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 2016  giugno 04 Sabato calendario

IL FARAONE È TORNATO– [Stephan El Shaarawy] Per diverso tempo, quando tra gli addetti ai lavori si affacciava il suo nome, c’era chi sospirava: “Finito

IL FARAONE È TORNATO– [Stephan El Shaarawy] Per diverso tempo, quando tra gli addetti ai lavori si affacciava il suo nome, c’era chi sospirava: “Finito. Altro che Faraone, è diventato una mummia”. Le bende, invece, ormai sono state riarrotolate da un pezzo. Stephan El Shaarawy, forte dei suoi 23 anni, è tornato in cima alla piramide del nostro calcio, anche se galleggia l’impressione che intorno a lui le ultime stagioni abbiano lasciato una cicatrice emotiva difficile da abradere. Per dire, intorno al tavolo, insieme a noi, siedono sei persone pronte a controllare ogni suo gesto. Il presidente Obama, forse, ne avrebbe avute di meno. Ma l’ansia della corte che lo circonda è tanta. Un esempio: si raccomandano di non fare accenni a Islam, caso Regeni, Milan, Totti e Balotelli, giustificando la cosa con antichi fraintendimenti. Ovvio che le domande le faremo lo stesso, però resta la sensazione che Stephan, senza la corte, se la caverebbe benissimo. Di sicuro, comunque, il pallone sa farlo parlare ancora meglio, ed è per questo che Antonio Conte gli affida un ruolo importante nell’Europeo alle porte. Stephan, le piace che la chiamino Faraone? E ce n’è uno la cui storia l’abbia affascinata? «Il soprannome mi piace moltissimo, ma sinceramente non ho mai approfondito l’argomento». E allora parliamo di calcio: che sensazioni ha per l’Europeo? «Positive, ho sempre detto che parteciparvi era il mio obiettivo primario. Siamo un buon gruppo, siamo cresciuti. Conte ci ha dato le direttive giuste, le stiamo seguendo. Non andremo in Francia per fare le comparse. Ci sentiamo un gruppo forte, perciò cercheremo di imporci». La sua è stata una stagione particolare, iniziata all’estero e finita alla Roma. Quando ha capito che a Monaco era in un vicolo cieco? «Da quando hanno iniziato a utilizzarmi poco, finché a dicembre mi hanno detto che non mi avrebbero riscattato. Quando ti alleni sapendo di non giocare è dura, psicologicamente è stato un mese particolare. Poi è arrivata l’opportunità della Roma: la chiamata di Sabatini e la fiducia di Spalletti sono state decisive». Spalletti ha fatto riferimento a una telefonata che gli ha trasmesso la sua voglia di riscatto: che vi siete detti? «Che avevo voglia di rimettermi in gioco e che El Shaarawy (parla di sé in terza persona, ndr) sarebbe stato pronto». Crede che al Monaco si siano pentiti? «Non ci ho mai pensato. Volevo una nuova avventura. Non penso mai al passato». Quanta colpa si dà per il declino milanista e l’esperienza in Francia? Solo sfortuna? «Come sempre le responsabilità sono di tutti, anche mie. Potevo fare meglio, ma gli addii sono decisioni che hanno preso le società e io li ho accettati. Non sono uno che fa polemica». Lei è stato un enfant prodige: esordisce nel Genoa in A a 16 anni; a meno di 20 sigla il primo gol in Champions diventando il più giovane milanista a segnare in quella competizione, alla fine dell’andata di quel 2012-2013 ha 14 reti in 19 gare, facendo nascere addirittura difficili paragoni con un totem come Meazza. Pensa che quell’enorme visibilità, da gestire così precocemente, l’abbia danneggiata? «I complimenti fanno sempre piacere, così come la visibilità ti stimola a fare di più, ma devi cercare di avere equilibrio. I media ti possono portare in alto in un attimo e subito dopo farti sprofondare. Occorre concentrazione. Se arrivi al top, devi avere la forza mentale per saperci restare. Al Milan ho vissuto accanto a grandi campioni e da loro ho imparato l’umiltà. Nonostante fossero stelle, ad esempio, si allenavano