanchi con la freschezza del loro talento. Questi siamo. Procediamo a fari spenti, come ordina il nostro capitano. E vedremo se sarà così facile batterci. *** GUGLIELMO BUCCHERI, LA STAMPA 1/6 – L’elmetto in testa ed il cuore caldo. Così è nata l’Italia di Antonio Conte, ventitrè ragazzi che dovranno vivere in apnea da oggi all’ultimo giorno dell’avventura europea. L’elmetto in testa se lo è messo anche Sturaro, novità per tutti (o quasi) non per un ct che scegliendo il centrocampista bianconero come tassello finale alla sua Nazionale ha voluto dare l’ennesimo messaggio di quale spirito dovrà avere il gruppo azzurro in Francia agli Europei. Presentazione stile Usa L’Italia è nata sotto il cielo di Roma e dentro ad uno show televisivo (diretta Rai, giocatori presentati ad uno ad uno e dopo l’arrivo negli studi in otto Panda azzurre) che mai aveva accompagnato una Nazionale ad una grande manifestazione. Qualcuno parlerà di situazione paradossale perchè, in Francia, va una squadra non certo favorita per il traguardo finale, eppure, proprio per i ragazzi di Conte si sono accesi i riflettori senza precedenti. «Ho scelto i migliori e dopo aver riflettuto a lungo: le mie idee sono ben precise...», così il ct. I migliori sono là, ad ascoltare il loro condottiero: corsa, velocità e un po’ di luce, la strada per provare a stupire. C’è la difesa della Juve, in blocco, granitica: Buffon più Barzagli, Bonucci e Chiellini, con Rugani una delle tre riserve, almeno fino a domenica prossima. C’è Ogbonna, che dalla Juve è passato e che in Nazionale è arrivato direttamente dalla serie B, quando aveva il granata addosso. Ci sono Darmian e De Sciglio, i più ordinati in campo perchè mai fuori posto o posizione. Il 10 sulle spalle di Thiago L’Italia, da ieri sera, è chiusa nel quartier generale di Coverciano, a due passi da Firenze: lunedì l’ultimo test con la Finlandia a Verona, poi lo sbarco nel ritiro di Montpellier. Il numero 10 è sulle spalle di Thiago Motta, recuperato e, finalmente, a pieno regime. Là in mezzo, ecco l’esperienza di De Rossi («Dopo tanti anni in azzurro questa è stata la prima volta che ho temuto di rimanere a casa») e le frecce Giaccherini e Florenzi. Poi, sulle fasce, toccherà a Candreva, ma anche ad El Shaarawy o Bernardeschi accendere la scintilla. L’attacco scelto da Conte aspetta di capire se, i prossimi, saranno i giorni di Eder o Insigne, mentre lo sono già per Pellè. La benedizione di Lippi L’Italia è nata, adesso dovrà nascere il gioco. Conte ha due settimane di tempo per aggiustare il suo progetto, poi il Belgio, al debutto. Il basso profilo, al di là dello spettacolo Rai, non preoccupa gli azzurri. «Nessuno si aspetta niente da noi. E quando siamo nelle difficoltà diamo sempre il meglio...», ripete Buffon. E se è vero che le nostre fortune le abbiamo sempre costruite sulla difesa, ci siamo. Il prossimo direttore tecnico della Figc, Marcello Lippi dà la sua benedizione: «Quando abbiamo vinto, e noi del 2006 ne sappiamo qualcosa, siamo sempre partiti così...». Così? Poca considerazione, molto scetticismo. *** MASSIMILIANO NEIROZZI, LA STAMPA 1/6 – Fuori Jorginho, un buon geometra, dentro Sturaro, tostissimo marine: volendo prendere l’uno per il tutto, s’intuisce che Italia ha in mente Antonio Conte. Banalizzando, più fisico e corsa, una squadra solidale e verticale. Del resto, siamo a un livello qualitativo tra i più bassi della storia non certo per le scelte del ct: piuttosto per l’esilio di Pirlo e gli infortuni di Verratti e Marchisio. Jorginho avrebbe potuto dare più ordine e palleggio, non certo genio. Tatticamente, non ha mai fatto impazzire Conte, per quell’indole al fraseggio orizzontale e molto meno all’azzardo verticale. Di Sturaro sorprende il recente scarso utilizzo juventino (13 presenze nel 2016), non l’attitudine al gioco di stampo «contiano»: contrasto e ripartenze, e un certo fiuto per gli inserimenti. Dal 3-5-2 al 3-4-3 Dimmi chi scegli e ti dirò come giocherai. Un po’ è vero per questa nazionale, se le chiamate di Conte possono essere discusse e discutibili, ma di certo coerenti con la squadra che verrà. Si parte, e si partirà, dal 3-5-2 fondato sul triumvirato bianconero, Barzagli, Bonucci, Chiellini, soprattutto contro il Belgio, nemico più forte e tecnico. Ma poi, con Svezia e Irlanda, gli azzurri potrebbero virare al 3-4-3, sostanzialmente per una ragione: abbiamo pochissimi gol nei piedi. E un po’ di qualità sui residenti delle zone laterali: da Insigne a El Shaarawy, da Candreva a Bernardeschi. Conte spera di cavarci un dribbling, un cross, un assist. Nella pratica, il tridente offensivo che bene filò nel marzo scorso a Udine, contro la Spagna. E in un centrocampo a quattro, più utile Sturaro di Jorginho. *** ALESSANDRO BOCCI, CORRIERE DELLA SERA 1/6 – Nasce un’Italia con l’elmetto e in questo senso l’ultimo sussulto, Sturaro al posto di Jorginho nella lista dei ventitré, spiega più di tante parole ciò che va cercando Antonio Conte. Angeli dalla faccia sporca con il cuore grande. Il c.t. fonda la sua Nazionale sulla difesa di ferro della Juve, ma ha chiamato cinque attaccanti perché «bisogna andare a fare gol». Lo grida ogni volta in allenamento, quasi un mantra. L’indice di pericolosità nelle partite, compresa l’ultima a Malta, è altissimo. Però segniamo con il contagocce. Ci sarà molto da lavorare prima a Coverciano e poi nel buen retiro francese di Montpellier. Senza talento, Conte punta a trovare «la Squadra», che dovrà essere duttile, solida, capace di trasformarsi anche all’interno della stessa partita, abile a leggere le varie situazioni tattiche e a capirle prima degli altri. L’arte di arrangiarsi, elevata alla massima potenza. Dedizione, passione, spirito di gruppo. Capacità di sacrificarsi in più ruoli. Quasi tutti ne sanno fare almeno due, qualcuno addirittura tre, come Darmian, Florenzi e Giaccherini. La dieci, maglia simbolo nella storia del calcio, anziché sulle spalle acerbe di Insigne o Bernardeschi, finisce su quelle più solide di Thiago Motta. Da Verratti al brasiliano, la staffetta del Psg. Uomini e numeri sono stati difesi fino all’ultimo. Conte non voleva fughe di notizie e ha sciolto le riserve, attraverso messaggini, soltanto dopo la mezzanotte di lunedì: «Ho riflettuto tanto ma ho chiamato i migliori», racconta a braccetto della conduttrice Antonella Clerici durante «Sogno azzurro» la kermesse Rai in cui viene presentata l’Italia europea. Conte snocciola uno dopo l’altro i 23. Fuori l’acciaccato Montolivo, il difensore Astori, il centrocampista Bonaventura e all’ultimo anche Jorginho. L’Italia è fatta. «Vogliamo stupire e rendere orgogliosi i nostri tifosi», dice Conte. Ma per adesso la Nazionale viaggia nella gelida indifferenza. Una trentina di tifosi ha atteso gli azzurri nel ritiro romano del Parco dei Principi, a due passi dalla Federcalcio. Pochi applausi, qualche selfie, De Rossi e Florenzi sono arrivati a piedi in tranquillità. Basso profilo. «Ricordo che nel 2006, il giorno della partenza per il Mondiale in Germania, all’aeroporto c’era soltanto un tifoso», ricorda un federale di lungo corso. È lo stesso pensiero di Marcello Lippi e Arrigo Sacchi, due grandi c.t. del passato e di Gigi Buffon, capitano e simbolo della squadra: «Non stiamo vivendo il nostro momento migliore, ma potrebbe essere l’occasione giusta per sorprendere». Conte confida di riaccendere in fretta passione e entusiasmo. «Cercando di creare qualcosa di bello. Restiamo con i piedi per terra, facendo un passettino alla volta. L’obiettivo è superare il primo turno e poi vediamo cosa ci aspetta. Vogliamo sognare e non avere rimpianti. E i limiti devono diventare virtù». A patto che i 23 diventino in fretta una squadra. De Rossi ammette di essersela vista brutta: «Sono in Nazionale da tanti anni, ma stavolta ho temuto di rimanere a casa». Scegliere i centrocampisti è stato il lavoro più complicato per Conte: l’attesa per l’acciaccato Thiago Motta, la ricaduta di Montolivo, la rimonta di Sturaro. Bernardeschi quasi non ci crede: «Sono emozionato, commosso», confessa. Da questa mattina si riprende a lavorare sul campo di Coverciano. Anche con le riserve: il giovane portiere Meret, lo juventino Rugani, i granata Zappacosta e Benassi. Tutti insieme appassionatamente. Con la benedizione del presidente Tavecchio, che lavora sul futuro. «Ventura? Penso che la mia soluzione andrà a regime», azzarda. Sabato l’incontro decisivo. Sono i giorni azzurri. Speriamo che non sia una Nazionale di plastica. Alessandro Bocci *** ANDREA SCHIANCHI, LA GAZZETTA DELLO SPORT 31/5 - Conoscere il passato aiuta a vivere meglio il presente. La storia del calcio dice che l’Italia è sempre stata una squadra dura, di carattere, testarda, furba, abile a difendersi (anche ai limiti del regolamento) e pronta a ribaltare l’azione in velocità. Ci hanno appiccicato addosso l’etichetta di «catenacciari», erano gli anni Sessanta, e ne abbiamo sofferto perché, mentre le altre nazionali cercavano la bellezza, noi ci accontentavamo delle briciole, spedivamo il pallone in tribuna e chi s’è visto s’è visto. In giro per il mondo gli italiani erano «pizza, mandolino, mafia e catenaccio». Il giudizio, negli anni, non è cambiato di molto, nonostante siano state tentate altre strade: dalla frizzante Italia di Vicini a quella tutta schemi, pressing e intensità di Sacchi per arrivare al cosiddetto «calcio propositivo» di Prandelli. La verità è che, si chiudano le orecchie i teorici che sostengono la supremazia del gioco sulle qualità dei giocatori, le case si costruiscono con i mattoni che si hanno a disposizione: se il materiale è di bassa qualità, ci si deve adeguare. ATTACCO E DIFESA Il fatto che i nostri migliori elementi sono i difensori non ci deve far arrossire di vergogna. Capita, ci sono momenti in cui nascono bravi attaccanti, altri nei quali c’è abbondanza di centrocampisti, e adesso invece ci aggrappiamo ai quattro moschettieri della Juve: Buffon, Barzagli, Bonucci e Chiellini sono le colonne sulle quali appoggiare le nostre idee. Il passato c’insegna che non sempre si vince andando all’attacco in modo scriteriato: Bearzot, al Mundial dell’82, non era certo un pericoloso offensivista eppure quella nazionale ci ha regalato una gioia che dura ancora oggi. E pazienza se i brasiliani e gli argentini ci ricordano ancora di come Gentile si aggrappò alle magliette di Zico e di Maradona: se ne faranno una ragione e, nell’attesa, noi ci teniamo stretta la Coppa del Mondo. Anche gli azzurri di Lippi, gli ultimi a farci vivere l’orgoglio della vittoria, a Berlino nel 2006, non brillavano per lo stile offensivo: era una squadra, anzi, che faceva venire il batticuore, e forse proprio per questa ragione riusciva a trascinare la gente, a coinvolgerla. Il libro del calcio dice che, quando l’Italia ha trionfato, lo ha fatto sempre più in nome del carattere e del temperamento che del gioco e dello spettacolo. Il nostro spettacolo, lo spettacolo italiano, non sta in un dribbling, in una finta, in una banale «veronica», ma nel risultato. Se vinci, sei bravo (anche se hai giocato male). Se perdi, sei scarso (anche se hai giocato bene). Una volta mandata a memoria questa regola aurea, si possono affrontare tutti i temi tattici, tecnici e atletici. PALLA LUNGA La nazionale di Conte sembra disegnata apposta per fare difesa e contropiede. Cioè: per aspettare le sfuriate degli avversari, alzare il muro davanti a Buffon, ributtare indietro il pericolo, e poi ripartire velocemente dalla parte opposta del campo cercando di sfruttare gli spazi che il nemico, inevitabilmente sbilanciato, concede. Il 3-5-2 che il c.t. sta inculcando nella testa dei suoi ragazzi è il modulo perfetto per interpretare le partite in questo senso: i due esterni, che hanno il doppio compito di difendere e attaccare, sono le chiavi del gioco. In sostanza l’Italia dovrà essere abile a ritrarsi, talvolta anche ad arroccarsi, senza mai dimenticare la possibilità di ribaltare la manovra. Per farlo ci sono due registi: uno è il libero, quindi Bonucci; l’altro è il mediano centrale, molto probabilmente De Rossi. Saranno loro, con lanci precisi e sempre in verticale, a dover pescare gli esterni che scattano all’improvviso sorprendendo gli avversari. L’alternativa di gioco è il pallone lungo sulla prima punta (Pellè è l’ideale per questo movimento) che ha il compito di girarlo, quasi a occhi chiusi, sulle fasce o sui piedi del secondo attaccante che gli sta sempre vicino. Questa manovra, cioè il duetto tra i due elementi offensivi, Conte la faceva quando allenava il Bari e ne avrà sicuramente memoria. PSICOLOGIA Gli esteti criticheranno questo atteggiamento, già vediamo i filosofi del «calcio offensivo» alzarsi dai loro divani e puntare il dito contro questo modo antico di giocare. Si rassegnino: questa Italia non ha la qualità per imporre la propria cifra tecnica, deve adeguarsi al nemico e sfruttarne gli errori. E’ questione di psicologia: gli italiani, da sempre, sono un popolo che si esalta nelle difficoltà, sopporta terribili umiliazioni, resta in silenzio per decenni (o ventenni...) e poi, come d’incanto, ritrova il coraggio, la forza e la voglia di riscattarsi. Il nostro calcio è lo specchio di questo modo di vivere, e non c’è da vergognarsene. Pretendere il tiqui-taca dagli azzurri di Conte sarebbe pure follia: non abbiamo centrocampisti adatti. Molto più saggio lasciare «spagnoleggiare» gli spagnoli, e pensare a fare gli italiani. Con orgoglio e senza complessi d’inferiorità, possibilmente. Il possesso-palla, tanto per fare un esempio, è diventato una specie di stella polare del calcio moderno, ma siamo davvero sicuri che sia sinonimo di spettacolo e di successo? Governare il gioco va bene, a patto che lo si faccia con la necessaria velocità. Altrimenti gli avversari si chiudono, tolgono spazi e aria. Certo, se hai Messi, puoi permetterti il titic-titoc, ma se Messi non ce l’hai devi inventarti qualcosa di diverso. E questo «qualcosa», per l’Italia di Conte che nasce nell’epoca del cholismo, è il vecchio, sano e mai dimenticato contropiede. Gli altri ti attaccano, tu ti difendi, trovi le forze per reagire, ti rialzi e, con astuzia, li sorprendi e vinci. Dopo il disastro di Caporetto, e gli assalti respinti sul Piave, c’è sempre una Vittorio Veneto. Ecco perché conoscere il passato aiuta a vivere meglio il presente. *** GIGI GARANZINI, LA STAMPA 30/5 – Chissà se era la Scozia l’avversario giusto da scegliere per la prima tappa di quest’avventura europea. Al di là di quella maglia oscena, che sommata alla non irresistibile cornice maltese dava alla serata un’indubbia connotazione postelegrafonica, serviva uno sparring-partner che giocasse più o meno alla maniera dell’ Irlanda, come da spiegazione ufficiale, o non piuttosto una nazionale anche non di primissimo piano ma capace, se del caso, di superare la linea di metà campo? È vero che in fase di preparazione tutto fa brodo, è probabilmente vero anche che il duro richiamo di preparazione attuato da Conte ha lasciato gambe inevitabilmente imballate. Ma le due prime partite francesi saranno contro Belgio e Svezia. E poiché saranno quelle a decidere la qualificazione, forse sarebbe servito misurarsi con qualcuno meno disposto a lasciare il mazzo in mano agli azzurri. Dopo di che, anzi a monte di che, la botte dà il vino che ha. L’Italia ha la difesa che sappiamo, ed è evidente che su quella, solo su quella potrà provare a costruire le sue fortune. Un centrocampo di fortuna, che deve fare a meno delle sue risorse più preziose, la regia tattica di Marchisio e quella creativa di Verratti. E un attacco, come dirlo in maniera che nessuno se n’abbia a male?, non particolarmente competitivo in campo internazionale. Contro una rivale debole e non particolarmente bellicosa come la Scozia non ha fatto fatica a giocarsela da protagonista, sempre e soltanto all’offensiva, e questo immagino faccia morale. Ma non sarebbe stato più utile testare un calcio così offensivo contro qualcuno in grado se non altro di ripartire? Amen. Per un tempo intero la punta di gran lunga più pericolosa è stata Giaccherini, grazie alla scelta di tempo negli inserimenti. Ha sbagliato due gol abbastanza comodi, ma ha applicato nel migliore dei modi uno dei più riconoscibili tra gli schemi di Conte: la palla centrale profonda per l’inserimento del centrocampista. Servita da Bonucci o da De Rossi, e agevolata dai movimenti senza palla delle due punte di ruolo. Ben prima comunque che Pellè trovasse il gol, proprio De Rossi ha rappresentato una delle note più rassicuranti della serata: lo davano per agonizzante, se non per morto, ha dimostrato invece che se il tendine regge la sua parte la sa fare ancora. Mentre tra due mezzeali come Florenzi e Giaccherini una è senz’altro di troppo, a maggior ragione immaginando avversari di spessore diverso. A tenerci compagnia, da Malta a – speriamo - Saint Denis, non più la voce roca del vecchio Trap ma quella impostata di Walter Zenga. Come passare da un microfono ambiente piazzato all’oratorio a uno sistemato in aula magna a Coverciano. Ma una (grande) via di mezzo tipo lo zio Bergomi, mai in casa Rai? *** ALESSANDRO BIANCHI, L’ESPRESSO 27/5 – Se la finale di Coppa di Francia tra Paris Saint-Germain e Marsiglia che si è giocata sabato scorso 21 maggio allo Stade de France davanti a quasi ottantamila spettatori doveva servire da prova generale per testare le misure di sicurezza in vista dei Campionati europei di calcio (si svolgeranno in Francia dal 10 giugno al 10 luglio), si spera che gli organizzatori corrano velocemente ai ripari. A mezz’ora dal fischio d’inizio migliaia di persone si erano ammassate agli ingressi per cercare di entrare, praticamente nel totale caos. Intorno allo stadio, che si trova a Saint Denis, periferia della capitale, è stato innalzato un muro di protezione alto più di due metri mentre le porte d’ingresso sono state ridotte a quattro, quando erano sei volte tante (24) prima degli attentati del 13 novembre scorso sfociati nella carneficina al Bataclan ma che erano iniziati proprio allo stadio, all’esterno del quale tre kamikaze dello Stato islamico si erano fatti esplodere durante l’incontro amichevole Francia-Germania. Le misure adottate si sono rivelate inadeguate. Senza indicazioni precise, molti spettatori hanno perso tempo per trovare l’entrata giusta e arrivare al proprio settore. Il che ha permesso, tra l’altro, a tifosi delle opposte fazioni di entrare in contatto e picchiarsi (pessimo precedente: allo Stade de France sono in programma sette partite e, nella prima fase, una particolarmente delicata per l’ordine pubblico come Germania-Polonia). Per guadagnare tempo ed evitare una ressa pericolosa, diversi supporter sono stati fatti entrare con controlli molto sommari, quando addirittura senza verifiche di nessun tipo. Nessun filtraggio, insomma: l’opposto di ciò che era stato promesso. E sono passati fumogeni, petardi, bottiglie di vetro, caschi... Il prefetto di Saint-Denis, Philippe Galli, ha dovuto cospargersi il capo di cenere e ammettere: «Il dispositivo studiato ha ceduto su alcuni punti sui quali dovremo rimediare». Mentre il ministro dell’Interno Bernard Cazeneuve si è precipitato a dichiarare che si sarebbe fatto tesoro degli errori commessi per non ripeterli. Nella corsa a tranquillizzare la popolazione si devono registrare anche le parole di Jacques Lambert, presidente di Euro Sas 2016, la società organizzatrice dell’Europeo: «C’è ancora tempo per prendere decisioni che ci permettano di cambiare in corsa cose che non soddisfano. Il dispositivo dell’Europeo è stato attuato solo parzialmente e non sotto la nostra responsabilità operativa». Tradotto: noi sapremo fare meglio. le minacce dell’is C’è da sperarlo, naturalmente. Perché i motivi di allarme non mancano. Parigi l’anno scorso ha subito il duplice attacco di gennaio e novembre (Charlie Hebdo e Bataclan per riassumere) che ha lasciato ferite ancora aperte e un generale senso di insicurezza. Lo Stato islamico ha "promesso" attacchi in Europa per il prossimo mese e il pensiero di tutti è ovviamente andato alla competizione calcistica, vetrina ideale per la risonanza degli attentati. E infine i motivi non ancora chiariti della sciagura