con una costanza e una voglia da ammirare». Torniamo all’Europeo: immagini il cammino dell’Italia. «Non mi piace fare pronostici, ma il passaggio del primo turno è sicuramente alla nostra portata. Poi le partite diventano strane e può succedere di tutto. E noi, che siamo un buon gruppo, possiamo approfittarne». Il giocatore vetrina tra gli azzurri? «Avrei detto Verratti, che ha fatto benissimo al Psg. Lui è fortissimo, ha vinto titoli. Non gli manca niente. Peccato per l’infortunio, ma la nostra forza è il gruppo». Lei che ha vissuto anche parte del ciclo prandelliano, che sensazione le dà vedere Balotelli passare da simbolo dell’Italia a emarginato? «Sono decisioni che ha preso l’allenatore e io non voglio entrarci». Se farà bene, Mario potrebbe tornare nel giro azzurro? «Credo proprio di sì». Quanto mancherà Marchisio? «Tantissimo. Ha qualità straordinarie. Ci poteva dare una grossa mano. In generale, questi infortuni non ci volevano». Qual è la sua favorita per la vittoria? «La Germania. L’abbiamo anche visto in amichevole contro di noi: hanno un livello fisico e tecnico altissimo. Mi piace anche il Belgio, è una squadra tosta. Con Nainggolan scherziamo spesso: dice che nel girone si piazzeranno davanti a noi. Ma occhio anche a Inghilterra e Francia, hanno tanti giovani interessanti». Potrà pesare il fatto che Conte sia dimissionario? «No, perché vedo come lavora. Anche se andrà al Chelsea, non ha la testa da un’altra parte. Ci sta trasmettendo la carica giusta». Qual è stato l’allenatore più importante per la sua carriera? «Allegri, che mi ha lanciato. Mi ha dato tantissima fiducia il primo anno e ha continuato a darmene anche quando le cose non andavano bene. L’ho ripagato con i gol, ma lui è stato decisivo. Non mi sorprende ciò che sta facendo alla Juve. Poi voglio ricordare anche Mangia, nell’Under 21 mi ha insegnato tanto». C’è stato un calciatore che ha preso come riferimento? «Kakà, un idolo sia per come giocava, sia per i comportamenti fuori dal campo». Torniamo all’Europeo, che sarà blindato dal punto di vista della sicurezza: ha dei timori? «No, non respiro aria diversa dal solito. Penso che occorrerà estraniarsi e cercare di creare un’atmosfera positiva. Vorremmo che la gente venisse con allegria e serenità alle partite». Alla luce delle sue radici egiziane, ritiene giusto che il mondo islamico venga associato indiscriminatamente al terrorismo? «No, le generalizzazioni sono sempre sbagliate in senso assoluto, ma possono anche diventare pericolose. Io credo che prima di giudicare qualcuno o qualcosa, ci debba essere una conoscenza più profonda di una cultura diversa dalla propria». A proposito di culture, Bertolacci recentemente ha detto che nel nostro campionato giocano tanti stranieri anche perché hanno più fame degli italiani: è d’accordo? «Non penso che sia vero. Credo che ci siano tanti giovani di grande valore e che i nostri settori giovanili lavorino molto bene». Però ci siamo trovati a vedere l’ultima Inter-Udinese con 22 titolari esteri. Alla luce del sorteggio per la qualificazione al Mondiale 2018 (con la Spagna nel girone e una sola sicura qualificata), corriamo il rischio di restare a casa se non abbiamo una base su cui lavorare. «Senta, non saprei perché gli italiani non giochino, ma di sicuro lavoreremo sodo per andare al Mondiale. Certo, sappiamo che non sarà facile, ma il gruppo è forte e in crescita. Vedrà che ce la giocheremo fino alla fine». Per i titoli di coda, immagini l’Italia che verrà, quando i “senatori“ lasceranno spazio ai giovani: oltre a lei, chi vede in questo gruppo? «Direi Verratti, Perin, Donnarumma, Romagnoli, Rugani, Zappacosta... E poi Bernardeschi, Baselli, Locatelli, Berardi. Mi creda, sono tutti ragazzi che possono avere un grande futuro». Parola di Faraone.