dell’aereo Egyptair di giovedì 19 maggio lasciano aperto il dubbio che una bomba possa essere stata portata a bordo all’aeroporto Charles de Gaulle, proprio quello da dove passeranno turisti e appassionati di calcio (non è scartata tuttavia l’ipotesi di un cedimento strutturale o di un ordigno collocato in scali diversi da quello parigino). In questa situazione tra due settimane le forze dell’ordine devono garantire che tutto si svolga regolarmente nei dieci stadi dell’Esagono dove si giocheranno le 51 partite previste. E nel Paese del Vecchio Continente che più di tutti è entrato nel mirino dei jihadisti, anche perché tra i maggiori fornitori di foreign fighters per il sedicente califfo Abu Bakr al-Baghdadi. Lo spiegamento di forze promesso dalle autorità ad esempio per il match inaugurale Francia-Romania (sempre a Saint Denis) è massiccio: mille uomini delle forze dell’ordine, tra mille e milletrecento gli addetti alla sicurezza all’interno dello stadio. Inoltre: una cinquantina di telecamere in più rispetto alle solite a monitorare gli spalti. E con la raccomandazione per tutti di arrivare abbondantemente prima dell’inizio della partita previsto per le ore 21. due milioni e mezzo di spettatori Nessuno nega le difficoltà di un impegno da far tremare i polsi. Per la massima competizione europea di uno sport popolare come il calcio (popolare da noi e perciò inviso ai fondamentalisti islamici che ne negano la pratica nei territori da loro controllati) sono attesi in Francia due milioni e mezzo di spettatori, di cui un milione e mezzo stranieri, quasi il doppio rispetto all’edizione precedente del 2012 in Polonia e Ucraina. La possibilità di infiltrazioni è alta, le contromisure, si spera, all’altezza. L’"état d’urgence", deciso dopo i 130 morti di novembre tra ristoranti e teatro, è stato via via prolungato sino al 26 luglio. Nei giorni cruciali in cui gli occhi di molti saranno focalizzati sulla Francia agenti e gendarmi saranno dislocati su tutto il territorio, in particolare, in aeroporti e stazioni, luoghi sensibili di assembramento. E a loro si aggiungeranno circa diecimila militari. Negli stadi e nei luoghi di ritiro delle ventiquattro rappresentative nazionali l’Uefa (Unione europea delle federazioni calcistiche) dislocherà altri diecimila uomini della sicurezza, il 7 per cento di personale in più di quanto inizialmente previsto: i numeri sono stati rivisti dopo il 13 novembre. Il budget stanziato dall’Uefa per la sicurezza è di 34 milioni di euro. Ogni impianto avrà un doppio perimetro di controllo. Le forze dell’ordine avranno un aiuto anche in cielo. Per la prima volta in occasione di una manifestazione sportiva si ricorrerà alla tecnologia per intercettare coi droni apparecchi che eventualmente dovessero violare la "no-fly zone" sopra gli stadi e i campi di allenamento. Nessuno vuole naturalmente prendere in considerazione la possibilità di giocare a porte chiuse o di spostare le partite in città più controllabili rispetto a Parigi o Marsiglia. E tuttavia sono soluzioni che non vengono escluse in caso di vera urgenza. Ma Patrick Kanner, il ministro delle Città della Gioventù e dello Sport, cerca di rassicurare: «Il rischio zero non esiste ma sarà un evento protetto al massimo». Nello scorso mese di marzo gli alti rappresentanti di otto polizie europee si sono dati appuntamento in Francia, a Sens, per perfezionare e coordinare i loro movimenti in caso di attacchi terroristici. La Francia aveva già vissuto il mega-evento dei Mondiali di calcio (peraltro vinti) nel 1998. Ma era un’altra epoca. Come commenta Jacques Lambert, ex prefetto della Savoia, all’epoca direttore generale del Comitato organizzativo: «I mondiali del ’98 venivano dopo una serie di attentati come quello della stazione Rer (rete di trasporto veloce, ndr) di Saint-Michel di tre anni prima. Ma la situazione internazionale e nazionale era più calma. Allora i nostri timori erano più legati agli hooligan che al terrorismo». Esattamente il contrario di oggi, a segnalare come in meno di vent’anni sono mutate le emergenze. Eppure Thierry Braillard, sottosegretario allo Sport, almeno nelle dichiarazioni non sembra tremare davanti alla nuova sfida: «Lavoriamo da mesi sulla sicurezza». E traccia un paragone: «Guardate gli inglesi. Nel 2005 subirono gli attentati alla metropolitana di Londra. Nello stesso periodo si aggiudicarono l’organizzazione delle Olimpiadi del 2012. E non si sono mai posti il problema se era il caso di annullare tutto o meno». Cercare di condurre un’esistenza il più possibile "normale", pur con tutte le precauzioni del caso, è del resto la forma di resistenza più efficace davanti a tutti i terrorismi che hanno una matrice sempre comune: cercano di farci cambiare stile di vita. Tra le precauzioni ci sono anche le simulazioni a cui i cittadini francesi sono stati sottoposti per non trovarsi impreparati in caso di necessità. Esercitazioni che hanno riguardato evacuazioni di emergenza in luoghi molto affollati come stadi, stazioni e fan-zone. Soprattutto sono stati curati i dettagli su come portare immediato soccorso a eventuali feriti. la carenza di agenti privati Le fan-zone per i tifosi sono considerate tra i punti più sensibili. Sono spazi liberi dove riunirsi in allegria per vedere insieme le partite davanti a mega schermi. Se non è stata mai d’attualità l’idea di annullare l’Europeo, lo è stata quella se mantenere o no le fan-zone. E su questo l’unanimità non c’è. Anzi. Il primo ministro socialista Manuel Valls: «Salvo minacce particolari, le fan-zone sono confermate». Tra i pareri opposti spicca quello del deputato David Douillet, ex campione del mondo di judo ed ex ministro dello Sport nel governo di Nicolas Sarkozy: «È una decisione totalmente irresponsabile. Il Presidente della Repubblica continua a dire che siamo in uno stato di guerra e poi si fanno riunire migliaia di persone ogni giorno per un mese in tutta la Francia?». Si stima che saranno almeno sette milioni i frequentatori delle fan-zone. Vorrebbero approfittare del clima di festa per dimenticare l’anno orribile appena trascorso dal Paese. Le amministrazioni cittadine, responsabili di questi luoghi pubblici, hanno interpellato diverse grandi aziende specializzate nella sicurezza per appaltare loro il lavoro, ma si sono viste opporre un diniego: no grazie, troppo complicato e rischioso. Saranno quindi società più piccole ad assumersi l’incarico: molte hanno denunciato difficoltà nel trovare personale, tanto alta è la richiesta di bodyguard e affini in questo periodo. Le operazioni di reclutamento sono complicate dal fatto che ogni nome, come è ovvio, deve passare al vaglio delle questure prima di ricevere l’assenso. un pallone di speranza Il budget messo a disposizione per le fan-zone è di 24 milioni: metà è a carico delle città organizzatrici, l’altra metà è finanziata da Stato (8) e Uefa (4). Pure il budget è stato raddoppiato dopo gli attentati del 13 novembre. I sindaci sono i più interessati a far bella figura per guadagnare consenso tra i loro cittadini. Basti, per tutte, la dichiarazione del primo cittadino di Nizza Christian Estrosi: «Nizza avrà la fan-zone più sicura di tutte e sarà anche l’unica dotata di passaggi con metal detector». Quella di Parigi sarà grande 130.000 metri quadrati e sarà allestita vicino alla Tour Eiffel sugli Champs-de-Mars. Sarà «la più grande mai realizzata in Francia, interamente connessa e interattiva con connessione wi fi», nell’orgogliosa rivendicazione dei promotori. Potrà accogliere fino a 92.000 tifosi e resterà aperta fino a mezzanotte tutti i giorni in cui sono previste le partite di calcio. Il sindaco di Parigi Anne Hidalgo ha spiegato come funzionerà l’accesso per gli appassionati: «La zona sarà completamente transennata e avrà un doppio sistema di controllo d’accesso. Insomma saranno adottati i più sofisticati sistemi di sicurezza». Quattrocento agenti privati controlleranno il vasto afflusso. Se necessario avranno l’ausilio delle forze di polizia dislocate nei dintorni. Previste 40 telecamere di sorveglianza. Sullo spazio centrale di 20.000 metri quadrati, le partite saranno trasmesse da 8 schermi giganti più uno di dimensioni inedite di 420 metri quadrati. Intorno, grande spazio per l’animazione, un villaggio Uefa con tra gli altri un campo per street-soccer e basket. Oltre a diversi ristoranti e punti ristoro. La fan-zone di Parigi sarà inaugurata il 9 giugno, vigilia dell’inizio del torneo, con un concerto gratuito del disc jockey superstar David Guetta, autore e interprete dell’inno degli Europei. Il cui pallone ufficiale si chiama "Beau jeu" (bel gioco): perché dovrebbe essere lui, il pallone, malgrado tutto, il vero protagonista. *** ANAIS GINORI, LA REPUBBLICA 26/5 – Sono gli uomini che hanno dato l’assalto alla tipografia dove si erano rifugiati i fratelli Kouachi. Un anno e mezzo fa, le teste di cuoio del Gign avevano ucciso i due terroristi e liberato un ostaggio dopo ore di assedio a Dammartin-en-Goële, nord di Parigi. Questa volta le teste di cuoio proteggeranno gli Azzurri durante gli Europei di calcio. Il Gign (Groupe d’intervention de la Gendarmerie nationale) sarà presente nel ritiro della nazionale a Montpellier e scorterà la squadra di Antonio Conte negli spostamenti, a cominciare dalle prime partite previste a Lione, Tolosa, Lilla. L’unità di élite si coordinerà con gli agenti italiani mandati dall’Ucigos al seguito degli Azzurri. Non si conosce ancora il numero esatto di agenti francesi schierati a Montpellier: tra 3 e 6 a seconda della minaccia che sarà valutata definitivamente la settimana prossima. In cima alle preoccupazioni ci sono i Bleus e la Mannschaft che giocavano allo Stade de France il 13 novembre e che saranno ora protetti dal Raid, le teste di cuoio della polizia protagoniste dell’assalto al Bataclan. È la prima volta che vengono utilizzate le forze speciali per scortare giocatori in un evento sportivo, segno che la minaccia terroristica è a livello massimo per i campionati di calcio che si inaugurano il 10 giugno. Il capo della Dgsi, il servizio segreto interno, ha confermato che «la Francia è l’obiettivo numero uno dell’Is» e che bisogna aspettarsi nuovi attentati. «La domanda non è se, ma quando e dove» ha detto Patrick Calvar secondo cui i terroristi potrebbero voler alimentare il panico con «ordigni esplosivi lasciati in luoghi affollati». Gli Europei sono una sfida immensa in termini di sicurezza: oltre 8 milioni di tifosi, di cui 1,5 milioni stranieri, tra 10 città. Come se non bastasse, sarà un’edizione da record: 24 squadre, 51 partite su 30 giorni. E dal 2 luglio si aggiungerà anche il Tour de France, dove il Gign sarà pure mobilitato. «Dobbiamo essere pronti a tutte le evenienze, dall’attacco chimico alla presa di ostaggi, al movimento di folla determinato dal panico» ha detto il ministro dell’Interno, Bernard Cazeneuve. Il governo ha schierato 93mila agenti, tra cui 77mila poliziotti e 10mila guardie private. «Non esiste il rischio zero» ha aggiunto Cazeneuve. All’ingresso degli stadi ci saranno tripli controlli, fuori e dentro il perimetro Uefa. Nei cieli sarà decretata la no-fly zone: uno dei timori che filtra dalle ultime informative dell’antiterrorismo è l’invio di droni esplosivi. La partita tra Psg e Marsiglia allo Stade de France sabato scorso è servita da prova generale in vista dell’inaugurazione tra due settimane. Il test è andato male: i tifosi si sono ammassati davanti alle sole quattro porte della doppia recinzione, molti hanno eluso i controlli e sono riusciti a portare fumogeni dentro allo stadio. Oltre alla minaccia terroristica, il governo francese lavora anche sulla prevenzione del rischio hooligan. Il 7 giugno sarà inaugurato vicino Parigi un centro di collaborazione tra le polizie nazionali delle 23 squadre ospitate. Ogni paese dovrà mandare otto agenti esperti in “profiling”, capaci di riconoscere gli ultrà più pericolosi nelle tifoserie. Le autorità hanno già individuato cinque partite nei primi gironi in cui potrebbero esserci scontri, tra cui Inghilterra-Russia e Turchia-Croazia. Anais Ginori, la Repubblica 26/5/2016 *** IL POST 1/5 – La 15esima edizione dei campionati di calcio europei si terrà in Francia dal 10 giugno al 10 luglio. È la terza volta che la Francia ospita la più importante competizione continentale per nazionali, dopo il 1960 (la prima edizione della storia) e il 1984. La competizione è stata assegnata alla Francia nel maggio del 2010, quando la sua candidatura venne preferita a quelle di Turchia e Italia. Gli Europei di quest’anno sono destinati a battere numerosi primati, in quanto sono i primi a essere disputati da 24 squadre: dal 1960 al 1976 partecipavano solo quattro nazionali, nel 1980 il torneo fu aperto a 8 squadre e nel 1996 ci fu la prima edizione a 16 squadre, la cui formula è terminata con gli Europei in Polonia e Ucraina del 2012. Dal 10 giugno quindi, vedremo 51 partite, venti in più del 2012, e secondo le stime della UEFA, gli spettatori negli stadi al termine della competizione saranno stati 2,5 milioni. Molti pensavano che allargando la fase finale degli Europei a 24 squadre si sarebbero qualificate nazionali non tradizionalmente “forti” e il cambiamento avrebbe reso il torneo meno competitivo e interessante; a giudicare dalla composizione dei gironi sorteggiati però, sembra che non sarà così e che invece la nuova regola permetterà di assistere a un torneo più interessante, lungo e ricco: nel 1960 gli Europei furono probabilmente più competivi di quelli giocati nel 1980, ma nel 1960 quasi tutte le squadre del continente erano escluse, anche quelle di livello di poco inferiore alle prime quattro. Dopo la modifica del regolamento, gli Europei di Francia verranno giocati per la prima volta nella loro storia da Albania, Slovacchia, Islanda, Irlanda del Nord e Galles e per la seconda volta da Austria e Ucraina (che però esiste come stato indipendente da solo sei edizioni degli Europei). Molte di queste squadre sono composte da alcuni dei migliori giocatori attualmente in attività, come il capitano del Napoli Marek Hamsik, Gareth Bale del Real Madrid e David Alaba del Bayern Monaco. Le squadre e i sei gironi I gironi sono stati sorteggiati il 12 dicembre a Parigi. Ciascuno dei sei è composto da quattro squadre: si qualificheranno agli ottavi di finale le due migliori nazionali di ogni girone e le quattro migliori terze, cioè le quattro squadre che avranno concluso il proprio girone in terza posizione ma con più punti fra le terze classificate. Le città ospitanti e gli stadi Le città ospitanti degli Europei saranno nove, dieci se si conta anche Saint-Denis, comune della periferia di Parigi dove si trova lo Stade de France: Bordeaux, Lens, Lilla, Lione, Marsiglia, Nizza, Parigi, Saint-Denis, Saint-Etienne e Tolosa. A differenza dell’ultima edizione del torneo, quella organizzata da Ucraina e Polonia in cui gli stadi non erano ancora tutti completati il giorno dell’inaugurazione del torneo, i dieci impianti francesi che ospiteranno le partite sono tutti pronti da febbraio: cinque stadi sono stati ristrutturati mentre altri quattro sono stati costruiti da zero. Le date e le fasi La fase a gruppi inizierà il 10 giugno e terminerà il 22 dello stesso mese e le partite verranno giocate in tre diversi orari: alle 15.00, alle 18 e alle 21. Dal 10 al 22 giugno si giocherà ogni giorno: una sola partita nella giornata inaugurale, quattro nelle ultime due giornate e tre in tutte le altre, eccezion fatta per il 14 giugno, in cui ci saranno solo due partite. Gli ottavi di finale inizieranno il 25 giugno, dopo due giorni di pausa, e si concluderanno in tre giorni. I quarti sono in programma dal 30 giugno al 3 luglio, le semifinali il 6 e il 7 e la finale il 10. Gli ultimi Europei, giocati in Ucraina e Polonia nel 2012, sono stati vinti dalla Spagna, che aveva già vinto quattro anni prima e nel 1964. La Spagna, insieme alla Germania, è la nazione che ha vinto più volte il trofeo. L’Italia ha vinto il torneo solo nel 1968 ed è stata sconfitta due volte in finale, nel 2000 per 2 a 1 dalla Francia e quattro anni fa per 4 a 0 dalla Spagna. Francia 1960 – Unione Sovietica Spagna 1964 – Spagna Italia 1968 – Italia Belgio 1972 – Germania Ovest Jugoslavia 1976 – Cecoslovacchia Italia 1980 – Germania Ovest Francia 1984 – Francia Germania Ovest 1988 – Paesi Bassi Svezia 1992 – Danimarca Inghilterra1996 – Germania Belgio e Olanda 2000 – Francia Portogallo 2004 – Grecia Austria e Svizzera 2008 – Spagna Ucraina e Polonia 2012 – Spagna Il pallone e le maglie Il pallone e le maglie che verranno utilizzati durante gli Europei sono stati presentati qualche mese fa (manca solo la seconda maglia dell’Irlanda, a essere precisi). Il pallone sarà fornito da Adidas e si chiama Beau Jeu (Bel gioco). Il trofeo Il trofeo che il 10 luglio, allo Stade de France di Saint-Denis, verrà dato in premio alla nazionale vincitrice degli Europei è la “Coppa Henri Delaunay”, chiamata così in onore del primo segretario generale della UEFA morto nel 1955 e ideatore dei campionati europei. La coppa è stata rinnovata nel 2008, mantenendo però la forma originale disegnata nel 1960. *** IL POST 6/5 – La partita che inaugurerà gli Europei di calcio di quest’estate sarà Francia-Romania, che si giocherà il 10 giugno allo Stade de France. Dopodiché sono in programma tutte le altre partite della fase a gruppi, che terminerà il 22 dello stesso mese. Le partite verranno giocate in tre diversi orari: alle 15, alle 18 e alle 21, alcune anche in contemporanea. Dal 10 al 22 giugno si giocherà ogni giorno: una sola partita nella giornata inaugurale, quattro nelle ultime due giornate e tre in tutte le altre, eccezion fatta per il 14 giugno, in cui ci saranno solo due partite. Gli ottavi di finale inizieranno il 25 giugno, dopo due giorni di pausa, e si concluderanno in tre giorni. I quarti sono in programma dal 30 giugno al 3 luglio, le semifinali il 6 e il 7 e la finale il 10. Tutte e 51 partite verranno trasmesse in diretta da Sky mentre la Rai trasmetterà in chiaro 27 incontri (la programmazione della fase ad eliminazione diretta potrebbe subire qualche modifica a seconda dei risultati dell’Italia). *** IL POST 26/5 – Si dice spesso che la nazionale italiana di calcio dia il meglio di sé quando è in procinto di partecipare a uno dei principali tornei, Europei o Mondiali, mentre il movimento calcistico nazionale si trova in un momento di difficoltà. È un po’ una forzatura da giornalisti, anche se nel 1982 e nel 2006 le due cose effettivamente coincisero. Nel 1982 l’Italia vinse i Mondiali in Spagna due anni dopo lo scandalo del “Totonero”, in cui furono coinvolti giocatori, dirigenti e società di Serie A e B, accusati e poi sanzionati per aver truccato delle partite di campionato in un giro di scommesse clandestine: l’”eroe” di quei Mondiali, l’attaccante Paolo Rossi, arrivò in Spagna senza avere giocato nei due anni precedenti perché squalificato (aveva giocato solo tre partite di campionato un mese prima della convocazione). Nel 2006 la situazione del calcio italiano era persino peggiore. Un mese prima dell’inizio dei Mondiali in Germania iniziò lo scandalo cosiddetto “Calciopoli”, che coinvolse diversi importanti club, dirigenti, arbitri e assistenti. Nei mesi successivi la Juventus venne retrocessa in Serie B mentre Milan, Fiorentina, Lazio e Reggina furono penalizzate nella classifica della stagione appena conclusa e in quella successiva; molti noti dirigenti vennero allontanati dal mondo del calcio. In pieno “Calciopoli”, quindi, la nazionale partecipò ai Mondiali con una squadra formata da sei giocatori della Juventus che non avevano idea di quello che avrebbero fatto a metà luglio, a Mondiali terminati. Quella Coppa del Mondo l’Italia la vinse battendo in finale e ai rigori la Francia; i giocatori della Juventus risultarono decisivi. Tutto questo non c’entra nulla con oggi. Gli odierni problemi della nazionale non sono legati alla situazione generale del calcio ma alla qualità della stessa nazionale, probabilmente una delle più deboli mai viste dal Dopoguerra. Nel 1982 e nel 2006 l’Italia era una delle nazionali più forti al mondo, formata da molti grandi giocatori. Oggi l’unico giocatore che si può definire con sicurezza un campione è il portiere Gianluigi Buffon, che ha 36 anni. Ci sono altri ottimi giocatori, ma dal centrocampo in su l’Italia è nettamente più debole delle quattro-cinque squadre in grado di competere per la vittoria del torneo. A questo si è aggiunto l’infortunio dell’unico grande talento italiano, Marco Verratti, e quello del centrocampista più completo e affidabile, Claudio Marchisio. Verratti e Marchisio erano i centrocampisti centrali titolari dell’Italia: se prima dei loro infortuni c’erano comunque molte perplessità sulla forza della nazionale, ora quelle perplessità sono diventate grosse preoccupazioni. Convocati e pre-convocati Antonio Conte, che al termine degli Europei lascerà la nazionale e andrà in Inghilterra ad allenare il Chelsea, ha diffuso pochi giorni fa la lista dei 30 pre-convocati. Nei giorni precedenti, dal 18 al 21 maggio, lo staff della nazionale aveva organizzato uno stage per valutare altri possibili calciatori da inserire nell’elenco delle riserve. La lista definitiva dei 23 convocati verrà annunciata il 31 maggio in diretta su Rai 1 dall’Auditorium Rai del Foro Italico di Roma. Portieri Gianluigi Buffon (Juventus), Federico Marchetti (Lazio), Salvatore Sirigu (Paris Saint-Germain) Difensori Davide Astori (Fiorentina), Andrea Barzagli (Juventus), Leonardo Bonucci (Juventus), Giorgio Chiellini (Juventus), Angelo Ogbonna (West Ham), Daniele Rugani (Juventus), Matteo Darmian (Manchester United), Mattia De Sciglio (Milan) Centrocampisti Federico Bernardeschi (Fiorentina), Antonio Candreva (Lazio), Stephan El Shaarawy (Roma), Davide Zappacosta (Torino), Marco Benassi (Torino), Giacomo Bonaventura (Milan), Daniele De Rossi (Roma), Alessandro Florenzi (Roma), Emanuele Giaccherini (Bologna), Jorge Luiz Jorginho (Napoli), Riccardo Montolivo (Milan), Thiago Motta (Paris Saint Germain), Marco Parolo (Lazio), Stefano Sturaro (Juventus) Attaccanti Eder (Inter), Ciro Immobile (Torino), Lorenzo Insigne (Napoli), Graziano Pellè (Southampton), Simone Zaza (Juventus) Se si considerano tutti i giocatori convocati da Conte da quando allena la nazionale, i sistemi di gioco provati nelle qualificazioni e nelle amichevoli e le caratteristiche richieste nei giocatori, nei 30 pre-convocati non c’è nessuna sorpresa. In precedenza Conte aveva detto più volte che non avrebbe chiamato giocatori che non erano mai stati convocati nei mesi precedenti. Inoltre, vista la qualità non eccezionale della rosa, Conte ha sempre preferito scegliere giocatori esperti ed affidabili, in grado di essere subito pronti in un torneo in cui basta sbagliare una partita per rischiare di essere eliminati. Per questi motivi sono stati esclusi Domenico Berardi del Sassuolo, giudicato non ancora pronto per questo livello, e Leonardo Pavoletti del Genoa, il giocatore italiano che ha segnato più gol nella Serie A appena conclusa, ma che non ha mai giocato con la nazionale. L’unica esclusione che ha lasciato qualche dubbio tra tifosi e commentatori è quella di Roberto Soriano, centrocampista della Sampdoria, che con Conte aveva giocato diverse partite da titolare. Come giocherà l’Italia Durante i suoi due anni da allenatore dell’Italia, Conte ha praticamente sperimentato tutti i moduli già utilizzati quando allenava la Juventus, dal 3-5-2 al 4-2-4 al 4-3-3. L’Italia ha giocato bene soprattutto coi primi due, nella prima e nell’ultima parte della gestione Conte, mentre ha convinto meno con il 4-3-3. Nella prima partita con Conte allenatore, giocata contro l’Olanda a Bari il 4 settembre 2014, l’Italia giocò con un 3-5-2 molto compatto con esterni molto alti ma con la predisposizione a difendere, Mattia De Sciglio e Matteo Darmian, e una coppia di attaccanti bene assortita, Ciro Immobile e Simone Zaza. Diversi giocatori che giocarono da titolari quella partita nel corso degli ultimi due anni sono finiti ai margini della squadra: è il caso per esempio di De Sciglio, Daniele De Rossi, Ciro Immobile e Andrea Ranocchia. Tuttavia il modulo con cui l’Italia ha dominato contro la Spagna, nella penultima amichevole giocata, è un’evoluzione del sistema tattico usato proprio contro l’Olanda nel settembre 2014: un 3-4-3 molto offensivo, con un gioco rapido e molti passaggi verticali. Nell’azione del gol contro la Spagna, l’Italia è arrivata al tiro dopo soli tre passaggi nella metà campo avversaria. I difensori e gli esterni sono i veri punti fondamentali della squadra, dalle cui prestazioni dipenderà l’andamento del torneo. Al di là del cambio di modulo, l’Italia di Conte ha comunque mantenuto dei tratti comuni: almeno nelle intenzioni, dato che nelle partite della nazionale fuori da tornei importanti è raro vedere meccanismi efficaci per tutta la durata della partita. Conte ha spesso puntato sugli esterni, cambiando diverse volte le coppie di giocatori titolari fra attacco e centrocampo per cercare le combinazioni migliori. Ha puntato anche su una certa intensità di gioco e sul pressing. Rispetto a quando la nazionale era allenata da Cesare Prandelli, l’Italia cerca meno di controllare la partita tenendo la palla e si affida di più a un gioco più rapido, sfruttando le abilità dei suoi migliori giocatori in rosa (che in questo momento sono proprio gli esterni: Darmian, Florenzi e Insigne). La difesa è quella della Juventus, una delle migliori d’Europa: Andrea Barzagli, Giorgio Chiellini e Leonardo Bonucci compongono la difesa titolare nel caso Conte scelga di giocare col 3-5-2 o col 3-4-3; le riserve però, Rugani, Astori e Ogbonna, non danno le stesse garanzie. A centrocampo Conte ha lasciato perdere giocatori in grado di ricoprire un solo ruolo – per esempio quello di regista, come Mirko Valdifiori del Napoli, o di trequartista, come Franco Vázquez del Palermo – e ha puntato su calciatori più versatili. Con l’esclusione di Marchisio e Verratti, la coppia di centrali potrebbe essere formata da Thiago Motta del PSG e Marco Parolo della Lazio. Poi c’è Jorginho del Napoli, forse il miglior regista del campionato italiano, che però può anche fare la mezzala. Dovrebbero essere convocati anche Emanuele Giaccherini del Bologna e Giacomo Bonaventura del Milan, due che possono giocare sia da centrocampisti centrali sia laterali. Non è ancora chiara la posizione di Daniele De Rossi della Roma, che in questa stagione ha avuto diversi problemi fisici ma sembra in ripresa, e in nazionale ha sempre mostrato grande affidabilità e motivazione. prob-form-ita Quello che potrebbe non funzionare L’ultima amichevole giocata dall’Italia, a Monaco di Baviera contro la Germania, è stata probabilmente la peggiore nella gestione di Antonio Conte. Va detto che la Germania, che ha vinto 4 a 1, è una delle squadre più forti del mondo: la nazionale però è stata surclassata per più di metà partita. – I problemi in attacco L’attacco formato da Simone Zaza, Lorenzo Insigne e Federico Bernardeschi era sembrato partire abbastanza bene. Il buon rendimento però è durato poco: la velocità iniziale dei tre si è trasformata in confusione e Zaza non è mai riuscito a gestire bene i passaggi di Insigne. Sulla fascia destra Bernardeschi ha dimostrato di non saper garantire ancora il rendimento di Antonio Candreva, che però non viene da una stagione brillante. La difesa della Germania, inizialmente formata da un solo titolare, Mats Hummels, e protetta dal centrocampista difensivo Toni Kroos, dopo pochi minuti di partita aveva già preso le misure dell’attacco italiano. Il migliore attaccante dell’Italia si è dimostrato Stephan El Shaarawy, entrato al 69esimo minuto e autore dell’unico gol dell’Italia. In un probabile 4-3-3, Candreva è l’unico giocatore sicuro del posto da titolare in attacco. Il probabile centravanti titolare, Graziano Pellè, non è in grande forma, anche se probabilmente lo vedremo spesso in campo. Gli altri due attaccanti esterni che Conte confermerà saranno con ogni probabilità Lorenzo Insigne e Stephan El Shaarawy, dato che in questi due anni li ha convocati quasi sempre e vengono da due buone stagioni. Il resto è molto incerto: Immobile arriva da due stagioni fallimentari con Borussia Dortmund e Siviglia, ed è tornato al Torino a gennaio per giocare di più (14 presenze, 5 gol); Zaza ha giocato meno di venti partite di campionato con la Juventus e ha segnato 5 gol. Éder ha giocato bene con la Sampdoria fino alla sessione di mercato invernale, ma da quando è andato all’Inter ha giocato poco e segnato solamente un gol. Anche contro la Spagna è sembrato un po’ spaesato. – La lentezza del centrocampo Due mesi fa era il punto di forza dell’Italia, ora è quello che preoccupa di più. È stato il reparto che più ha sofferto contro la Germania: di fronte alla rapidità di gioco di Toni Kroos e Mesut Özil, Thiago Motta e Montolivo sono stati annullati e hanno dimostrato di non poter giocare insieme, almeno non con il 3-4-3 e contro una squadra che sa accelerare il gioco. Il centrocampo tedesco, dal primo gol di Toni Kroos, ha preso il sopravvento su due giocatori poco reattivi, che per giocare bene hanno bisogno di un compagno che si muova di più, con maggior rapidità e che sia in grado di andare a pressare gli avversari. – Gli errori in difesa Con un centrocampo praticamente annullato, la linea difensiva formata da Darmian, Bonucci e Acerbi è andata in difficoltà e ha commesso diversi errori. Il secondo gol della Germania, per esempio, è stato segnato da Mario Götze, di testa, nonostante fosse circondato da due giocatori dell’Italia. L’assist di Thomas Müller ha scavalcato Bonucci ed è arrivato a Götze senza che Darmian e Florenzi riuscissero a fermarlo. Bisogna dire però che con la Germania Conte aveva voluto sperimentare una difesa diversa. Almeno due dei tre difensori che quasi sicuramente saranno titolari in Francia, Bonucci e Barzagli, sono giocatori di primo livello: poche altre nazionali hanno a disposizione dei difensori così. Giorgio Chiellini invece ha leggermente calato la qualità delle proprie prestazioni e commette errori con più frequenza di un tempo. Dove può arrivare l’Italia Nonostante tutto e considerando che si qualificheranno agli ottavi di finale le due migliori nazionali di ogni girone e le quattro migliori terze, cioè le quattro squadre che avranno concluso il proprio girone in terza posizione ma con più punti fra le terze classificate, un’altra eliminazione alla fase a gironi, due anni dopo quella ai Mondiali, rimane improbabile. Il Belgio è nettamente più forte e gioca meglio, ma è l’unica squadra veramente superiore all’Italia nel girone. Svezia e Irlanda sono entrambe buone squadre (la Svezia ha un campione in più, Zlatan Ibrahimovic) ma hanno ottenuto la qualificazione solamente negli spareggi contro Danimarca e Bosnia, faticando non poco. girone-e Senza dare niente per scontato, ricordandosi delle partite contro Nuova Zelanda, Slovacchia e Costa Rica negli ultimi due Mondiali, dovremo riuscire a vedere l’Italia almeno agli ottavi di finale, dove non è detto che trovi subito una delle quattro-cinque squadre attualmente superiori. Di fatto i veri problemi arriveranno quando l’Italia incontrerà una di queste nazionali: con tutte le altre è in grado di giocarsela. E quindi, come siamo messi? Conte ha ammesso più volte che al momento ci sono 4-5 squadre più forti dell’Italia (e forse anche qualcuna in più) e cioè Germania, Spagna, Belgio, Francia e Inghilterra. L’Italia parte dietro questo gruppo di favorite: farà meglio di quanto ci si aspetta solo se riuscirà a trovare una soluzione efficace ai suoi problemi e se troverà un modo per “nascondere” le sue numerose debolezze in mezzo al campo, soprattutto attraverso un livello di agonismo simile a quello visto nella Juventus di Conte. *** IL POST 3/6 – I campionati di calcio europei si giocano ogni quattro anni dal 1960, quando l’Unione Sovietica vinse il primo torneo organizzato dalla Francia, la nazione che ha ospitato più volte la fase finale. Nell’edizione di quest’anno, che inizia in Francia il 10 giugno, si giocheranno partite che potrebbero non dire niente in un primo momento ma che invece nascondono delle grandi storie: è il caso di Albania-Svizzera e Ungheria-Austria, per esempio. La partita che preoccupa di più le forze dell’ordine francesi invece non è né Germania-Polonia né Polonia-Ucraina ma Inghilterra-Galles, perché si giocherà in un piccolo comune il cui stadio contiene duemila spettatori in più degli abitanti. Di seguito, dieci curiosità e primati che riguardano questi Europei ma anche le edizioni passate. 1. Roman Neustädter è un difensore dello Schalke 04 che agli Europei giocherà con la nazionale della Russia. In passato ha giocato con la nazionale della Germania, sia nelle giovanili che nella squadra maggiore: ha ottenuto il passaporto russo solo il 30 maggio scorso, pochi giorni dopo essere stato convocato dall’allenatore della nazionale russa Leonid Slutsky. Neustädter è nato nel 1988 a Dnipropetrovsk, città ucraina allora parte dell’Unione Sovietica. La sua famiglia faceva parte della comunità tedesca dell’Impero zarista, che nel 1922 diventò Unione Sovietica. Dopo la fine della Seconda guerra mondiale il regime sovietico trasferì gran parte della comunità di cittadini russi di origini tedesche nella Russia asiatica. Il padre infatti, Peter Neustädter, è nato a Kara-Balta, è cittadino kazako ed stato anche membro della nazionale kazaka. Roman nacque a Dnipropetrovsk perché nel 1998 il padre giocava per il Dnipro e prima che venisse chiamato dalla Russia avrebbe potuto giocare anche per l’Ucraina e il Kazakistan. 2. Nella seconda giornata degli Europei, sabato 11 giugno, si giocherà Albania-Svizzera. Quel giorno, allo stadio di Lens, fra titolari e riserve ben sei giocatori della Svizzera saranno di origine albanese-kosovara: Granit Xhaka, Valon Behrami, Blerim Dzemaili, Xherdan Shaqiri, Admir Mehmedi e Shani Tarashaj. Granit Xhaka giocherà contro suo fratello maggiore Taulant, centrocampista titolare dell’Albania e del Basilea. Dall’altra parte, cinque giocatori albanesi (compreso Taultan Xhaka) giocano attualmente nel campionato svizzero. 3. Ungheria e Austria sono state sorteggiate nello stesso gruppo e la partita che giocheranno contro il 14 giugno può essere definita come il “derby austro-ungarico”: l’Ungheria infatti è stata sotto il dominio austriaco dal 1699 al 1867, anno in cui grazie a un compromesso tra la nobiltà ungherese e la monarchia austriaca venne istituito l’Impero austro-ungarico. Nella storia calcistica invece, Austria-Ungheria è stata disputata 136 volte: è la seconda partita più giocata nella storia del calcio tra due nazionali, seconda solo a quella fra Argentina e Uruguay. Nelle prima metà del Novecento le due nazionali europee erano tra le più forti del mondo, mentre oggi hanno perso praticamente tutta la loro importanza nel calcio internazionale. 4. Nelle scorse settimane molti giornali hanno parlato di un possibile divieto di vendita di bevande alcoliche in tutta la città di Lens il 15 giugno, ovvero il giorno della partita tra Inghilterra e Galles. Il divieto sarebbe stato consigliato dalla polizia inglese, preoccupata per la gestione della sicurezza: Lens è un piccolo comune di 36mila abitanti e il centro della città è molto piccolo. Fra le due tifoserie inoltre c’è molta rivalità, anche se alle Olimpiadi di agosto le due nazionali gareggeranno assieme nella squadra del Regno Unito. 5. L’allenatore tedesco Berti Vogts è l’unico ad aver vinto gli Europei sia da giocatore che da allenatore. Nel 1972 fu membro della nazionale tedesca che nella finale di Bruxelles sconfisse l’Unione Sovietica 3 a 0. Ventiquattro anni dopo, da allenatore della nazionale tedesca, vinse gli Europei in Inghilterra battendo la Repubblica Ceca 2 a 1. 6. olo tre nazionali sono state campioni in carica degli Europei e dei Mondiali contemporaneamente: la Germania Ovest (Europei 1972, Mondiali 1974), la Francia (Mondiale 1998, Europei 2000) e la Spagna (Euro 2008, Mondiali 2010, Euro 2012). Erano squadroni veri: la Germania Ovest in entrambe le finali aveva Sepp Maier, Franz Beckenbauer, Hans-Georg Schwarzenbeck, Paul Breitner, Uli Hoeness e Gerd Müller; la Francia aveva Fabien Barthez, Marcel Desailly, Bixente Lizarazu, Lilian Thuram, Didier Deschamps, Youri Djorkaeff, Patrick Vieira, Zinédine Zidane e Christophe Dugarry; la Spagna aveva Iker Casillas, Sergio Ramos, Carles Puyol, Andrés Iniesta, Xavi Hernández, Cesc Fàbregas, Xabi Alonso e Fernando Torres. Se non avesse perso la finale degli Europei del 1976 contro la Cecoslovacchia, la Germania sarebbe stata la prima squadra a vincere tre grandi tornei consecutivamente, come poi fece la Spagna tra il 2008 e il 2012. 7. I giocatori che hanno vinto la Coppa dei Campioni e l’Europeo nello stesso anno sono Luis Suárez, con l’Inter e la Spagna nel 1964, Hans van Breucklen, Ronald Koeman, Barry van Aerle e Gerald Vanenburg nel 1988 con il PSV Eindhoven e l’Olanda e gli spagnoli del Chelsea Fernando Torres e Juan Mata nel 2012. Invece, l’unico giocatore a perdere le due finali a distanza di qualche settimana fu Michael Ballack, che nel 2008 perse la finale di Champions League con il Chelsea e quella degli Europei con la Germania. 8. Nel 2000 Lothar Matthäus aveva 39 anni e 91 giorni e giocò la sua ultima partita di un Europeo contro il Portogallo. Da allora Matthäus è il giocatore più anziano ad aver disputato la fase finale del torneo ma a giugno potrebbe essere superato dal portiere ungherese Gabor Kiraly, che ha compiuto 40 anni il primo di aprile. Il più giovane invece è l’olandese Jetro Willems, che aveva 18 anni e 71 giorni quando giocò contro la Danimarca nel 2012. Fra i marcatori il giocatore più anziano è l’austriaco Ivica Vastic, che a 38 anni e 257 giorni segnò contro la Polonia agli Europei del 2008; quello più giovane è Johan Vonlanthen, attaccante della Svizzera, che nel 2004 segnò alla Francia a 18 anni e 141 giorni. 9. Tra i 92 convocati di Inghilterra, Irlanda, Galles e Irlanda del Nord, solo il gallese del Real Madrid Gareth Bale gioca in un campionato diverso da quello inglese, scozzese, irlandese o gallese. 10. Il miglior marcatore nella storia dei campionati europei è l’ex presidente della UEFA Michel Platini, grazie ai 9 gol realizzati con la nazionale francese. L’inglese Alan Shearer, secondo in classifica, ne ha fatti 7. Di seguito la classifica i primi dieci marcatori: 9, Michel Platini (Francia) 7, Alan Shearer (Inghilterra) 6, Thierry Henry (Francia) 6, Patrick Kluivert (Olanda) 6, Nuno Gomes (Portogallo) 6, Ruud van Nistelrooy (Olanda) 5, Milan Baroš (Repubblica Ceca) 5, Zinédine Zidane (Francia) 5, Jürgen Klinsmann (Germania) 5, Marco van Basten (Olanda) 5, Savo Milošević (Jugoslavia/Serbia) *** FABIO BARCELLONA, ULTIMOUOMO.COM 2/6 – Quello che segue è un capitolo del primo libro de l’Ultimo Uomo, “La guida ufficiosa: Europei 2016”, Baldini&Castoldi (uscito in tutte le librerie il 26 maggio 2016). La storia della Nazionale italiana agli Europei non è fortunata come quella alla Coppa del Mondo, conquistata dagli azzurri per ben quattro volte. L’Italia ha vinto solamente un’edizione dei campionati europei, quella del 1968, quando la fase finale coinvolgeva solo quattro squadre ed era disputata in casa di una delle partecipanti. Quell’anno si giocò in Italia, che nella semifinale ebbe la meglio sull’U.R.S.S. solamente grazie al fortunato sorteggio con la monetina, dopo lo 0-0 al termine dei supplementari. In finale l’Italia di Valcareggi trovò la forte Jugoslavia e dopo avere sofferto per tutta la partita riuscì a pareggiare a 10 minuti dal termine con Domenghini, l’iniziale gol del bomber Dzajic, uno dei migliori giocatori jugoslavi di tutti i tempi. Nella ripetizione, giocata due giorni dopo, l’Italia cambiò cinque giocatori, la Jugoslavia soltanto uno e gli azzurri prevalsero fisicamente sui balcanici. Finì 2-0 con gol di Gigi Riva e Pietruzzu Anastasi. Nelle storia dell’Italia agli Europei ci sono due finali perse: la prima nel 2000, ai supplementari contro la Francia di Zidane, Henry e Trezeguet dopo essere stata in vantaggio fino al 94° minuto; la seconda nella passata edizione con la sconfitta per 4-0 contro la Spagna campione del mondo. Ma ci sono anche mancate partecipazioni alla fasi finali. Nel 1992, dopo i mondiali in casa, l’Italia di Azeglio Vicini fu eliminata dal palo colpito da Ruggero Rizzitelli nella partita da vincere a Mosca contro l’U.R.S.S. E nel 1984, nel girone di qualificazione, gli stanchi campioni del mondo riuscirono a collezionare solo 5 punti in 8 partite, vincendo una sola partita, contro Cipro, e finendo eliminati alle spalle di Romania, Svezia e Cecoslovacchia. Parecchio deludente fu anche l’europeo giocato in Italia nel 1980, il primo in cui la fase finale era aperta ad otto squadre e la sede decisa prima delle qualificazioni, con il team padrone di casa qualificato di diritto. Reduce dal brillantissimo mondiale in Argentina, l’Italia arrivò all’europeo devastata dallo scandalo del calcio scommesse. Domenica 23 marzo 1980 dodici calciatori venivano arrestati alla fine delle partite di campionato direttamente all’interno degli stadi. Tre settimane prima dell’inizio dell’Europeo arrivava la sentenza del processo sportivo che squalificava Paolo Rossi e la sua riserva in nazionale, Bruno Giordano. In questo clima l’Italia si giocò la qualificazione alla finale all’ultima partita del girone contro lo scomodissimo Belgio e la sua trappola del fuorigioco non ancora decrittata dagli avversari. Finì 0-0 e l’Italia dovette accontentarsi della finalina contro la Cecoslovacchia, che perderà dopo una serie infinita di rigori. L’Italia che arriva in Francia è reduce dai fallimentari mondiali di Brasile che avevano generato una estate 2014 ricca di avvenimenti: anzitutto le dimissioni del Presidente Federale, Giancarlo Abete, e quelle del Commissario Tecnico, Cesare Prandelli. Nel frattempo Antonio Conte, dopo tre Scudetti consecutivi, lasciava improvvisamente la Juventus a ritiro già iniziato e Carlo Tavecchio, candidato al ruolo di Presidente Federale, durante le campagna elettorale scivolava in gaffe di tenore razzista. Alla fine Tavecchio ha vinto le elezioni e Conte si è seduto sulla panchina della Nazionale, con il contributo economico al suo stipendio della PUMA. Solo due anni dopo, siamo già alla fine del percorso di Antonio Conte da allenatore della Nazionale, che dalla prossima stagione sarà alla guida del Chelsea che ne ha già ufficializzato l’ingaggio. Nonostante le sue richieste la possibilità di effettuare stage e allenamenti supplementari durante la stagione è stata ostacolata dalle squadre di club, e probabilmente era troppo forte, per Conte, il richiamo verso la panchina di un club e il lavoro giornaliero sul campo: «Quando ho visto che dopo le qualificazioni europee sarebbero passati altri quattro mesi prima di tornare ad allenare, ho capito che non avrei accettato altri due anni chiuso dentro a un garage». Nel frattempo, l’Italia è arrivata prima del proprio girone di qualificazione da imbattuta, vincendo 7 delle 10 partite disputate. I dubbi sul vero valore della squadra di Conte, però, nascono dal fatto che in questi due anni non ha mai vinto contro una delle grandi squadre incontrate: contro la Croazia, unica avversaria di un certo livello nel girone, l’Italia ha pareggiato due volte; in amichevole ha pareggiato contro Romania, Spagna e Inghilterra, e perso con Portogallo, Belgio e Germania. L’andamento dei risultati sembra confermare l’impressione di una squadra ben allenata e che gioca un buon calcio, capace di fare risultato contro avversari del proprio livello ma con una qualità complessiva inferiore a quella delle grandi Nazionali europee. Tatticamente, almeno all’inizio, Conte sembrava avere ripreso il cammino bruscamente interrotto alla guida alla Juventus, giocando le prime partite con il 3-5-2. Poi però, nel giugno 2015, dopo due sofferti pareggi (contro la Croazia a Milano e la Bulgaria a Sofia), l’Italia è scesa in campo con il 4-3-3 (nella partita di ritorno contro i croati a Spalato) che ha mantenuto anche nelle due partite successive (contro Malta e Bulgaria). Ma l’Italia ha giocato le partite finali del girone di qualificazione disponendosi con il 4-2-4 (contro l’Azerbaigian e per buona parte dell’ultimo match contro la Norvegia) e, infine, nelle amichevoli di marzo (contro Spagna e Germania) Conte ha sperimentato un inedito 3-4-3. In qualità di Commissario Tecnico della Nazionale, Conte si considera “come un sarto” che deve confezionare l’abito “con la stoffa a disposizione”, rivendicando implicitamente il fatto di avere come compito primario quello di scegliere i migliori giocatori disponibili, e di farli giocare nel miglior modo possibile. In fondo anche alla Juventus era stata la convinzione di giocare con i calciatori migliori trovando il sistema per esaltarne le caratteristiche tecnico-tattiche, il motivo per cui il tecnico salentino era passato dall’essere considerato un’integralista del 4-2-4 a giocare con il 3-5-2. E, nonostante abbia adottato ben 4 moduli di gioco diversi in 18 partite fin qui disputate, è impossibile non cogliere nel percorso dell’Italia la coerenza delle convinzioni e dei principi di gioco del suo allenatore. Le fondamenta della fase del possesso palla di Conte poggiano sull’idea di giocare ampliando il più possibile le distanze tra i giocatori avversari. Anzitutto si provano a dilatare le distanze verticali tra le linee con una circolazione di palla tra i difensori paziente, che invita gli avversari al pressing, con l’obiettivo di creare spazi proprio alle spalle della prima linea di pressione. La responsabilità della costruzione bassa è di 4 giocatori: i terzini e i centrali nei moduli a 4 difensori, il rombo costituito dai tre difensori e dal mediano (o da un altro centrocampista) nei moduli che prevedono una linea arretrata a 3. Il posizionamento alto e aperto sulla linea laterale degli esterni aiuta, invece, ad ampliare le distanze orizzontali degli avversari, in particolare quelle tra le maglie della difesa (nel 4-2-4 sono gli esterni offensivi a svolgere questa funzione, nei moduli con 3 difensori sono gli esterni di fascia ad alzarsi). La transizione della manovra dalla fase di preparazione a quella di attacco vero e proprio è spesso assegnata a un passaggio verticale proveniente dalla difesa e indirizzato a un giocatore sulla linea offensiva. In quest’ottica, il sistema 3-4-3 con i suoi molteplici riferimenti avanzati, sembra il più adatto, invitando a un calcio verticale e non eccessivamente fraseggiato a centrocampo. A quel punto, una volta innescata la fase di finalizzazione, la manovra della squadra si accende e diviene rapida: giocata preferibilmente a uno/due tocchi, ricca di movimenti preordinati e coordinati tra i giocatori. Volendo si può scomporre la fase di attacco di Antonio Conte in due momenti con due velocità diverse: la fase di preparazione paziente, durante la quale si cerca di dilatare la squadra avversaria, seguita da un fase ipercinetica successiva all’innesco offensivo. Se giocata con i tempi giusti, la fase di possesso prepara anche a una transizione difensiva aggressiva, con la volontà di riconquistare rapidamente il pallone, in una zona di campo il più alta possibile. In questa fase di gioco, quando l’Italia gioca con 3 difensori centrali, c’è maggiore possibilità di effettuare marcature preventive molto aggressive (grazie alla copertura garantita dalla superiorità numerica sugli attaccanti avversari); in caso di difesa a 4, invece, la superiorità difensiva è data da uno dei due terzini, che resta in posizione durante la fase di circolazione. Quando invece sono gli avversari a fare possesso consolidato, quando cioè fanno circolare palla a lungo, l’Italia si posiziona con un blocco ad altezza media. Se sono in campo i tre centrali difensivi gli azzurri abbassano i due esterni disegnando una linea arretrata a 5, e in questo caso (con un uomo in meno in zona offensiva) la pressione dell’Italia è meno aggressiva rispetto a quando la squadra è disposta con una linea di 4 difensori, ma ne guadagna in termini di protezione bassa dell’area di rigore. Va detto anche, però, che con 3 difensori è più difficile effettuare transizioni offensive rapide: troppi uomini sulla linea arretrata, con gli esterni che devono risalire tutto il campo per giungere nella posizione ideale per offendere. Se ci sono pochi dubbi sul fatto che l’Italia mostrerà un gioco organizzato, l’incertezza riguarda la qualità assoluta della squadra. Relativamente alla rosa a disposizione, c’è anche molta curiosità sul modulo di gioco con il quale Antonio Conte deciderà di affrontare gli Europei: il 3-4-3 visto nelle ultime partite sembra soddisfare sia la sua volontà di giocare con 3 difensori che tenere conto dell’abbondanza di esterni d’attacco: il blocco arretrato della Juventus (Buffon, Barzagli, Bonucci, Chiellini) negli ultimi anni ha costituito l’ossatura della miglior difesa d’Europa insieme a quella dell’Atletico Madrid, ed è probabile che il c.t non intenda rinunciare a una struttura così consolidata e oliata; mentre tra gli esterni offensivi il tecnico azzurro potrà scegliere tra Candreva, El Shaarawy, Insigne, Eder, Bernardeschi, Giovinco, Bonaventura. Senza contare Florenzi e Giaccherini, certi di un posto in Francia proprio in virtù della loro versatilità. Sarà interessante capire se del gruppo farà parte Sebastian Giovinco. L’ex giocatore della Juventus è il primo giocatore di alto livello che lascia un team europeo per andare a giocare nella Major League Soccer nordamericana nel pieno della sua carriera. Nel 2015 Giovinco ha vinto il titolo di miglior giocatore e capocannoniere della MLS, portando per la prima volta il Toronto FC ai play-off. Una sua convocazione potrebbe essere un segnale sulla possibilità per i calciatori italiani di fare scelte di carriera poco convenzionali senza essere troppo penalizzati nell’ottica di un impiego in nazionale. Sembra invece definitivamente chiusa la carriera in azzurro di Andrea Pirlo, ma in questo caso, a pesare maggiormente, più che il trasferimento a New York, sono i 37 anni del fuoriclasse ex Milan e Juventus. In mezzo al campo, l’infortunio al legamento crociato di Marchisio priverà l’Italia del migliore centrocampista della stagione. Nelle ultime amichevoli (prima del ritiro pre-europei) Conte ha convocato per la prima volta Thiago Motta e Jorginho, e proprio a uno dei due interni di centrocampo di nascita brasiliana potrebbe venir assegnato il ruolo previsto per Marchisio di equilibratore di centrocampo della nazionale italiana. Nel 3-4-3 o nel 4-2-4, il secondo posto di interno di centrocampo dovrebbe essere di Marco Verratti, le cui condizioni fisiche sono però da verificare, visti i problemi all’inguine di questa stagione; in un centrocampo a 3, oltre a Verratti che occuperebbe nel ruolo di mezzala di possesso, ci potrebbe essere Parolo, più libero sul lato opposto a quello della mezzala pescarese di inserirsi in zona avanzata. In questo biennio l’Italia ha sempre mostrato una buona organizzazione tattica, anche in considerazione dei tempi ridotti per la preparazione della partita. Prima dell’esordio agli Europei gli azzurri potranno lavorare assieme per circa venti giorni e questo periodo dovrebbe permettere all’Italia di diventare una “squadra” come auspicato dal proprio allenatore: «Solo squadre come Brasile, Francia e Germania possono essere selezioni perché hanno dei fenomeni, mentre noi non ce lo possiamo permettere: dobbiamo essere squadra». La qualità media del centrocampo e dell’attacco è probabilmente inferiore a quella delle migliori Nazionali europee e per questo motivo la forza dell’Italia dovrà venire da un’applicazione e un’organizzazione tattica superiore a quella generalmente mostrata dalle squadre Nazionali. Germania, Spagna, Belgio e Francia sembrano più pronte degli azzurri, ma dietro queste quattro squadre c’è un ampio spazio che il livello dei calciatori italiani e l’organizzazione tattica possono occupare. E con un po’ di fortuna, non è detto che la differenza di valori nei novanta minuti non possa venire azzerata del tutto proprio. *** ANDREA SCHIANCHI, LA GAZZETTA DELLO SPORT 2/6 – L’Italia e l’Europa non si sono mai viste di buon’occhio. Stiamo parlando di calcio, s’intende, qui la politica non c’entra. Però sta di fatto che il rapporto tra la Nazionale e il campionato europeo è sempre stato piuttosto turbolento. Fin dagli inizi quando, su intuizione dell’allora segretario generale dell’Uefa Henry Delaunay, nacque la manifestazione e i dirigenti azzurri, con poca lungimiranza, dissero che non avrebbero partecipato. Era il 1960 e sarebbe stata l’occasione per rialzare la testa, dopo il periodo nero che stava attraversando il calcio di casa nostra. Nel 1964, invece, i parrucconi della Federcalcio ritornano sulla decisione e scelgono di esserci: solo che, dopo aver facilmente eliminato la Turchia, veniamo sbattuti fuori dall’Unione Sovietica e così alla fase finale in programma in Spagna neanche ci arriviamo. Per sorridere dobbiamo aspettare il 1968 quando, da organizzatori, riusciamo a vincere il trofeo. E lo facciamo alla prima partecipazione, bella soddisfazione. Però che sofferenza: prima il lancio della monetina grazie alla quale vinciamo la semifinale contro l’Unione Sovietica, poi la finale ripetuta contro la Jugoslavia. Non proprio una cavalcata, insomma. RIFONDAZIONE Da allora, tuttavia, gli Europei saranno sempre un tormento per gli azzurri. Nel 1972 veniamo eliminati dal Belgio: e pensare che eravamo reduci dalla finale di Messico ‘70, avremmo dovuto fare fuoco e fiamme. Nel 1976 nemmeno ci siamo, ma lì c’è una spiegazione: la Nazionale si sta rinnovando. È successo che, dopo il disastro al Mondiale del 1974, il presidente federale Artemio Franchi ha deciso di affidare la supervisione di tutte le squadre azzurre a Fulvio Bernardini, che per sé ha tenuto la guida della Nazionale A. Bernardini, uno dei migliori allenatori italiani di sempre (vinse lo scudetto con Fiorentina e Bologna, unico a riuscirci fuori dal triangolo Milan, Inter, Juve), tenta di battere strade nuove, il calcio sta cambiando, l’Olanda di Cruijff fa scuola. Ma la ricostruzione fallisce. O meglio: non darà buoni frutti nel 1976. Nel 1978, al Mondiale in Argentina, sì. E poi, con quella generazione di ottimi giocatori, si arriverà all’Europeo ‘80, organizzato dall’Italia e al trionfo del Mundial ‘82. E’ un’epoca di gioia. SALI E SCENDI Il calo, dopo la sbornia dei ragazzi di Bearzot è inevitabile. Nell’84 nemmeno ci qualifichiamo. Poi, chiusa l’era dei reduci del Mundial (dopo il tonfo a Messico ‘86), si tenta una nuova risalita con Azeglio Vicini. È il 1988, la Nazionale è giovane e gioca bene. Arriva terza, buon risultato: vengono gettate le basi per la rinascita. Ma il rapporto tra gli azzurri e l’Europeo resta tormentato: nel 1992 nemmeno si qualificano, nel 1996 fuori al primo turno. Poi, nel 2000, a un passo dalla gloria: in finale contro la Francia, in vantaggio fino a un soffio dal termine, quindi raggiunti e superati nei supplementari. La rabbia, in quel caso, diventa anche politica: Silvio Berlusconi critica pesantemente il c.t. Dino Zoff («doveva far marcare Zidane a uomo») provocandone le inevitabili dimissioni. In panchina arriva Trapattoni, ma a Euro 2004 va male: vittime del «biscotto» tra Svezia e Danimarca, gli azzurri escono subito. Nel 2008, da campioni del mondo in carica, con Donadoni c.t., ci arrendiamo ai quarti soltanto ai calci di rigore alla Spagna, che poi conquisterà il titolo. L’ultima esperienza è quello dell’Italia di Prandelli, nel 2012: arriva in finale, abbastanza sorprendentemente, e lì viene massacrata (è il verbo giusto: 4-0 il risultato) dalla Spagna che domina ovunque. In definitiva, abbiamo vinto soltanto una volta, nel 1968: e in che modo! Grazie a una monetina e a una finale rigiocata... Per l’Italia in Europa, finora, non si può dire che le luci siano state superiori alle ombre. *** MASSIMO NAVA, CORRIERE DELLA SERA 30/5 – Non è semplice trattare con la pistola alla tempia. È la situazione in cui si sono cacciati il presidente François Hollande e il governo socialista, messi sotto scacco dalla Cgt, il sindacato d’ispirazione comunista, che paralizza il Paese alla vigilia dei campionati europei di calcio. Scioperi nei trasporti, manifestazioni di piazza, blocchi di raffinerie e centrali nucleari si susseguono da settimane e il braccio di ferro potrebbe continuare per tutto il torneo fino alla finalissima. La contestata riforma del mercato del lavoro, ispirata al Jobs act italiano, già emendata nel corso dei lavori parlamentari, non entrerà in vigore prima di luglio, quando le modifiche passeranno al vaglio del senato e torneranno all’assemblea per l’approvazione definitiva. Fino ad allora, la Cgt promette di continuare scioperi e blocchi, mentre Hollande e il primo ministro Valls fanno sapere di non avere nessuna intenzione di cedere a modifiche né tantomeno di ritirare il provvedimento. I rischi, in termini d’immagine e di sicurezza interna, sono a questo punto enormi. La Francia, che aveva già perso la candidatura ai giochi olimpici a favore di Londra, ha scommesso sulla kermesse sportiva per rilanciare il turismo, in calo dopo gli attentati del novembre scorso, e ristabilire sotto i riflettori del mondo il ritratto di Paese forte, efficiente, famoso per il livello di infrastrutture e servizi. Al tempo stesso, blocchi e manifestazioni di piazza inveleniscono il clima sociale, moltiplicano le possibilità di provocazioni, mettono a dura prova l’apparato antiterrorismo. La situazione sembra in un vicolo cieco, con i cittadini, e presto anche tifosi e turisti, presi in ostaggio. Nella maggioranza socialista c’è aria di fronda e circolano proposte di emendamenti degli articoli più contestati – come quello che privilegia accordi aziendali rispetto ad accordi nazionali, in particolare sull’orario di lavoro – ma il presidente Hollande, già ai minimi termini nei sondaggi, non può permettersi di perdere la faccia una seconda volta, dopo avere ritirato la modifica della Costituzione sulla questione della doppia cittadinanza in relazione a reati di terrorismo. La Francia è ormai entrata in campagna elettorale per le presidenziali del 2017. Una marcia indietro su una questione cruciale confermerebbe la scarsa propensione di Hollande e della sinistra francese a imboccare con decisione la strada delle riforme già percorsa da altri leader e Paesi europei. Anche per questo, alla vigilia del referendum in Gran Bretagna, l’impasse francese non è una buona notizia per l’Europa. A una pessima comunicazione, il governo ha aggiunto la decisione di fare passare la legge in prima lettura con voto di fiducia. Sul fronte opposto, la risposta è stata ideologica e pregiudiziale, come spesso avviene in Francia, al solo sentire usare parole come «flessibilità» e ogni volta che un governo – qualsiasi governo – mette mano a diritti consolidati e appunto non negoziabili. Come all’epoca di Chirac e di Sarkozy si ripete lo psicodramma collettivo di un Paese che enfatizza le barricate della rivoluzione per impedire il cambiamento e conservare un sistema altamente protezionistico che continua ad escludere milioni di disoccupati, giovani precari, lavoratori part time, immigrati. Anche per questo, l’emorragia di giovani laureati che vanno all’estero è continua. Secondo i sondaggi, la maggioranza dei francesi approva la protesta, pur criticando metodi di lotta che incidono pesantemente sulla vita quotidiana. Ma i sondaggi non fotografano la realtà di un Paese lacerato. Il Front National di Marine Le Pen soffia sul fuoco, chiede il ritiro della riforma e spera di aumentare i consensi nell’elettorato popolare deluso dalla sinistra. La destra gaullista accusa Hollande di avere fatto già fin troppe concessioni e sotto sotto si compiace di uno scontro sociale che trascina in basso la gauche. Gli stessi sindacati sono divisi. La Cfdt e altre sigle moderate, dopo avere ottenuto modifiche, sono favorevoli alla riforma. La Cgt e altre sigle come Sud, presenti soprattutto nel trasporto pubblico, tengono duro. Il numero di iscritti e le effettive adesioni alle varie forme di protesta non dicono la verità sull’effettiva consistenza del sindacato, soprattutto nel settore privato. Ma il potere di blocco nel settore pubblico è una specialità molto francese.